Scontri e arresti a Hong Kong

Dopo mesi di proteste, scontri e arresti, a Hong Kong si continua a manifestare all’interno del campus Politecnico.

Hong Kong è una regione amministrativa speciale della Cina: ha una sua moneta, una sua cultura, un proprio sistema politico e un sistema giudiziario che comprende, oltre al diritto di parola, anche il diritto di manifestare.
Secondo molti residenti, Pechino ha iniziato a violare i diritti di Hong Kong e già dal 2014 si verificarono le prime proteste dove i manifestanti chiesero al governo cinese delle elezioni libere a suffragio universale poiché solo la metà dei rappresentanti del potere legislativo veniva eletto dai cittadini, mentre la restante parte non poteva esprimere il proprio giudizio. Il 1 ° luglio del 2014, durante le celebrazioni per il primo anniversario del ritorno di Hong Kong in Cina, Hong Kong ha organizzato una manifestazione per chiedere maggiore autonomia: è stato l’inizio della cosiddetta “Rivoluzione degli ombrelli”. I manifestanti hanno, infatti, utilizzato ombrelli per proteggersi da spray al peperoncino e gas lacrimogeni, utilizzati dalla polizia. Le proteste si sono concluse dopo, circa, 80 giorni senza alcun risultato. A Marzo del 2019, hanno preso una piega differente, inizialmente, a causa di un emendamento alle leggi sulla estradizione: uno Stato consegna ad un altro un individuo indagato o con precedenti penali. I manifestanti hanno chiesto il ritiro di questa legge, oltre al rilascio degli arrestati durante la protesta. I ragazzi hanno utilizzato maschere antigas, laser e chat via Telegram e Facebook per sfuggire alla sorveglianza digitale cinese. La polizia ha risposto con modi violenti e non sempre legali, come ad esempio l’uccisione di uno dei manifestanti. Inoltre, una nuova legge ha imposto il divieto di utilizzare maschere durante le
proteste, per il riconoscimento dei manifestanti.

La protesta è tutt’ora in atto.

Testo e immagine di Giuliana Muscia, III M