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Nodo piano: Sciogliere, legare, ringraziare – Un filo di lana

Tra i nodi principali c’è il nodo piano, che serve per giungere due corde della stessa dimensione, è un nodo molto veloce da sciogliere e molto usato per terminare le legature.

I pescatori, gli acrobati, gli uomini – e le donne – dei boschi, gli uomini – e le donne – che sono impegnati in svariate operazioni di soccorso, sono esperti di nodi– così come le madri – e i padri, le sarte – e i sarti, le maestre – e i maestri. Sono uomini e donne che, spesso, utilizzano le mani, non solo il tocco delle dita su una tastiera. Di questi tempi, sembra che un tocco delle dita possa bastare per fare molte cose: incontrare l’altro – collegandosi in piattaforma, in chat; preparare la cena – ordinandola on line; guardare un film, una mostra, partecipare ad un evento – digitando un codice.

Ma basta davvero?

Un filo di lana è solo un filo di lana. Che cosa si può fare con un filo di lana? Con un po’ di colla a caldo, si possono fare dei baffi per un gatto disegnato su un foglio da un bambino; un po’ di bricolage, forse. Oppure, con Platone nel Simposio, possiamo guardare questo rivoletto colorato con gli occhi dell’immaginazione e vedere in esso un percorso di conoscenza che unisce una persona ad un’altra.

I nove nodi del nostro filo di lana hanno rappresentato le tappe di un cammino che non è affatto un procedere in linea retta, come un travaso di conoscenze certe da un maestro ad un allievo, ma è piuttosto un sentiero che ci chiede di sostare, riflettere, ascoltare, discernere. I nostri nodi si sono rivelati concetti problematici, che necessitano di meditazione e manipolazione di pensiero e di cuore.

L’etimologia del termine “problema” ci rimanda alla parola “ostacolo”. Gli ostacoli ci impediscono di raggiungere velocemente i nostri obiettivi, ci danno noia, ci costano fatica e preoccupazione, ma proprio per questo ci stimolano a fare ricorso alle nostre energie più profonde e ci consentono di sviluppare forza di carattere, intelligenza, fantasia, fiducia in noi stessi e negli altri, coraggio. Gli ostacoli ci insegnano la lentezza: ci vuole tempo per cucinare un buon piatto, per raggiungere la vetta di una montagna, per eseguire bene una sonata, per realizzare un dipinto, per scrivere una poesia; ci vuole tempo per riflettere su un’idea, per costruire un dialogo, una relazione autentica. Ci vuole tempo per conoscere il nostro desiderio profondo.

L’intelligenza umana ha tempi più lunghi rispetto all’intelligenza artificiale, perché è intrecciata con il corpo e nel corpo trova ostacoli e risorse: la tempesta delle emozioni, i colori dei sentimenti, il mezzogiorno della giovinezza, i terremoti della fragilità, delle stanchezze, delle paure. Il cammino viene rallentato, il filo di lana si aggroviglia in nodi che, spesso, si sciolgono grazie all’aiuto di qualcuno e si riallacciano ad altri fili e ad altri luoghi, ponendoci di fronte a nuove sfide, a nuovi incontri, a nuovi ostacoli.

Un ostacolo è questo tempo che corre veloce e sembra sempre uguale e, invece, è  – ancora – la possibilità di esprimere la nostra originalità; un ostacolo è lo spazio della distanza obbligata, la mascherina che ci limita nella parola, rende superfluo il rossetto e, tuttavia, ci insegna la forza dello sguardo; un ostacolo è il corpo quando può diventare casa del virus, e al contempo ci ricorda che siamo – tutti –  dentro al fiume della Storia e che la vita è tanto più grande di noi; un ostacolo è il mistero dell’altro, minaccia e desiderio; ascolto, narrazione e dialogo, empatia e conflitto. E la consapevolezza che nessuno si salva da solo – sarebbe ben poca cosa, infatti, salvare solo la vita del corpo. Ci sono molte morti ogni giorno di questi tempi, molte più di quelle registrate attraverso i numeri. La speranza, infatti, si comporta come un virus: se non trova ambienti adatti alla sua sopravvivenza, lentamente si spegne. E così la gioia, la capacità di progettare, di immaginare, di ridere.

Nella Storia dell’uomo, gli ostacoli e le crisi hanno sempre aperto nuove strade, liberato energie nascoste e configurato nuove opportunità. Senza la reclusione forzata di un gruppo di ragazze e ragazzi nella campagna fiorentina del 1300, non ci sarebbe stato il Decamerone; senza l’esperienza della peste, non ci sarebbero state, nel nostro Bel Paese, le modifiche economiche e politiche con l’ascesa delle Signorie, non ci sarebbe stata la scoperta dell’intonaco nel campo delle costruzioni e l’arte innovativa con la quale vennero decorate le pareti degli edifici dell’Italia rinascimentale.

Forse, come dice Philippe Daverio riflettendo sulla paura di questo tempo, ci aspetta un nuovo rinascimento? Forse, quando non saranno più necessarie le mascherine, cominceremo a disegnare rapporti nuovi, basati non solo su categorie economiche di mercato? Forse saremo capaci di apprezzare più profondamente le piccole cose? – e di riconoscere che non sono tanto piccole.

Certamente, è la prima volta che ci troviamo ad affrontare un’epidemia planetaria nell’età globale, e dunque, a combattere la battaglia contro il virus e almeno contro altri due flagelli: l’accidia e l’infodemia, e quindi il profondo senso di malessere e di disorientamento che derivano dalla deformazione della realtà, dovuta al mare delle informazioni e notizie nel quale siamo costantemente immersi. Tuttavia, non possiamo cedere alla paura, alla noia, all’infelicità. Dobbiamo interrogarci per trovare strade nuove, imparare a fidarci di ciò che ci abita nel profondo e impegnarci per la vita.

Possiamo immaginare che nel mondo post Covid, ci vorrà un linguaggio nuovo, quello della poesia, dell’arte e della musica, quello capace di sviluppare le intuizioni umanizzanti dell’economia civile, un linguaggio capace di dare una forma nuova alle case, alle città, alle scuole, dove i bambini possano giocare, gli alberi fiorire, gli anziani donare e i giovani innamorarsi e progettare.

L’uomo medievale alzava lo sguardo alle stelle per pregare. Il suo sentimento era il timore.

L’uomo moderno alzava lo sguardo alle stelle per possederle.  Il suo sentimento era l’audacia.

L’uomo – e la donna – dell’età globale non hanno alzato lo sguardo per molto tempo. Il sentimento è stato quello dell’autosufficienza, della fluidità e, spesso, del non senso.

Oggi molti sono tornati a guardare le stelle per maledire o per pregare. Eppure, è possibile guardare le stelle, guardando innanzitutto gli altri e con gli altri: tra tutte le cose del mondo, tra tutti i prodigi della tecnica e dell’arte, tra tutte le bellezze della Natura, gli uomini sono la cosa più preziosa: siamo fatti della stessa materia delle stelle… e, soprattutto, siamo gli unici a saperlo.

 

“Un filo di lana” è stata per me un’esperienza di studio, di approfondimento, di crescita personale e professionale. Grazie alle prof.sse Giovanna Santangelo e Clotilde Muzii, che mi hanno esortato a scrivere e mi hanno incoraggiato costantemente. Grazie ai ragazzi del Mattioli’s Chronicles, a ciascuno dei miei studenti. E un grazie particolare alla collega e amica, Rita Della Selva che mi ha supportato nell’individuazione dei nove nodi e che rappresenta per me un riferimento molto importante per la comprensione delle dinamiche storiche che sottendono alle idee. La sua formazione tecnica coniugata alla sua approfondita conoscenza della Filosofia e delle Scienze Umane, oltre che la sua viva sensibilità, la rendono una docente e un’educatrice straordinaria.

di Patrizia Ciccarella