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“Con rispetto. Educando”, vince il concorso Cristiana Tacca del ‘Marconi’

È passato ormai oltre un anno da quando buona parte dell’Italia si è apparentemente fermata, inaspettatamente congelata in un marzo 2020 che sembra non finire mai. Ed è così che, assieme a piani e progetti, si è trovata ad essere sospesa anche la premiazione per il concorso, bandito dal MIUR, sotto l’Alto Patronato della Presidenza della Repubblica, Con Rispetto. Educando, prevista per la Giornata Internazionale della Donna dello scorso anno. Dopo il rinvio causato dalla crisi sanitaria la premiazione si è svolta a distanza nella giornata dell’8 marzo 2021, data simbolica per un progetto indetto per questa ricorrenza e che da ormai quattordici anni propone alle studentesse e agli studenti delle scuole italiane una riflessione sul tema dell’educazione al rispetto nelle relazioni private, nei luoghi di lavoro e in tutti gli spazi di vita. La cerimonia, tenutasi nella mattinata di lunedì, ha coinvolto le scuole premiate, appartenenti a tutti gli ordini scolastici, e il Quirinale. Dopo la presentazione di un video che raccoglieva le motivazioni per cui ogni singolo lavoro aveva vinto e un altro di presentazione realizzato dai vincitori, lo stesso Presidente della Repubblica Sergio Mattarella è intervenuto con un discorso dedicato alle studentesse e agli studenti.

A partecipare alla videoconferenza, premiata da Mattarella con il primo posto nella classifica del concorso, c’era Cristiana Tacca, studentessa che oggi frequenta il quarto anno di Liceo Classico nell’Istituto “G. Marconi” di Colleferro. Presente con lei da dietro lo schermo, c’era la sua classe e la professoressa Liliana Zaghi. “Dopo la fine della premiazione ho ricevuto i complimenti della professoressa – mi ha fatto emozionare – e di tutte le mie compagne e i miei compagni”, dice Cristiana, “ho letto a tutti il mio racconto; mi ha fatto piacere il riscontro della mia classe e il fatto che sia stato riconosciuto il peso che ha avuto la presenza alle mie spalle di una classe che mi ha supportata, un ambiente piacevole che mi ha permesso di avere la tranquillità per poter mettere su carta la mia idea.” Ed è sempre alla sua classe che pensa ricordando le sensazioni provate in quel momento: l’agitazione e l’ansia causate dal sapersi sotto gli occhi di tutti, ma anche l’emozione e la commozione. Sono queste ultime in particolari le sensazioni che troviamo nelle parole della studentessa quando parla del video trasmesso subito dopo l’intervento del ministro dell’istruzione, Patrizio Bianchi. “Mi hanno soprattutto emozionata – mi stavo commuovendo – gli splendidi lavori degli altri”, racconta, “e soprattutto quelli dei bambini dell’infanzia e delle elementari, che hanno dimostrato una grandissima maturità. I video del concorso erano stati girati prima della pandemia ed è stato particolarmente toccante vedere i bambini che si abbracciavano.”

Nel video presentato durante la premiazione Cristiana afferma che “l’idea del racconto è partita pensando al concetto del comunicare e del relazionarsi con gli altri, idea che ho subito associato al cibo come momento di convivialità, dello stare insieme. È stato soltanto dopo aver finito il racconto che mi sono resa conto di quanto la lettura di Kitchen di Banana Yoshimoto mi avesse influenzato. Quando lo avevo letto avevo avuto la sensazione che non mi avesse lasciato niente, invece l’avevo assorbito ed è come se inconsciamente mi avesse ispirato.” Il racconto non si limita però a vestire i panni di una rielaborazione: Cristiana sottolinea infatti che “il concorso verteva sull’idea della parola e della comunicazione come forma di rispetto: il fulcro era l’educazione alla parola. Il mio racconto è una metafora, oltre che una storia molto introspettiva: attraverso la metafora del cibo in realtà voglio esprimere quella che è l’educazione al dialogo della protagonista, la quale non ha un nome perché fondamentalmente può essere chiunque. Ed è così che come tutti noi impara a cucinare in maniera adeguata, o meglio non impara semplicemente a cucinare, ma ad esprimersi in modo tale da non ferire nessuno, anche sulla base delle sue esperienze passate.”

“La notizia della vittoria è arrivata totalmente inaspettata a pochi giorni dall’inizio del lockdown”, ricorda Cristiana, “è stata una professoressa a chiamare mio padre per comunicargli che avevo vinto. Ovviamente ero molto confusa ed emozionata: non me l’aspettavo assolutamente e sono rimasta piacevolmente sorpresa. Certo mi è dispiaciuto che in quel momento non si potesse tenere la premiazione, però di fronte alla gioia, stentavo a crederci, di aver vinto chiaramente poco mi importava della cerimonia in sé.” E così oggi, all’indomani dell’effettiva cerimonia tenutasi a un anno di distanza, questo lento e graduale ritorno a ciò che prima era abituale lascia ben sperare nel futuro. Sono dunque doverosi i complimenti e i migliori auguri a Cristiana: che la tua vittoria possa essere l’inizio di qualcosa di nuovo.

Motivazione al premio per Cristiana Tacca, per il racconto “Dalla bocca al cuore”:

“L’originalità dell’elaborato è resa dal particolare effetto narrativo della “metafora culinaria” dove le parole rimandano al cibo. Viene sottolineata l’importanza dell’educazione sentimentale attraverso il fantasioso e creativo utilizzo del linguaggio. L’autrice fornisce la ricetta ideale per realizzare relazioni di qualità tra gli esseri umani che sanno travalicare ogni tipo di confine e di pregiudizio”.

Livia Blasio IV S

 

Dalla bocca al cuore

Amava servirle tiepide. Quel tepore che ti avvolge, ti fagocita, ti si infiltra sotto pelle. Che ti regala una sensazione di momentaneo piacere. Fredde le lasciavano solo un senso di distacco; erano fiocchi di neve che si sciolgono al sole, inconsistenti, e a loro volta la facevano sentire come uno di quei fiocchi: uno su miliardi. Le peggiori erano quelle calde, bollenti. Le cadevano addosso e le avevano lasciato delle brutte ustioni che a volte le bruciavano ancora. Poteva anche sforzarsi di ingoiarle fredde, nel vano tentativo di trasmettere loro il calore del suo corpo, e comunque ciò era più sopportabile, perché non lasciava segni visibili ad occhio nudo. Ma loro. Quei tizzoni ardenti da cui poteva difendersi solo in due modi: facendosi più piccola e provando a schivarli o rispondendo con la stessa arma, trasformandosi così nell’aggressore. In entrambi i casi sarebbe uscita sconfitta: avrebbe represso le sue emozioni nel primo caso o le avrebbe esasperate nel secondo. Non poteva però evitare di cibarsi di quel nettare, veicolo di ogni relazione. Ciò che più la rammaricava era che non tutti sapessero realmente cucinare quella pietanza dell’anima e della mente, e che nonostante ciò continuassero a reputarsi dei sapienti cuochi. E anche chi sapeva come preparare intere portate, non aveva comunque i mezzi per mettersi all’opera. Nell’intimo del suo appartamento le piaceva trascorrere ore a perfezionare la sua ricetta; utilizzava sempre gli stessi ingredienti, ma cambiava le dosi, a seconda delle persone a cui avrebbe presentato il risultato finale. Cuoceva tutto all’interno di un grande tegame, lentamente, per permettere agli ingredienti di fondersi tra loro (era questo il segreto), e poi serviva il denso liquido ottenuto in piccole ciotole. Teneva da parte gli avanzi, ma non era solita riproporli troppe volte, per non risultare monotona. Ciò a cui prestava più attenzione era, oltre al dosaggio, l’assaggio: non poteva essere sicura che, se qualcosa a lei piaceva, sarebbe stato gradito anche dagli altri, ma evitava di usare troppe spezie, per non insaporire troppo il tutto. La ricetta l’aveva trovata in un vecchio manuale e la cucinava per gli altri anche senza aspettarsi da loro nulla in cambio. Era difficile trovare qualcuno che ancora seguisse quei rigidi schemi; i suoi amici preferivano mescolare ingredienti senza alcun criterio e si mettevano ai fornelli solo per pura necessità; preferivano il cibo d’asporto, più conveniente ma più impersonale. Forse perché l’atto del cucinare, dell’impastare con le proprie mani, di sperimentare nuovi sapori non provocava in loro ciò che sollevava in lei: una tempesta trascinante, coinvolgente. Sentiva il bisogno impellente di nutrirsi e nutrire gli altri con quelle pietanze, nello smanioso tentativo di farsi esempio per tutti e di mostrare loro le ustioni che i loro piatti cucinati frettolosamente le avevano provocato. E tentando anche di rimediare alle ferite che lei stessa aveva inflitto quando ancora non aveva acquisito la consapevolezza delle proprie azioni. Quel giorno preparava il suo cavallo di battaglia proprio per uno di loro, che avevano conosciuto la lei del passato, ancora inesperta ai fornelli. E pensare come da allora il tempo avesse lenito il dolore, cancellato gli antichi rancori, e i due avessero cominciato a scambiarsi consigli in cucina. Si accinse ad eseguire i passi della ricetta: riempì un pentolone di empatia, vi aggiunse due manciate abbondanti di rispetto e lasciò cuocere per una mezz’ora; poi proseguì con qualche cucchiaio di comprensione e di attenzione; mise dentro anche una tazza di consapevolezza e altre due di riflessione. Mescolò bene e aggiunse un pizzico di sarcasmo per insaporire il piatto. Le cadde anche qualche goccia in più di coerenza. Condì il tutto con l’ascolto e lasciò la pentola sul fuoco ancora per un’ora. Quando fu passato il tempo, spense il fornello e assaggiò: si compiacque di come avesse cucinato bene. Prese due ciotole e versò dentro queste il contenuto della pentola. Solo dopo aver fatto tutto ciò, si fermò a contemplare il suo lavoro: il dosaggio perfetto degli ingredienti aveva dato vita ad un dialogo equilibrato, arricchito da un linguaggio misurato e corretto e da uno scambio di battute vivace e piacevole. Non dovette aspettare a lungo per condividere la sua creazione: di lì a poco l’ospite bussò alla porta e, dopo averlo fatto accomodare sul divano, gli porse una ciotola colma fino all’orlo. E quella sera si cibarono con gusto: le parole cominciarono a scorrere tra i due, trasportate dalla voce, non dai cucchiai, e accolte non dalla bocca, ma dalle orecchie. Si imboccarono a vicenda e lasciarono che quell’accostamento di suoni e quei pensieri tramutatisi in concreto traboccassero e si insinuassero dapprima nella loro mente e da lì, direttamente nei recessi della loro anima. Non ne lasciarono neanche una goccia dentro le ciotole, tanto erano affamati di contatto umano e comprensione reciproca, e quando ebbero terminato quella pietanza preparata con grande maestria, non ebbero più bisogno di ricorrere agli avanzi rimasti nel pentolone. Quel silenzio, ora, non faceva più paura ai due amici: loro avevano capito come riempirlo anche senza emettere alcun suono. Con le parole avevano costruito un ponte e adesso, anche senza dire niente, potevano attraversarlo e ricongiungersi. Perché non esistono confini, pregiudizi, ostilità che un dialogo rispettoso non possa abbattere.

Cristiana Tacca