Un modello, epoche diverse: Timone Ateniese

La lettura di opere della letteratura latina e greca è in grado di lasciare nel lettore una sensazione di fascino e curiosità per i contenuti trattati; tuttavia, spesso, tale curiosità non viene approfondita, con il risultato di trascurare importanti nozioni sulle scelte dell’autore e i suoi modelli di riferimento. Per arrivare a tale considerazione, basti osservare, ad esempio, come dietro il protagonista del “Δύσκολος” (Misantropo) di Menandro, Cnemone, si celi una figura realmente esistita e di ispirazione per molti autori nelle epoche successive, Timone Ateniese. È probabile che molti di voi, leggendo il titolo di questo articolo, si stiano chiedendo chi sia l’uomo in questione, o meglio chi sia stato. Come è intuibile dal nome, Timone era un uomo nato e vissuto nell’Atene del V secolo a.C. e ciò che lo rese una figura leggendaria e d’ispirazione nei secoli successivi fu il suo atteggiamento di avversione nei confronti dell’umanità. Come riporta Luciano nel suo dialogo dal titolo omonimo, la misantropia che caratterizzò Timone non era legata a una presa di posizione ingiustificata, al contrario, fu la conseguenza dell’abbandono e della derisione dei suoi più cari amici, quando cadde in disgrazia. Inizialmente, infatti, Timone era stato un uomo molto ricco che aiutò economicamente diversi compagni in difficoltà, tuttavia, a causa di una cattiva gestione del denaro, perse tutte le sue ricchezze e si ritrovò solo: nessuno tra coloro che aveva aiutato in precedenza gli rimase vicino.

A seguito di questo accaduto, egli divenne “misantropo”, ovvero crebbe in lui un sentimento di odio nei confronti di un genere umano, accusato di agire solo per biechi interessi personali. La sua forte personalità rese celebre Timone soprattutto nella commedia: Frinico nell’opera Μονότροπος caratterizza il protagonista, il quale dichiara di ispirarsi allo stile di vita dell’uomo, senza legami sentimentali e priva di emozioni; Antifane, invece, compone una commedia incentrata interamente sulla storia di Timone e infine Menandro nel Δύσκολος, già citato, associa gli stessi tratti caratteriali dell’uomo al protagonista Cnemone.

La fortuna del personaggio di Timone fu consacrata, quindi, dalla commedia, però ben presto entrò anche nell’immaginario collettivo, giungendo persino a Roma. Grazie allo storico Plutarco, infatti, ci è noto che Marco Antonio, dopo la sconfitta di Azio, deluso e abbandonato dagli amici, si costruì un’abitazione solitaria sull’isola di Faro, chiamata Timoneo, su ispirazione della scelta effettuata dal citato personaggio greco. Sempre in questa sezione della “Vita di Antonio”, Plutarco prosegue soffermandosi sulla figura storica di Timone, raccontando del suo carattere difficile, intrattabile e dell’ ammirazione per Alcibiade, in quanto procurò agli Ateniesi molti guai. Lo storico ci riporta persino un epitaffio funebre composto da Timone, che sembra proprio rovesciare il motivo comune nelle epigrafi sepolcrali, secondo cui il passante era invitato ad avvicinarsi per leggere l’iscrizione, garantendo il ricordo del defunto presso i vivi.

L’epitaffio recita: <<Qui, strappato di trista vita il filo, giaccio. Il mio nome non saprete, e crepate, o maledetti, male>>; qui Timone appare pienamente misantropo, in quanto arriva ad augurare la morte a chi non rispetterà la solitudine della sua sepoltura.

La fama di Timone nel corso dei secoli fu tramandata di opera in opera, sino ad approdare all’Inghilterra del 1600 di William Shakespeare. Quest’ultimo, infatti, riuscì a contestualizzare la storia dell’uomo greco all’interno della sua tragedia dal titolo omonimo, in risposta alla trasformazione sociale riflessa nel teatro in quegli anni. Si trattava di una trasformazione del pubblico, con il progressivo allontanamento della classe media londinese, che aveva preso coscienza della sua nuova condizione sociale, legata alla accresciuta potenza economica e una trasformazione dello spazio scenico, con il trasferimento delle compagnie di attori professionisti dai teatro all’aperto a quelli al chiuso, cosiddetti “privati”. Queste trasformazioni sono criticate dall’autore attraverso le parole di Timone, il quale esprime con un linguaggio di straordinaria violenza verbale unita ad una incisiva poeticità la condanna ai suoi contemporanei, accusati di aver rinunciato alla loro essenza di uomini per lasciarsi governare dal potere dell’oro, forza di dominio incombente del capitalismo moderno che nasceva proprio in quegli anni.

È davvero sorprendente, dunque, scoprire quanto si celi dietro la scelta artistica dei singoli modelli di riferimento e quanto essi possano, a loro volta, influenzare altri autori, i quali apparentemente, per i temi trattati e i diversi contesti storici, non avrebbero nulla in comune. Del resto è questo il fascino nascosto di ogni produzione letteraria e più in generale artistica, resta a noi però, come sempre, il compito di approfondirla e immergerci nella sua bellezza.

Greco Iris Maria 5°E