A proposito di educazione….

Il rapporto tra padri e figli e l’educazione di questi ultimi possono essere una tematica tortuosa e delicata, questo perché spesso si vengono a creare contrasti tra i due e incomprensioni, non coincidendo la volontà del genitore con quella del figlio.

Questo legame è stato soggetto a mutazione con il tempo o è lo stesso da sempre?

Bisogna specificare che, a differenza di adesso, nel mondo antico i genitori avevano un ruolo statico e dei compiti ben definiti: la madre si occupava dello svezzamento e della prima fase di crescita del fanciullo mentre il padre incominciava a occuparsi del figlio più avanti nella crescita.

Questo conflitto nel mondo greco ci viene raccontato attraverso i miti e l’epica; inoltre il padre e il figlio erano legati da un patto di assistenza, il quale prevedeva che il padre insegnasse al figlio un mestiere ed egli durante la vecchiaia del padre si prendesse cura del genitore.

Diverso invece è nel mondo romano dove il padre, o meglio “pater familias”, aveva un potere assoluto nella propria famiglia, intesa come “società familiare” poiché comprendeva ascendenti, discendenti, parenti e schiavi. All’interno di essa aveva la facoltà di esercitare la legge (dettata dallo stesso), come un magistrato, infliggendo anche sanzioni. Egli dunque godeva di diritti economici, politici, educativi e anche religiosi, essendo sacerdote, in quanto compiva sacrifici agli Dei della casa per garantire protezione.

Possedeva un vero e proprio dovere educativo nei confronti del figlio; quando quest’ultimo compiva sette anni incominciava ufficialmente la personale educazione e addestramento, ed egli seguiva il padre nella vita pubblica. A diciassette anni il ragazzo abbandonava la toga praetexta per indossare quella virilis: questo simboleggiava il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, corrispondente all’incirca all’efebia ateniese,  e su questo figlio il padre esercitava un potere che perdurava fino alla sua morte , a differenza che nell’antica Grecia dove il potere del padre terminava con la maggiore età.

Dunque il padre aveva un potere assoluto sul figlio, decidendone vita e morte, non garantendogli alcun tipo di autonomia né economica né giuridica neanche da adulto, per questo all’epoca non era insolito che il rapporto fra i due fosse soggetto a complicazioni e tensioni, fino a sfociare in casi estremi in un parricidio.

Il conflitto generazionale fa da sfondo a molte delle celebri commedie dell’autore Terenzio, dove infatti vengono portati in primo piano i padri e i figli. La figura giovanile è rappresentata con simpatia, vittima di sofferenze amorose quasi ridicolizzate, mentre i padri, seppur gli antagonisti delle vicende, poiché il loro volere non combacia del tutto con quello del figlio, risultano quasi sempre disponibili al dialogo e all’indulgenza, preoccupati della felicità dei figli. Il conflitto generazionale è sfumato perché padri e figli non sono nemici (al contrario di quello che avviene in Plauto) ma sono legati da affetto e rispetto. Lo sfondo dunque delle vicende è il complicato passaggio dei figli dall’adolescenza all’età adulta. Il problema dell’educazione dei figli è approfondito maggiormente negli Adelphoe in cui l’autore vuole dimostrare che, ai fini dell’educazione serena dei giovani, è opportuno che i padri riservino alla prole un atteggiamento non troppo dispotico, bensì condiscendente. Questo andrà in contrasto con le credenze romane, per cui il pater familias era uno dei capisaldi del mos maiorum.

Nell’“Heautontimorumenos” la figura paterna è rappresentata da Cremete. Egli ha un rapporto con il figlio Clitifone basato sull’incomunicabilità e sulla presunzione del padre di conoscere  il figlio, quando in realtà tra i due è presente un abisso, dettato dall’assoluta autorità del genitore che non accetta i propri errori, anzi si sentirà talmente superiore rispetto agli altri che attuerà critiche  e giudizi sui metodi educativi di Menedemo, padre di Clinia che, a differenza di quest’ultimo, ha imparato dai propri errori. In un’altra commedia, l'”Andria”, la figura rilevante è Simone che rappresenta sempre una figura autoritaria che  non esclude però un rapporto di affetto con il figlio. Infine abbiamo negli “Adelphoe” la figura di due senes , Demea e Micione. Quest’ultimo ha educato il figlio Eschine in maniera liberale, più lassista, basando il loro rapporto sulla confidenza e sulla collaborazione, Demea al contrario è autoritario e il figlio gli ubbidisce solo per timore.

Micione sostiene che bisogna educare i figli senza troppa austerità affinché essi scelgano di seguire la via del bene perché ne sono convinti e non perché hanno paura dell’eventuale  punizione che infliggerà il padre. Lo scopo di Micione è di far interiorizzare il bene ai figli, indipendentemente dalla paura di un’eventuale punizione

Un altro celeberrimo autore, Catone, scrive dei libri dedicati al figlio Marco dove ci sono i precetti che  intende trasmettergli; insegnamenti di medicina, diritto, agricoltura, retorica, arte militare, non era un tuttologo ma la specializzazione non esisteva in quel periodo. Bisognava avere un infarinatura di tutte le discipline, una visione enciclopedica del sapere. Gli inculca anche dei precetti pratici: Catone svolse il nobile compito di plasmare e guidare il figlio verso l’acquisizione della virtù.

Il tema dell’educazione, ricorrente nella letteratura di tutte le epoche, può benissimo essere attualizzato. Prima di tutto è evidente come la famiglia di oggi, strutturalmente, non sia la stessa di quella della Roma antica, ma soprattutto la figura del pater familias si è andata sempre più a ridimensionare. Risulta veramente difficile trovare oggigiorno una figura paterna così dispotica e responsabile della mancata libertà del figlio; anzi, nel ventunesimo secolo, si cerca di andare contro  un sistema patriarcale chiuso e retrogrado: un semplice esempio potrebbe essere la possibilità che negli ultimi anni i genitori hanno di assegnare al figlio il doppio cognome, del padre e della madre. Fortunatamente la mentalità del padre è cambiata, in fondo sarebbe veramente difficile immaginare di essere vincolati alla propria famiglia per sempre e di non godere di diritti anche basilari . Nell’antica Roma il rapporto padri-figli si basava su una falsa premessa: poiché mio padre è qui molto tempo prima della mia nascita ed è appunto mio padre, sa meglio di me quello che è giusto e quello che è sbagliato; quando si cerca di allinearsi alle opinioni altrui (in questi caso dei genitori) invece che alla propria vibrazione ( paragonabile all’Io interiore) viene a mancare la libertà. Spesso la dinamica della famiglia segue questo modello: il padre inconsapevole del proprio sistema di guida, non sa offrire a se stesso modelli stabili di allineamento, scaricando sul figlio la responsabilità di cambiare affinché come padre possa stare meglio. È così che dopo la nascita del figlio il padre tenterà di insegnare schemi di comportamento che egli ritiene positivi: questo non permetterà al figlio di essere veramente ciò che desidera ma di essere quello che il genitore vuole che sia,affinchè quest’ultimo possa ritenersi felice e compiaciuto della propria “missione” educativa. Questo è un amore condizionato poiché il padre trasmette al figlio la responsabilità della propria felicità, gravando dunque sulla coscienza morale del fanciullo che non vuole deludere il proprio padre. Non si può trovare il giusto modo di comportarsi cercando di adattarsi ai desideri altrui e alle richieste delle persone con cui si vive.

Infine c’è da sottolineare  come la figura “paterna” non è necessariamente riferibile solo al padre in questione. Generalmente la madre è una figura più intima mentre quella paterna è legata più allo svago ma non è un’assegnazione fissa, dal momento che non esistono più degli schemi rigidi da seguire appartenenti a un genitore in base al sesso, tanto è vero che spesso in una famiglia la donna potrebbe essere la figura più autoritaria e il padre potrebbe essere più accondiscendente

 

Pannuto Ornella III C