Diritto di voto femminile: una storia contoversa

Il 2 giugno 1946 fu concesso per la prima volta nella storia dell’Italia alle donne di votare, ma quello che non tutti sanno è che grandi contraddizioni hanno caratterizzato la storia delle donne già a partire dall’Ottocento.

Innanzitutto, per quanto riguarda la concezione di “cittadino” che era diffusa nel XIX secolo (quindi un centinaio di anni prima del famoso ‘46), questa era ancora legata a una pesante gerarchia dei diritti, che considerava le donne meno importanti rispetto agli uomini. Durante tutto il secolo, infatti, si intensificò il legame strutturale tra la donna e la sua famiglia: la figura femminile mancava di indipendenza economica e dell’autonomia individuale, caratteristiche fondamentali del cittadino. La cittadinanza femminile è considerata quindi “cittadinanza minore”.

Basti pensare che durante il Risorgimento l’esclusione femminile dal voto politico non aveva bisogno di essere esplicitata da una legge, dato che era considerata scontata. Come si è potuti passare quindi da una tale chiusura mentale nei confronti delle donne al suffragio universale, anche femminile?

Il diritto di voto politico tardò ad arrivare rispetto a quello amministrativo, concesso alle donne nel 1890 con la legge Crispi di riforma della pubblica assistenza.

Durante poi il Ventennio fascista, il regime aveva riconfermato la minorità femminile, ma il numero in crescita di donne laureate e gli scioperi del ‘43 e ‘44, insieme poi ai Gruppi di difesa della donna, portarono nel ‘44 alla formazione dell’Unione Donne Italiane e del Centro Italiano Femminile, che nel Dopoguerra gestivano l’assistenza pubblica nelle amministrazioni locali.

Finalmente, il 30 gennaio 1945 fu approvato il decreto De Gasperi-Togliatti, che estendeva il diritto di voto alle donne. Questo decreto non prevedeva però l’eleggibilità femminile, in quanto era considerato ovvio che nessuna donna sarebbe stata in grado di fare politica.

Nel 1946 le donne riuscirono comunque ad avere una rivincita: grazie all’approvazione, il 10 marzo ‘46, del decreto che concedeva alle donne il diritto di eleggibilità, furono elette 21 madri costituenti, su ben 226 candidate: costituivano il 3,7% dell’Assemblea Costituente.

 

DI SARA BERTUZZI