Restrizioni e diritto alla vita.

Con le restrizioni per l’emergenza coronavirus, virus responsabile dell’epidemia manifestatosi in tutta la sua gravità a partire dal 21 febbraio, ci siamo ritrovati a dover adottare nuovi metodi per il proseguimento delle attività quotidiane.

È proprio nei primi mesi, in quel contesto drammatico, che si sono resi evidenti i danni ingenti arrecati al Servizio sanitario nazionale con la conseguente messa a repentaglio del diritto alla salute e alla vita stessa dei cittadini del nostro paese.

Nei difficili giorni dell’implementazione aggiuntiva di strutture di terapia intensiva, veniva manifestato frequentemente il timore di un collasso del servizio sanitario, collasso che è stato scongiurato grazie all’assunzione di misure drastiche di restrizione delle libertà dei cittadini e alla chiusura delle attività produttive e di servizio non ritenute essenziali.

Ci siamo, così, sentiti tutelati a livello sanitario? Com’è possibile conciliare la libertà di circolazione, il diritto di riunione, il diritto di professare liberamente la propria fede, la libertà di iniziativa economica privata e la salute?

L’emergenza ha richiesto un intervento proporzionato alla gravità della situazione e necessario alla tutela di altri valori costituzionali, tra questi, spiccano inevitabilmente,

  • la salute.
  • il diritto individuale e interesse collettivo.

Soprattutto per quanto concerne le statistiche, esse inevitabilmente rivelano grandi difformità nella diffusione del contagio e nel numero dei morti e dei guariti nei vari territori, così come è vero che diverse sono le potenzialità delle rispettive strutture sanitarie ed economiche, ma è altrettanto vero che quando sono in gioco le libertà personali e la loro limitazione i parametri costituzionali restano identici per tutti i cittadini.

Al riguardo sono state messe in campo diverse strategie dalle democrazie occidentali.

L’Italia ha agito mettendo il diritto alla salute avanti qualsiasi altro, facendo necessariamente recedere alcuni diritti; alcuni costituzionalisti hanno parlato di «eclissi delle libertà costituzionali» ma si è comunque trovato, nella generalità delle persone, una sorprendente adattabilità e consenso condiviso delle precauzioni e raccomandazioni che sono state predisposte dal governo.

In ogni caso, la prospettiva più difficile che ci troveremo ad affrontare si attiene alla dimensione economico-sociale. Un simile blocco delle attività produttive avrà effetti per molti anni a venire, richiedendo imponenti iniezioni di liquidità difficilmente sostenibili da uno Stato come il nostro.

Chi ha invece puntato ad immunizzare la comunità con costi minori sul piano economico, non imponendo misure restrittive alle abitudini di vita e di movimento della popolazione e di non chiudere, parzialmente o totalmente, le attività produttive non essenziali ha portato un tasso molto elevato di mortalità.

Infatti anche se in teoria l’immunità di gregge può essere ottenuta spontaneamente lasciando che la maggior parte della popolazione si infetti, come abbiamo purtroppo imparato, lasciando le persone più vulnerabili al rischio di contrarre il virus si provoca e giustifica un numero inaccettabile di decessi.

Sarà poi lecito verificare se i provvedimenti adottati dal governo non risulteranno, a conti fatti, troppo gravosi rispetto alla convenienza del risultato ottenibile poiché “solo il tempo dirà se la strategia del rigore messa in campo dal nostro Paese per far fronte allo stato d’emergenza in corso, anche attraverso procedure la cui legittimità non può essere sempre rigorosamente argomentata da un punto di vista strettamente formale, è stata la scelta giusta”.

Certo è che le misure previste, in considerazione dell’emergenza che si sta vivendo che non ha precedenti nella storia per l’eccezionalità del pericolo alla salute e per l’incolumità pubblica, sembrerebbero essere le uniche attuabili al fine di giudicare idonea la misura adottata soprattutto per tutelare tutti in egual maniera.

Martina Vallefuoco III C