Storia, letteratura e attualità: intervista immaginaria ad uno degli autori più celebri della patrimonio culturale latino, Terenzio
B.F.: Buongiorno Maestro, sono Benedetta Falivene, una giovane aspirante scrittrice che ha avuto la possibilità di studiare ed analizzare le sue opere. Avrei intenzione di farle qualche domanda, ma prima di cominciare le chiedo di presentarsi, poiché molti dati sulla sua biografia sono ancora incerti.
T.: Se ha avuto il privilegio di leggere le mie opere, deduco di dover essere abbastanza famoso… probabilmente non tutto sulla mia vita è arrivato a voi nel futuro, quindi è necessaria una mia presentazione: il mio nome è Publio Terenzio Afro, nato a Cartagine e sono e sarò sempre un commediografo. Se, dopo lo scorrere di tutti questi secoli, è stato difficile ricavare informazioni sul mio vissuto, preferisco omettere la mia data di nascita per continuare a rimanere nel mistero. Tuttavia ho deciso di offrirle giusto qualche particolare sul mio passato; si ritenga, dunque, molto fortunata: fui educato dal Senatore Terenzio Lucano, che mi diede il nome, ed ebbi stretti rapporti con il Circolo degli Scipioni, ai quali devo l’ispirazione per le mie opere.
B.F.: A differenza del suo predecessore Plauto, che nei suoi scritti sottolinea il carattere ludico e fittizio delle opere letterarie, lei trattò di tematiche più alte: quali erano i suoi modelli di ispirazione e qual era il suo obbiettivo nella stesura dei testi?
T.: Durante la mia carriera letteraria ho osservato, studiato e ho imparato a conoscere il popolo romano, ho imparato ad immedesimarmi nelle esperienze di vita e ho compreso quanto avessimo l’esigenza di situazioni reali anche nella commedia. Così mi sono ispirato alla tradizione della spiritualità, alla tradizione greca, in particolare ai miei antenati ellenici Menandro e Apollodoro.
B.F.: Anche lo stile delle sue opere sottolinea questo aspetto più umano della sua produzione letteraria?
T.: Certamente. Ho prediletto uno stile più misurato e sobrio, evitando i tratti buffoneschi della commedia, e ho caricato le mie parole del pathos greco, per evidenziare l’introspezione psicologica dei personaggi.
B.F. È per questo che le sue commedie sono prive di quella “ vis comica” propria di tale genere?
T. : È esattamente per questo motivo, ottima osservazione!
B.F.: Una delle tematiche a Lei più care e più ricorrenti nel teatro comico, è il rapporto tra genitori-figli, con particolare attenzione al ruolo genitoriale dei padri. Per affrontare tale tematica si è ispirato al celebre commediografo greco Menandro, che ne parla nell’opera “La donna di Samo”. Quali innovazioni ha apportato rispetto alla poesia greca?
T.: Menandro è stato fonte di ispirazione, ma la mia poetica ha una concezione completamente diversa. Come ho già detto, il mio intento è quello di dare la possibilità ai fruitori del mio lavoro di riconoscersi nelle situazioni trattate, così ho scritto di problematiche di vita familiare comuni del mio tempo, approfondendo gli aspetti psicologici dei personaggi e offrendo un’evoluzione di essi nel corso della rappresentazione.
B. F.: Pensa che le sue opere possano adattarsi a qualsiasi epoca e contesto?
T.: Da bravo scrittore presuntuoso del mio tempo, le risponderei di sì, ma da acuto osservatore e studioso quale sono, sarò più cauto e riflessivo nella risposta. Sicuramente le epoche sono cambiate, la mentalità altrettanto; forse oggi le situazioni narrate nelle mie commedie non si adattano perfettamente alla realtà attuale, ma personalmente penso che un rapporto tanto conflittuale, quanto fondamentale per la crescita e per la formazione, come quello tra genitori e figli, sia un aspetto della vita che non può essere tralasciato. In qualsiasi epoca in cui ci si trovi, ritengo che sia importantissimo che uno scrittore affronti una tematica del genere e credo anche che, a prescindere dalla mentalità e dalle tradizioni correnti, il rapporto tra genitori e figli rimanga una delle tematiche più affrontate nella letteratura. Mi interesserebbe tanto saperne di più sull’odierno rapporto che c’è tra i membri di una famiglia…
B.F.: Il suo è stato un secolo di divisione, tra chi appoggiava e chi contrastava la contaminazione con la cultura greca. Lei come si pone in merito alla questione e soprattutto quale rapporto aveva con il Circolo degli Scipioni?
T.: Come si evince dai miei testi e soprattutto dalle mie amicizie e conoscenze, sono sempre stato favorevole alla contaminazione e alla riuscita di un processo di ellenizzazione. D’altro canto il Circolo degli Scipioni è stato uno dei primi a promuovere una contaminazione tra la cultura romana e quella greca, ed è per questo che mi avvicinai a loro. La mescolanza letteraria è fondamentale per poter garantire una visione più ampia e un arricchimento del testo; senza l’influenza greca le mie opere non sarebbero ciò che sono. Tuttavia riconosco, modestamente, il mio talento nell’aver trovato una mia dimensione, introducendo tematiche diverse da quelle scipioniche, come il concetto dell’humanitas.
B.F.: Colgo l’occasione per chiederle proprio il significato di tale concetto.
T.: L’humanitas è la virtù principale dei sani rapporti familiari, basati, grazie ad essa, sulla fiducia e sul rispetto. Decisi di parlarne poiché, all’epoca, tale valore era raro; spero che oggigiorno l’umanità sia negli animi di tutti i padri. L’opera che incarna perfettamente la tematica dell’humanitas è “l’Andria” ; consiglio vivamente di leggerla, soprattutto ai padri di famiglia.
B.F.: Concluderei questa intervista con un’ultima domanda: nel corso della sua carriera alcuni critici l’hanno accusata di essere un prestanome al servizio degli Scipioni, di utilizzare in modo eccessivo la “contaminatio”, di mancare di originalità; come si difende da queste gravissime accuse?
T.: Come vede sul mio viso c’è solo un gran sorriso, poiché tali accuse sono assolutamente infondate e celano una profonda invidia per il talento nell’essere riuscito a sfruttare il genere comico per poter trattare argomenti più seri; evidentemente i miei detrattori peccano di superficialità e di scarsa sensibilità se non riescono ad apprezzare l’importanza del mio teatro. Riguardo l’originalità, mi difendo da questa meschina accusa semplicemente analizzando le opere dei miei predecessori: non esiste nulla che non sia già stato scritto o recitato, il talento sta nel rielaborarlo in maniera personale.
B.F.: La ringrazio, Maestro, per essersi prestato a questa intervista.
T.: Ringrazio lei per avermi dato questa possibilità. Le consiglio di leggere le mie commedie o di recarsi in un teatro, se mai le rappresentassero
Benedetta Falivene III C