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Intervista a Massimo Rinaldi, direttore sportivo della nazionale italiana di sci alpino

Sondrio, 8 marzo – In esclusiva per ‘La scuola fa notizia’, la redazione del Piazzi ha incontrato per voi un pezzo grosso dello sci alpino italiano. Si tratta del direttore sportivo della nazionale Massimo Rinaldi, molto spesso inquadrato durante le gare di coppa del mondo. Abbiamo deciso di fargli qualche domanda.

Massimo buongiorno. Seguendo in TV le gare della coppa del mondo di sci mi capita spesso di vederti all’arrivo e di sentirti nominare dal telecronista. Sicuramente hai un ruolo importante nella FISI. Come ci sei arrivato? Qual è il tuo ruolo esattamente?

Il mio percorso è iniziato nel 1990, quando ho cominciato la mia attività di allenatore dello sci club Bormio che ho svolto fino al 1992. Dal 1992 al 1995 ho allenato il comitato regionale lombardo femminile e sono entrato a far parte del quadro tecnico della Federazione come allenatore di sci alpino. Nel 2014 è stato istituito il ruolo di Direttore sportivo che mi è stato assegnato e che ho ricoperto per primo nella storia della FISI.

Com’è composta la dirigenza della federazione?

La dirigenza della FISI è composta da un presidente, da un consiglio federale, poi ci sono i vari direttori sportivi e i direttori tecnici ai quali fanno riferimento gli atleti.

Quali sono esattamente i tuoi compiti in qualità di direttore sportivo?

Il mio ruolo implica un lavoro molto complesso per i numerosi compiti. In primis la gestione del budget della federazione: questo vuole dire che devo gestire i soldi che la federazione mette a disposizione per svolgere l’attività tecnica per tutte le squadre nazionali di sci alpino maschili e femminili. Io mi occupo principalmente del più alto livello, vale a dire di coppa del mondo e di olimpiadi dove dove subentra il CONI Roma per le decisioni finali. L’attività giovanile è curata poi da altri miei colleghi che mi danno una mano. Essendo impegnato nel circuito coppa del mondo, non potrei seguire le gare giovanili, dato che sono un giorno a fare una gara a Livigno, un altro a Bardonecchia in Piemonte; avrei bisogno dell’elicottero per spostarmi continuamente da una parte all’altra.

Come riesci a gestire tutta la logistica?

Far quadrare i conti è sempre difficile, soprattutto perché lo sci è uno sport outdoor dove ci sono molte varianti e variabili. Non è come ad esempio il tennis che qualunque siano le condizioni atmosferiche -sole, pioggia o neve -puoi sempre praticarlo, all’aperto o al coperto. Sai benissimo che lo sci ha bisogno innanzitutto della neve, del bel tempo meglio, ma se il programma cambia per brutto tempo o per condizioni particolari devi rivedere tutti i programmi in accordo con gli allenatori, con i direttori tecnici e quindi alla fine, come si dice in gergo, “tirare una linea e far quadrare i conti”.

E con le trasferte?

Sono un aspetto veramente importante di tutta la parte organizzativa quando si muove una squadra di coppa del mondo, che sia in Argentina d’estate o che sia negli USA a novembre. Mi viene in mente che domani, ad esempio, parte una squadra femminile di slalom per Are in Svezia, e prenderà l’aereo domattina a Zurigo. Tutta la parte organizzativa della trasferta spetta a me: prenotare i voli aerei, gli alberghi, prenotare in caso di bisogno le piste di allenamento e quindi diciamo che più si va nei dettagli e più veramente il lavoro richiede tempo. È un lavoro molto particolare perchè, se svolto bene, se curato nei particolari, ne va del successo di tutta la trasferta. Chiaro che si passa dalla semplice prenotazione dell’albergo magari a Livigno per un allenamento, che fra l’altro è previsto la prossima settimana, all’organizzazione di trasferte più complesse come ad esempio quella per le olimpiadi del prossimo anno che si disputeranno in Cina dove il CONI mi chiede con due anni di anticipo notizie di logistica, su numeri per conoscere i quali ci vorrebbe quasi una sfera magica, ma le tempistiche del CONI sono queste e quindi bisogna adeguarsi in modo che tutto sia pronto tra due anni. Questa stagione è stata poi molto difficile per tutti ma nel mio campo ancora di più perché con tutte le normative COVID i viaggi sono stati ridotti; tanti punti che prima erano scontati sono diventati quasi un punto di stop perché da lì non ci si poteva muovere: vuoi il protocollo sanitario, vuoi le norme antiCovid hanno dato uno stop a tutto. Voli aerei in trasferte importanti ne abbiamo fatti solamente tre quest’anno e anche in aereo è stato abbastanza rischioso per infettarsi, come accaduto ai componenti di una squadra, non del mio ma di un altro settore, che hanno contratto il virus proprio durante un volo aereo. Abbiamo quindi dovuto cercare altre soluzioni e viaggi in pulmino, sicuramente più lunghi; abbiamo poi cercato di tenere separate le squadre anche se in allenamento nella stessa località, ad esempio alloggiando due squadre – una femminile di coppa del mondo e una femminile di coppa Europa – in due alberghi diversi per non mischiare le famose bolle. Regolarmente tutti – atleti e tecnici – dovevano essere comunque sottoposti a tampone per cercare di contenere al massimo il rischio e in caso di positività l’interessato doveva essere isolato subito con la conseguenza di dover cambiare i programmi e adeguarsi di conseguenza.

Segui anche l’aspetto tecnico?

Certamente. Colloqui sul campo, condivisione con i responsabili dei programmi tecnici che sono individualizzati atleta per atleta. Ad esempio la Bassino che ha appena vinto la coppa del mondo di slalom gigante ha programmi diversi rispetto a Sofia Goggia, che purtroppo sappiamo essersi fatta male, che è più portata per le discipline veloci. Quindi anche all’interno di un mini gruppo come quello formato da Bassino, Brignone e Goggia oltre che lavorare in gruppo occorre comunque stilare tre programmi personalizzati tenendo ben presenti le esigenze di ognuna per portare poi ogni atleta al massimo livello e possibilmente al successo, vuoi la medaglia di Cortina nel parallelo di slalom gigante, vuoi la coppa di specialità.

Hai qualche ruolo anche a livello internazionale?

A livello internazionale faccio parte di un gruppo denominato “Comitato esecutivo di coppa del mondo”. In questo comitato si decidono tutte le nuove regole della coppa del mondo per la stagione futura. Quindi ci sono riunioni che da un anno ormai facciamo online e dove per l’Italia sono presente io. Se c’è da discutere un regolamento nuovo piuttosto che un calendario di coppa del mondo, per l’Italia ci sono io e questo è interessante anche perché posso confrontarmi con la realtà internazionale, quindi con i colleghi americani piuttosto che austriaci o svedesi o norvegesi in una sede dove ognuno esprime il proprio parere i su una proposta. In pratica l’Italia porta la proposta per un nuovo ordine di partenza piuttosto che una regola che valga per quest’anno visto che, a causa del Covid ci sono stati atleti che non hanno potuto partecipare a tutte le gare del circuito di coppa del mondo perché le restrizioni del proprio paese non lo permettevano; occorre trovare una regola per aiutare questi atleti che, non per colpa loro, non hanno potuto gareggiare e quindi evitare che peggiorino i loro punteggi Fis nel ranking internazionale.

E i rapporti con la stampa?

Questo compito mi piace un po’ meno. Per fortuna c’è un addetto stampa della federazione che cura tutta questa parte. Diciamo che avere a che fare con i giornalisti non è sempre facile. È facile quando si vince, più difficile quando ciò non accade. Se il mondiale è a Cortina in Italia e Paris non vince la medaglia, andare a spiegare il motivo non è sempre facile. Magari già sei anche di cattivo umore quindi bisogna fare buon viso a cattiva sorte…

Ti pesa il fatto di essere per lungo tempo lontano da casa?

II lavoro è questo e mi impegna sicuramente tantissimo. I miei figli Chiara e Cristian stanno studiando a Bolzano quindi, a parte la didattica a distanza di quest’anno, in questi anni li ho visti davvero poco. Ho vissuto poco la famiglia e questo è il prezzo da pagare. E’ quello che pesa di più è proprio questo. D’altro canto questo è un lavoro che dà soddisfazione. Sono anni e anni che giro il mondo, ho fatto tante esperienze e mi auguro che tutta questa esperienza posso sfruttarla e metterla al servizio di Bormio per le olimpiadi del 2026 che ospiteranno le gare di sci alpino maschile. Diciamo che questo sarebbe un piccolo sogno nel cassetto.

Parliamo degli atleti. Per quanto riguarda Sofia Goggia, che si vociferava volesse tornare in pista per le finali, secondo te sarà una cosa possibile?

Chiaramente dovrà essere valutata prima dalla commissione medica e se questa darà l’ok la vedremo in pista. Visto che ci sono pochi punti di differenza tra vincere la coppa o perderla, non è esclusa questa possibilità.

Soddisfatto per la coppa del mondo di gigante della Bassino?

Sì, ovviamente. L’anno scorso Federica Brignone ha vinto la coppa di specialità e la coppa generale. Quest’anno la Bassino ha vinto comunque la coppa di specialità ed è un ottimo traguardo per lei e per la federazione.

Quanto si allenano gli atleti?

Lo sci è uno sport che richiede tanto tempo. Se pensi che dal momento in cui parti dall’albergo al momento in cui rientri passano almeno tre ore: devi prendere lo skilift, devi fare ricognizione, gli allenatori intanto preparano il tracciato. Diciamo che c’è tutta una fase di preparazione e poi magari l’atleta svolge cinque prove di allenamento di un minuto ciascuna. Quindi in una mattinata si è allenato cinque minuti. Fa ridere se ci pensi, però c’è un dispendio tale di energie e di risorse. Tra l’altro quest’anno, con gli impianti di risalita chiusi e con poche località a disposizione, è stato particolarmente difficile, specialmente nelle discipline veloci, trovare una pista dove allenarsi. Ad esempio Santa Caterina, per stare in zona, è stata la località preferita per svolgere gli allenamenti di discesa e superG; Livigno, piuttosto che la Val di Fassa dove c’è una pista riservata, non dico solo a noi che però abbiamo la precedenza, sempre preparata con acqua e quindi molto ghiacciata, offre condizioni ideali per lo slalom e per il gigante, specialmente per lo slalom. Oltre a quella sugli sci c’è tutta la parte di allenamento o di mantenimento atletico al quale durante l’inverno nel pomeriggio ogni atleta dedica comunque un’oretta, un’oretta e mezza. Dipende un po’ dai tipi di lavoro: chi vuol fare un lavoro più improntato sulla forza, chi più sulla mobilità, chi invece fa più fisioterapia. In estate si pensa non tanto alla qualità ma più al volume quindi le piste sono più corte, specialmente sul ghiacciaio, che sia lo Stelvio, che sia Cervinia, che sia Zermatt quindi, è più la quantità rispetto alla qualità e gli allenamenti tecnici sono più rari giugno, luglio e agosto e si intensificano durante l’autunno per l’avvicinamento alle gare. Nei mesi estivi si dà più spazio alla preparazione atletica. Per la preparazione ottimale dello sciatore si parte con una base di resistenza in bicicletta; chi può corre, ma poiché tanti atleti hanno problemi alle ginocchia e alla schiena la bicicletta è un po’ più amata. Poi c’è un lungo periodo dedicato alla costruzione della forza muscolare e alla potenza e poi la trasposizione di tutto questo lavoro sullo sci perchè è inutile avere tanti muscoli e tanta potenza se poi non riesci a sfruttarla sulla neve.

Servono anche tanta tattica e tecnica?

Questo è un discorso che serve per quando si è sulla neve. Ad esempio ieri c’è stato il supergigante a Saalbach (dove Innerhofer ha sbagliato molto e tra l’altro è anche uscito dal percorso): qui la tattica ha avuto veramente un ruolo fondamentale, oltre alla tecnica, perché certi passaggi sulle gobbe oppure alcune porte messe in modo particolare richiedono veramente di studiare bene il percorso. Anche perché il supergigante è particolarmente difficile, rispetto alla discesa hai spesso la stessa velocità o poco meno e rispetto a quest’ultima non hai le prove cronometrate che ti consentono di provare la pista due o tre volte; il superG è una prova secca che prevede una lunga e attenta ricognizione e poi devi scendere in velocità e cercare di fare meno errori possibili in un tracciato mai provato. E questo non è così facile.

Simone Spiller, 3ACL