Il relativismo culturale erodoteo e i suoi rischi

Il relativismo culturale è una modalità di confronto, o meglio, un forte riconoscimento della variabilità di costumi, culture, lingue e società. L’atteggiamento relativistico è incline a riconoscere le ragioni e ad affermarne non solo l’esistenza, ma anche l’incidenza e la significatività della molteplicità nell’organizzazione della vita e della società umana. Un ottimo esempio di atteggiamento relativistico  è contenuto nelle Storie di Erodoto, là dove egli racconta l’esperimento etnologico di Dario, successore di Cambise sul trono persiano. Una volta messi a confronto i popoli che abitavano i confini orientali e occidentali dell’impero persiano, ovvero i Greci e gli Indiani Callati, Dario chiede loro a quale prezzo sarebbero disposti a rinunciare alle loro rispettive pratiche funerarie (quella di bruciare i cadaveri da parte dei Greci e quella di divorare il corpo dei genitori defunti da parte degli indiani Callati), ricevendone in entrambi i casi una risposta non solo negativa, ma anche indignata. Agli occhi dei Greci è infatti repellente mangiare i cadaveri, ma agli occhi dei Callati è altrettanto obbrobrioso bruciarli. Approvato ciò, l’atteggiamento relativistico erodoteo consiste nel considerare insensata la questione di quale sia il costume ‘migliore’ (cremazione o endocannibalismo, nel caso affrontato da Dario): il giudizio su ciò che è ‘migliore’ viene infatti già espresso dagli individui che adottano i costumi della propria cultura; e non è pensabile un’istanza superiore alle singole società. “Il costume (νόμος) è sovrano di tutte le cose” così Erodoto conclude il brano dell’esperimento comparativo di Dario. L’aspetto rivoluzionario dell’autore sta pertanto nel fatto che la sua riflessione, oltre a dimostrare la validità assoluta e indiscussa delle tradizioni all’interno di ogni cultura, ci fornisce nel contempo un insegnamento morale, caratteristico per la sua modernità, ovvero quello volto a superare i pregiudizi sui popoli e sulle loro culture, premessa di quell’intolleranza in nome della quale si commettono inaudite crudeltà (come dimostra il caso di Cambise) configurate come pura follia. In tal modo Erodoto presenta “il diverso” al suo pubblico, senza mostrare però un atteggiamento pregiudiziale né di rifiuto razionalistico né di condanna morale. Nonostante i suoi pregi (apertura alla molteplicità e disponibilità a cogliere i significati interni all’alterità), non sempre il relativismo è stato visto nel tempo sotto una buona luce. Un “relativismo culturale ”, dunque, quello di Erodoto, pur risolvendosi nel richiamo, forte, alla necessità del rispetto della diversità di tutte le tradizioni, e nella condanna dell’imposizione violenta, sotto il profilo meramente filosofico, tuttavia contiene un’insita contraddizione logica: se tutte le posizioni di pensiero devono ritenersi giuste, in quanto relative anche soggettivamente, altrettanto giusta deve ritenersi la mia convinzione che tutte le civiltà diverse dalla mia non sono giuste.

In ogni epoca il dibattito sul relativismo è stato un argomento piuttosto animato e ha da sempre riguardato sostanzialmente il rapporto tra uniformità e differenza nella realtà umana : un conto è schierarsi tra coloro per i quali la dimensione ‘uniformità’ è prevalente sulla dimensione ‘differenza’ , per i quali quindi l’uomo è sostanzialmente uniforme, nonostante tutte le differenze di cultura, di luogo e di tempo che pure sono innegabili; un altro conto è schierarsi invece tra coloro per i quali l’uomo è soprattutto diverso. Per questo secondo schieramento (quello dei relativisti) l’ammissione della molteplicità e il riconoscimento delle differenze comportano un’apertura verso le forme più diverse che l’umanità può assumere, non avvertendo in ciò un pericolo, ma semmai un arricchimento: non ammettere la molteplicità e anzi screditarla appare come una chiusura. Nel caso di Erodoto, lo storico greco, grazie all’esperienza dell’alterità, cioè alla conoscenza del diverso, mira a conferire al popolo greco un apertura culturale, poiché individua nei popoli cosiddetti barbari taluni aspetti e comportamenti che egli ritiene perfino preferibili a quelli greci e che forse potrebbero contribuire a migliorare la Grecia stessa se si aprisse a questi. Mentre per il primo schieramento (quello degli antirelativisti) la tesi della molteplicità si configura come una minaccia; considerano difatti che gli esseri umani sono così culturalmente diversi e che la diversità culturale è tale da incidere così profondamente negli esseri umani, da mettere in discussione la stessa possibilità di intesa e dialogo tra individui, gruppi e società. Il fatto che gli uomini siano consapevoli delle proprie diversità non agevola la mediazione interculturale. Ad esempio, i Callati conoscono i costumi funerari dei Greci e questi conoscono i costumi dei Callati, ma ciascun popolo è convinto che le proprie usanze siano le migliori in assoluto. Dunque la conoscenza delle differenze di per sé non favorisce il dialogo. A questo proposito il filosofo Ian Charles Jarvie scrisse che “Esso ci disarma, ci disumanizza, lasciandoci incapaci di entrare in una interazione comunicativa; il relativismo toglie qualsiasi capacità di critica interculturale”. Questa presa di posizione di Jarvie, contraria a quella assunta da Erodoto, appare come l’evocazione di un male inaudito e come la manifestazione di una “paura” ingiustificata. È innegabile che il relativismo culturale possa assumere dunque aspetti inquietanti, a dimostrazione di come non presenti un unico volto, ma possa piegarsi a molteplici usi e interpretazioni. Se è infatti vero che conferisce grande spazio alla diversità culturale , è però altrettanto vero che un ulteriore e decisivo problema è il modo in cui sono concepite le relazioni tra le diversità, tra i mondi culturali in cui l’umanità prende forma. Sotto questo profilo, un’altra delle manifestazioni più significative di relativismo culturale può essere individuata nell’opera di Oswald Spengler ” Il tramonto dell’Occidente” la quale ha esercitato una qualche influenza sull’antropologia culturale americana della prima metà del Novecento. Qui il relativismo non si presenta affatto come una mera rilevazione di una molteplicità di modi di umanità. Spengler ritiene che vi siano fondamentalmente due livelli di umanità: un’umanità puramente zoologica, anonima e indistinta, e un’umanità che invece assume una vera e propria configurazione storica. È a questo secondo livello che viene fatta valere la prospettiva del relativismo: se sul piano zoologico è dominante il senso dell’uniformità , sul piano storico invece l’umanità si divide in una molteplicità di “forme elementari”, le quali coincidono con le civiltà finora comparse nella storia universale dell’umanità. Esse costituiscono organismi compatti, ma “ognuno chiuso in se stesso” assolutamente individuale e irripetibile, dotato della propria idea di morale, di natura, di storia, infine di umanità. Spengler fa valere l’idea che l’uniformità è solo un dato biologico, mentre sul piano culturale e storico gli uomini sono irriducibilmente diversi. Questa diversità, d’altronde, è del massimo rilievo, in quanto non concerne aspetti superficiali, bensì i modi culturali mediante cui l’umanità prende forma. Ciò spiega perché le civiltà non possano intrattenere tra loro alcuna relazione positiva: essi determinano “un ostacolo insormontabile al rapporto con altre civiltà”. Si può sostenere che Spengler rappresenti una versione esasperata del relativismo culturale, fondata oltretutto su ricostruzioni storiche discutibili e su un’impostazione antropologica completamente inaccettabile. Tuttavia il suo pensiero pone un problema di non poco conto, ovvero quello per cui il relativismo spesso rischia di coltivare nel suo oggetto la sua stessa negazione: le società e i loro comportamenti sono una costante smentita del relativismo e della sua aspirazione al riconoscimento della molteplicità. Le culture stesse, poiché diverse, suscitano dubbi e perplessità, pongono problemi, e per affrontarli le società sono costrette a ‘relativizzare’ se stesse, i loro principi, assumendo in tal modo un atteggiamento di antirelativismo e di ‘chiusura’, e pertanto opposto a quello proposto in principio da Erodoto volto invece alla ricerca e all’esplorazione verso il “diverso”. È in definitiva questa attribuzione di relativismo alle stesse società umane ciò che consente di scorgere aperture e connessioni (non soltanto chiusure ed etnocentrismi) nel mondo umano e, nello stesso tempo, di superare quelle difficoltà di un relativismo come prospettiva ‘aperta’ alla molteplicità ma allo stesso tempo convinta del carattere ‘chiuso’ e ‘incomunicabile’ delle altre culture umane.

Francesca Cassaniti III C