Il lavoro nel mondo greco

Il lavoro rappresenta una attività fondamentale nella vita di un uomo essendo l’unico modo legittimo attraverso cui procurarsi i mezzi per il proprio sostentamento (escludendo ovviamente le persone ricche o dedite al crimine). Si tratta di un’attività universalmente accettata e che non viene messa in discussione in nessuna cultura, anzi molto spesso si discute proprio sulla mancanza di lavoro e sulle conseguenze che ne derivano. Ma come consideravano il lavoro i Greci antichi? Era un’attività veramente necessaria? E come veniva giustificato?

Innanzitutto, occorre precisare che il concetto di “lavoro”, come lo intendiamo oggi, può essere reso dal verbo ἐργάζομαι che indica appunto il “produrre qualche cosa” in ambito prevalentemente agricolo (che era l’attività principale nel mondo greco antico). Ma il modello di società che ci ha trasmesso Omero non è basato sulle attività produttive e, al contrario, egli ne prende le distanze sottolineando il legame tra lavoro e condizione servile. La cultura greca, infatti, è partita dal concetto secondo cui un tempo il lavoro non esisteva, la terra forniva spontaneamente i suoi frutti e l’uomo poteva goderne senza alcuno sforzo; è proprio ciò che dice Esiodo ne “ Le Opere e giorni” quando parla del tempo di Crono, un “tempo felice” in cui gli uomini vivevano in una sorta di Eden e non erano afflitti da alcuna incombenza. In una tale condizione è evidente che lavorare rappresentava un segno di inferiorità.

Ma essendo questo “tempo felice” ormai finito, occorre per forza di cose accettare l’idea che il lavoro agricolo sia necessario per garantire il proprio sostentamento; il lavoro, quindi, fa parte della vita dell’uomo e viene accettato a livello individuale. La conseguenza di questo pensiero è che da esso si può elaborare un’etica del lavoro che abbia valore a livello collettivo; in pratica, se lavorare è una cosa necessaria, da ciò deriva l’obbligo di lavorare bene seguendo delle regole condivise all’interno della comunità e che quindi rendono il lavoro una regola di comportamento.

Esiodo ribadisce la centralità del lavoro quando, in “Opere e giorni”, indica gli innegabili vantaggi del lavorare che possono essere sia materiali (come, ad esempio, il fatto di non provare fame o miseria) che sociali (quando dice che il lavoro viene apprezzato sia dagli uomini che dagli dèi) e riconoscendo quindi implicitamente ad esso un innegabile stigma positivo. L’uomo, al contrario degli animali, deve lavorare per evitare l’inganno e la violenza rispettando ciò che dice la natura; il lavoro, secondo questa ottica, è fine a sé stesso ed è grazie al lavoro che la vita di uomo ha senso in quanto nessun lavoro è da considerare vergognoso: solo non lavorare viene considerato vergognoso.

Tuttavia, lavorare è solo un dovere per procurarsi il sostentamento, non è un piacere. Esso non deve essere considerato il mezzo attraverso cui si realizza l’individuo ma soltanto un modo per dare tranquillità a sé stesso ed alla propria famiglia. L’attività lavorativa non consente l’inserimento dell’individuo nella vita della comunità perché, essendo impegnati in un’attività che garantisce il sostentamento, non si può fornire nessun apporto positivo alla vita della comunità stessa; d’altra parte, il lavoro potrebbe portare anche a delle degenerazioni, come la brama di guadagno, e proprio per questo chi ricopriva cariche politiche non doveva avere niente a che fare con le attività economiche.

Il pensiero economico moderno non ha preso molto da quello greco antico. L’ideologia attualmente dominante vede il lavoro come strumento per accumulare beni materiali e raggiungere una ricchezza sempre più ostentata. L’insegnamento di Esiodo, molto nobile nei suoi fini, è stato travisato nel momento in cui si attribuisce al lavoro anche  funzioni di oppressione e di controllo; invece, sarebbe ora di considerare l’aspetto “sociale” del lavoro, rivalutare Esiodo ed il suo pensiero, senza giungere all’eccesso opposto secondo cui il lavoro per l’uomo ha un solo scopo: quello di guadagnarsi del tempo libero

Ginevra Sabella III C