Puntare il dito.

L’arrivo del virus ha sconvolto la popolazione mondiale. Si può affermare con amara e assoluta certezza, infatti, che nessuno stato era realmente pronto ad una pandemia. Brevemente, però, misure di sicurezza sono state emanate, mentre si cercava ancora di comprendere cosa stesse succedendo. Da un giorno all’altro, dunque, la nostra quotidianità è cambiata completamente.

Inutile ribadire che ciò ha certamente avuto un effetto psicologico su tutti noi molto grave. La paura, infatti, sentimento che accomunava e che tuttora accomuna popoli interi, ha scandito ogni singolo minuto delle nostre giornate. Ma da cosa deriva questa paura? Da un’epidemia o dal modo in cui è stata gestita? Governi di tutto il mondo, difatti, non facevano altro che ripetere di seguire le norme di sicurezza e che tutto quanto sarebbe passato a distanza di pochi mesi. Come ben sappiamo, ciò non è mai accaduto, e le persone, in un momento di totale sconforto, erano alla semplice ricerca di un capro espiatorio, qualcosa o qualcuno da colpevolizzare. La gente, tutto d’un tratto, ha incominciato a puntare il dito l’uno contro l’altro e un sentimento di diffidenza ha iniziato a dilagare. Bisogna, in ogni caso, ricordare la difficoltà di quei giorni, ardua da dimenticare: la gente era stanca di vivere in una situazione del genere e sembrava quasi che nessuno facesse niente per risolverla. In un momento storico di questo tipo, dunque, è stato facile comprendere coloro che, pubblicamente o privatamente, si “arrabbiavano” con chiunque non rispettasse queste norme. Non c’è voluto molto, però, per far sì che questa rabbia, insieme alla sfiducia, dilagasse ulteriormente, arrivando anche a tutte le persone che erano state personalmente colpite dalla malattia. All’improvviso, praticamente a nessuno interessa come avessi contratto il virus, o se lo avessi ancora o meno: il punto era che lo avevi certamente avuto e che, quindi, eri divenuto parte integrante del problema. Essere a conoscenza del vero colpevole, o per lo meno crederlo, ha aiutato nel pensare di avere la situazione sotto controllo. Questa emozione, in un momento durante il quale nessuno poteva immaginare cosa sarebbe successo anche a distanza di pochi giorni, è stata fortemente ricercata.

Non è la prima volta che possiamo analizzare un comportamento di questo tipo in periodi storici simili. Manzoni stesso, ad esempio, ha dedicato pagine e pagine del suo romanzo più famoso, i Promessi Sposi, a questo tipo di fenomeno, da lui definito come “caccia agli untori”. Già intorno al 1630, anni dell’epidemia di peste a Milano, era diffuso il terrore dell’avanzare della malattia, il terrore dei cosiddetti untori. Quest’ultimi erano così temuti, che chiunque venisse accusato di essere tale veniva ucciso. Si partiva, quindi, dal presupposto di colpevolezza fino a prova contraria. Nuovamente, possiamo analizzare “Quelli del colera” di Verga, novella che tratta proprio scene simili. Incredibile, dunque, pensare come l’uomo sia realmente un animale abituale, destinato, prima o poi, a ricadere nelle abitudini passate, anche in tempi come questi, durante i quali la scienza ha fatto progressi strabilianti.

Con questo fenomeno, dunque, si è superata la sottile linea tra il senso civico e il bisogno di un colpevole. Benché ciò sia stato prevalentemente causato da un trauma collettivo subito da intere comunità, le conseguenze ci sono state e sono innegabili. La gente, difatti, era doppiamente spaventata: da una parte possiamo trovare la paura di ammalarsi di un virus di cui non si sa praticamente niente, dall’altra c’era quella di restare escluso ed abbandonato dalla società. Proprio quest’ultima scena è stata ulteriormente enfatizzata dalla situazione degli ospedali, specialmente nelle prime settimane di pandemia. Pian piano, dunque, la paura di ammettere di far parte di quella parte della popolazione colpita dal COVID è aumentata in maniera esponenziale, facendo sì che molte persone scegliessero di restare nell’anonimato per quanto possibile, e quindi di avvertire solamente i contatti diretti. Questa scelta ha certamente rallentato la caccia al virus, creando non poche difficoltà. Lo scenario appena descritto è peggiorato ulteriormente con il passare del tempo. Con l’inevitabile aumentare dei casi, difatti, anche i tamponi hanno incominciato a scarseggiare. Quest’ultimi sono stati fatti a pochi e con lunghi periodi di attesa, dando così il tempo al virus di passare da un individuo all’altro. I controlli dell’ASL sui tamponati, inoltre, sono stati praticamente inesistenti. In uno scenario così critico, i centri privati hanno incominciato ad offrire un servizio di tamponi, il quale, però, era ed è tuttora a pagamento. Questi prezzi, poi, sono anche abbastanza alti, soprattutto per un nucleo familiare di quattro o più persone. Ma che fare se lo Stato non provvede ad effettuare per i propri cittadini dei test di controllo e i prezzi per svolgere suddetti test privatamente sono troppo alti? Una situazione del genere, dunque, non può far altro che creare ancora più panico in una popolazione già in preda allo sconforto.

Ora, a quasi un anno dall’inizio della pandemia, per gran parte della popolazione la voglia di tornare alla normalità è quasi più forte della paura stessa. Il timore nei confronti di una situazione così instabile è ancora presente e l’inaffidabilità dei tamponi è ancora troppo alta per far sì che lo scenario si calmi. Al momento, però, le nostre speranze confidano nel vaccino

Flavia Balletta III C