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La donna ai tempi di Omero ed Esiodo: da Pandora a Penelope alle dee dell’Olimpo

La figura della donna nel tempo ha subito molteplici variazioni, da società misogine a culture matriarcali.Ma appare contorta la visione che ne avevano nella Grecia dei tempi di Omero ed Esiodo (entrambi di datazione incerta ma possibilmente collocabili nel VI secolo a. C.).
Il dubbio che sorge nella visione che al tempo si aveva della donna nasce da un forte contrasto tra i miti ed i racconti di varie figure femminili.
Genericamente sappiamo infatti che le donne erano comunque prive di moltissimi, quasi tutti, i diritti che invece spettavano agli uomini, ed erano maggiormente prive di indipendenza, incapacitate dunque dalla società a vivere sole, senza un marito.
Questa situazione emerge fortemente dalle due figure narrate da Omero in poemi differenti, Andromaca nell’Iliade e Penelope
nell’Odissea. Nel primo caso, quello della moglie dell’eroe troiano Ettore, leggendo il dialogo che avviene tra l’eroe ed Andromaca, emerge quella che è una realtà crudele nei confronti di una donna che, nel qual caso il marito venga ucciso, come capiterà ad Ettore, sarà condotta alla rovina. La donna infatti conosce il destino che attende lei e suo figlio e prega il marito di non battersi con il più forte degli Achei, Achille, poiché la sua morte non sarà solo una morte, ma spingerà la donna, rimasta sempre per mano di Achille senza una famiglia di provenienza, alla schiavitù.
Il problema dell’assenza del marito è lo stesso che si ripercuote su Penelope, ma viene dettato in una chiave diversa dall’autore,
diventando anche una delle tesi a sostegno della teoria per la quale i due poemi non siano stati composti dallo stesso autore.
Penelope infatti, in assenza di Ulisse creduto morto, pur essendo vittima delle violente pretese degli uomini che vogliono prenderla in sposa, riesce, grazie alla propria astuzia, a mantenere la propria libertà.
Emerge dunque una caratteristica rilevante della figura femminile dell’epoca, che viene qui vista come propria di uno spiccato intelletto. Penelope è infatti la vera e propria protagonista dell’Odissea, e rappresenta il modello eroico della donna dell’epoca, ovvero una moglie fedele, che resiste alle lusinghe di altri uomini. La sua figura va infatti in contrasto in maniera evidente con i  modelli antieroici dello stesso poema, come la figura di Elena, la moglie infedele che a causa di tale infedeltà è causa scatenante di una tragica guerra (colpa che invece non viene data con tale intensità a Paride, nonostante sia stato lui a sedurre equasi rapire la moglie del re dal quale era ospite), e Clitemnestra, la sposa infedele che uccide il proprio marito.
Si nota inoltre come questo concetto non valesse per gli uomini, quando Odisseo continua ad apparire come un eroe nonostante i suoi tradimenti a Penelope.
La figura maschile era infatti totalmente scagionata dai tradimenti, ma anzi questi erano spesso accettati ed esternati in quanto parte della realtà quotidiana, che non influiva però sull’amore coniugale, che aveva un significato completamente differente dalle relazioni carnali di un uomo. La figura della moglie era quindi spesso accompagnata da quella delle Etere. Demostene, nelle Orazioni sostiene che le amanti erano tenute per il piacere, le concubine perché servissero quotidianamente, le mogli perché procreassero figli ed accudissero fedelmente la casa.
Da Penelope emerge un altro aspetto della vita femminile che è quello dello spazio che vi era destinato. Infatti, mentre Odisseo si muove infatti negli svariati luoghi della sua narrazione, lo spazio esclusivo di Penelope resta la reggia, soprattutto la stanza dove il marito stesso ha  costruito il letto matrimoniale. Nella visione dell’epoca infatti le donne non possedevano libertà elevata ed erano relegate a stare, specialmente se appartenenti a buona famiglia, all’interno delle mura domestiche. specialmente il luogo della casa definito “gineceo”, ovvero la parte più interna della casa.
In seguito, con l’avvento della democrazia, questo aspetto sarebbe ancora peggiorato, spingendo a chiudere quasi totalmente le donne, almeno fino al raggiungimento dell’età della menopausa. La donna era infatti vista spesso come un bene, una ricchezza,
oggettificata in quanto essere capace di generare la prole legittima, l’unica possedente la cittadinanza.
Le uniche donne che realmente possedevano libertà di movimento erano le Etere, che fornivano prestazioni sessuali, ma offrivano anche compagnia e spesso intrattenevano relazioni prolungate con i clienti.
Le etere dovevano esibirsi in spettacoli musicali e di danza che avevano luogo anche durante i banchetti. Godevano di libertà
esclusive e potevano gestire autonomamente i propri averi ed uscire di casa a loro piacimento.
Ma per quanto la visione dei poemi omerici sia maschilista, il mito che rappresenta il culmine della misoginia dell’epoca è quello di Pandora, narrato da Esiodo nel poema “Opere e giorni”. Egli spiega infatti il male del mondo riprendendo il mito di Prometeo. Il titano infatti aveva ordito un inganno a Zeus che, per vendicarsi, invia agli uomini la prima donna, Pandora. Questa figura è capace di incantare l’uomo con la bellezza e la parola ed è artefice dei mali, dato che per curiosità apre il vaso che li conteneva e si rende colpevole della loro dispersione nel mondo. La prima donna dunque è un essere che attrae e dissemina sventure sulla Terra, divenendo la causa della necessità di lavoro per l’uomo.
L’autore giustifica inoltre l’esistenza di mogli buone, ma non le vede ugualmente come una cosa positiva, ma quello che potrebbe essere definito come un male minore. Per l’autore infatti la donna è una sventura in qualsiasi sua forma e condanna l’uomo alla sofferenza, poiché in sua assenza questo soffrirà la solitudine e non avrà figli, insua presenza dovrà lavorare di più per mantenerla. E se questa sarà anche cattiva, la sua agonia aumenterà. Questa tremenda visione è però frutto di una società dove la donna non ha la possibilità di lavorare e quindi mantenersi. Risulta quasi comico come l’uomo la veda come un parassita ma non dia la possibilità a questa di mantenersi da sola. Ma la contraddizione maggiore della donna per gli antichi è la presenza delle numerosissime divinità femminili, che in epoca più antica erano addirittura le uniche divinità venerate.
Le dee sono infatti completamente opposte alle donne terrene, e godono delle virtù maggiori, come Atena, divinità dell’intelligenza, della pace, delle arti manuali, della strategia militare (ovvero l’aspetto più nobile della guerra, contrario ad Ares, il quale si occupava degli aspetti più brutali e malvagi), dei manufatti e della saggezza, ed
Artemide, dea della caccia, del selvaggio, degli animali, della foresta, e della luna, protettrice delle fanciulle, delle vergini e del parto senza dolore. Come siano sorte tali differenze così nette appare ancora dubbio, e fa parte di un quadro ampio che è quello della figura femminile all’epoca dell’antica Grecia.
Flavia De Ruggiero, classe 3C del liceo G.B. Vico