La paura dell’altro

Stiamo vivendo tempi difficili, che nessuno era pronto ad affrontare. Come tutte le cose, però, bisogna fronteggiarla e, senza dubbio, sarà una battaglia lunga e complicata.

All’inizio l’opinione di molte persone era diversa riguardo l’andamento della pandemia, più ottimiste, ma col tempo si sono verificate le ipotesi peggiori che gli scienziati avevano formulato.

Dapprima si è andato a caccia del “paziente 0” o “agli untori “. Quello che ha avuto un riscontro dopo poco è stato trovare il primo italiano, in Italia, contagiato, ma rimaneva comunque il problema degli “untori”. Davvero questo avrebbe potuto portarci ad una soluzione del problema più immediata? Forse, ma in  quel tempo il virus aveva già preso il suo corso, finché gli “untori” non sono diventati tutti i malati, senza distinzione.

Diversi studi hanno confermato che è la “mania di controllo” dell’essere umano che ci ha spinti a tanto; sapere di poter addossare la colpa a qualcuno ci dà sempre sollievo, qualsiasi sia il problema. La colpa di una pandemia mondiale, secondo molti, non ha tardato a ricadere sulla popolazione cinese, che l’avrebbe diffusa ovunque e quasi volontariamente. Poi, successivamente, ognuno ha  dato la caccia agli untori del proprio paese, perché trovarli avrebbe dato la sensazione di avere tutto sotto controllo. Quelle stesse persone non si sono rese conto, però, che la questione stava andando ben oltre l’addossamento di una “colpa”. Siamo sicuri ci sia bisogno di dare la “colpa” e non parlare, piuttosto, di responsabilità di cui ognuno dovrebbe sentire il peso? La psicologia di tutti è stata messa a dura prova con l’avvento di questa epidemia, ma ciò non giustifica comportamenti razzisti o, in generale, discriminatori ne

i confronti degli altri, credendo di saperne sulla questione dei presunti “untori”, di chi questi siano.

L’aggressione non è mai stata in grado di risolvere alcun tipo di difficoltà, specialmente in situazioni come quella odierna, in cui ci vorrebbe complicità e partecipazione collettiva per il miglioramento. La discriminazione è un fenomeno che da sempre esiste ed è insito nell’uomo che ha “paura” del diverso o di qualcosa che non conosce e basta. Questo non è mai stato, nella storia, un comportamento che ha portato risvolti positivi per l’evoluzione dell’umanità, tantomeno può esserlo adesso. Aggredire intere categorie di persone ci dà la sicurezza che siano state loro a portarci a questo livello? Ci scrolla di dosso la responsabilità del fatto che, dopo 10 mesi dalla prima chiusura in Italia, la curva dei contagi sia ancora in salita? No, è solo più semplice giustificarlo; ma semplice non vuol dire giusto.

Così, appena è stato possibile o ci si è trovati in una situazione in cui era obbligatorio, c’è stata la corsa ai tamponi. Molte persone si sono rese conto che, a quel punto, ogni malato di Covid-19 è un untore. Chiunque può trasmettere questo virus, se non sono prese le giuste precauzioni. Queste, però, sono consapevolezze che si sono acquisite solo dopo lo sviluppo del ceppo virale. Prima che questo fosse un fenomeno che mette paura e dal quale riguardarsi, nessuno sapeva come agire, ovviamente.

Il fatto che i tamponi da privati, che escludono file e attese con la vicinanza di altre persone, abbiano un costo così elevato è stato ovviamente causa di un ulteriore innalzamento della curva epidemiologica, poiché molti, per la paura del contagio in fila alle ASL e/o per l’impossibilità economica a sottoporsi ad un tampone in clinica, hanno optato per non farlo e, nel caso fossero stati colpiti dal virus senza saperlo poiché asintomatici, continuare con la loro routine. Di conseguenza, si può affermare che l’accessibilità ai tamponi è aperta a tutti, purché si sia disposti a rischiare per farlo gratuitamente.
Una volta aver deciso di fare il tampone, bisogna valutare le possibilità e la disposizione a spendere o meno dei soldi per poterlo effettuare. Chi può, si avvale dei tamponi “privati”, in cliniche o centri diagnostici che hanno la licenza, pagando un prezzo abbastanza alto. Chi invece sceglie di farlo gratuitamente, va incontro ad ore di fila con altre persone, durante le quali il rischio di contagiarsi a vicenda, ovviamente, c’è. Quindi, anche in questo caso, ci sono gli “untori”, quelli che possono contagiare gli altri. Se volessimo condannare tutto questo gruppo, che in fin dei conti è una catena, ci troveremmo davanti a quasi  100 milioni di persone accusate di aver propagato un virus che, in molti casi, non sapevano di avere prima di interrompere la loro vita quotidiana, fatta di lavoro e tempo libero da condividere con gli altri.

Davanti al virus siamo tutti uguali, nessuno ha la sicurezza di non contrarlo e tantomeno, se non sono prese le giuste precauzioni, di non diffonderlo.

Discriminazioni e xenofobia sono caratteri dell’uomo, non giustificabili o accettabili come scuse, parliamo, invece, di responsabilità.

Mariaelena Piazzesi

3 A Cambridge Liceo G.B. Vico Napoli