La sfida ecologica al tempo della pandemia

Mascherine, guanti e dispositivi monouso sono utilizzati ogni giorno dalla maggior parte della popolazione mondiale: così il Covid-19 ravviva la fiamma della questione ambientale.

L’emergenza sanitaria ha confermato uno dei motivi per cui l’utilizzo della plastica è diventato così indispensabile: l’utilità nella tutela della nostra salute e della nostra sicurezza, ora più che mai. Del resto, secondo un articolo del New York Times del 23 marzo, già allora in Cina venivano prodotti 116 milioni di mascherine al giorno. Se da un lato siamo di fronte a un’inedita attenzione per l’igiene, il Covid-19 porta con sé una serie di effetti collaterali legati all’ambiente. 

La pandemia, e soprattutto la quarantena, hanno stimolato l’aumento degli acquisti online e con esso gli imballaggi plastici dei prodotti. Ciò che si è dimostrato vantaggioso, e necessario, per la salvaguardia della nostra salute – non solo fisica – ha avuto però un caro prezzo. E a pagarlo è stato l’ambiente. L’estate scorsa, sulla rivista Science of the Total Environment, sono stati pubblicati due studi che hanno fornito una panoramica delle politiche in atto contro l’inquinamento causato dalla plastica e dei loro riaggiustamenti durante l’emergenza sanitaria. La sconfitta maggiore, si evince, è che le misure preventive hanno messo un freno ai recenti progressi fatti in materia di sostenibilità e gestione dei rifiuti per paura di diffondere il virus. 

La pandemia ha ostacolato l’ambizione globale di ridurre la plastica e le decisioni concernono l’interesse pecuniario delle grandi aziende: nella sezione Covid-19 della Plastics Industry Association, un’associazione di categoria che rappresenta l’industria delle materie plastiche, si legge che questo materiale “diventerà sempre più vitale per aiutare a mantenere le nostre famiglie sane, il nostro cibo fresco e protetto e il nostro personale sanitario al sicuro”.

Il fattore più critico è costituito dalla pericolosità di alcuni rifiuti: a causa della persistenza dei virus, i rifiuti sanitari e domestici provenienti da case di persone positive o in quarantena obbligatoria sono stati classificati come infetti. Per ridurre il timore di trasmissione involontaria il riciclaggio è stato disincentivato; al contrario, l’accumulo in discarica e incenerimento hanno avuto la priorità. Ancora una volta l’effetto è duplice: contenimento del rischio per la nostra salute e aumento dell’impatto ambientale. 

Non sono state ancora fatte delle stime numeriche accurate, ma previsioni e reportage fotografici sì. Già ad aprile, il WWF ha rilasciato un report in cui si legge che se anche solo l’1% delle mascherine prodotte venisse disperso si tratterebbe di ben 10 milioni di pezzi. Da febbraio l’organizzazione OceansAsia documenta la loro presenza sulle spiagge delle Isole Soko, a largo di Hong Kong. 

La risoluzione della crisi causata da Covid-19 non può avvenire a discapito di altre questioni che l’umanità fronteggia ormai da parecchio tempo. Se prima della pandemia ogni tre tonnellate di pesce nuotava nel mare una tonnellata di plastica, pensare a quello che potrebbe succedere in un mondo post-coronavirus mette i brividi. 

Fonte: https://www.scienzainrete.it/articolo/pandemia-di-plastica/camilla-tuccillo/2021-02-01

Giacomo Freddi, 5D