Marzo ritorna inesorabile dopo quasi un anno dall’inizio del primo Lockdown: è arrivato il momento di fare un bilancio effettivo di ciò che questo Covid ci ha lasciato: molte morti ingiuste, un picco di inquinamento ambientale, un crollo dell’economia mondiale e una restrizione di socialità… Ma come ha reagito l’interiorità umana a questo stravolgimento di vita e di abitudini? Tutti hanno avuto uno spirito di resilienza abbastanza accentuato da affrontare la situazione?
Gli psicologi, indagando tramite gli studi e i servizi telefonici di sostegno offerti in pieno Lockdown, sono giunti a delle conclusioni: alcuni tendono a vivere come se nulla fosse, come se la pandemia fosse già un lontano ricordo, altri al contrario si recludono ogni occasione di vivere, limitandosi ad una mera e inappagante sopravvivenza. Questi ultimi si sono scoperti essere affetti dalla cosiddetta “sindrome della capanna”, una reazione psicologica conseguente ad un lungo periodo di isolamento sociale, che non trova riscontro nella letteratura scientifica in quanto non si è mai manifestata prima d’ora.
In cosa consiste questa sindrome? Essenzialmente nella paura di uscire e vedere un mondo anomalo, che non si riconosce semplicemente perché è diverso da quello che ricordavamo. Anche se durante il lockdown ci era stata imposta la rivisitazione delle nostre abitudini e di conseguenza era divenuta fisiologica la necessità di evadere momentaneamente dalle quattro mura domestiche anche solo per andare a fare la spesa o per portare fuori il cane, molte persone al via libera dato dallo stato lo scorso 4 maggio non si sono sentite pronte a continuare la vita di prima perché tutto era cambiato. Alla sicura e calda realtà di casa, involucro sanificato e protetto da ogni pericolo, si contrappone quella pericolosa e infida della strada, dove il nemico invisibile può colpire più facilmente, talvolta riuscendo a violare l’effimera barriera delle mascherine. Si amplifica così qualunque tipo di ipocondria. La paura di infettarsi sale alle stelle seguita da quella di contagiare i propri amici e familiari. Ansia, tristezza, angoscia, mancanza di energia e di entusiasmo, diminuzione della motivazione, senso di solitudine, percezione di essere senza speranza, frustrazione, perdita del sonno e sentimento di non appartenenza alla società. Questi sono alcuni dei sintomi della nuova sindrome, oggi ampiamente diffusa in giro per il mondo sia tra chi aveva avuto un atteggiamento più ottimista e resiliente, sia tra chi aveva vissuto l’isolamento con insofferenza.
Questa reazione è comunque molto comprensibile. Cosa c’era in quel momento di più spaventoso rispetto al futuro incerto che ci si prospettava? Cosa di più terrorizzante dello sgretolarsi delle proprie vecchie certezze e routine o il dissolversi della relativa normalità? Tuttavia bisogna tentare di sconfiggere le paure e di ricalibrare la vita su un nuovo disegno di realtà. Ci sono lavori in corso per l’edificazione di un futuro migliore.
La giusta misura è il parametro essenziale sul quale dobbiamo basarci ora, in modo da non vivere né nell’indifferenza più totale né in una continua paura del mondo. Ormai bisogna vivere giorno per giorno, cercare di cogliere l’attimo come il buon vecchio Orazio ha sempre cercato di insegnarci per impedire al tempo di dilatarsi eccessivamente, di diventare liquido e scivolare via. Marzo sta tornando e ci dimostra come le stagioni siano gli unici elementi che oggi, ignari, seguono il proprio corso. Probabilmente cercano di indurre anche noi a fare lo stesso, vivendo, può sembrare una contraddizione, intensamente: il tempo scorre liquido assieme alle sue stagioni e noi, non potendolo solidificare, non possiamo permetterci di non provare nemmeno a dissetarcene… Ma sempre con parsimonia!
Giulia Peirce
