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I due volti dell’umanità: Il dopoguerra tra diritti e cambiamento

Di Alice Andreatta

La seconda guerra mondiale sconvolse la realtà del mondo intero. Milioni di vite spezzate in nome di un mondo governato dalla razza ariana, considerata superiore. Milioni di uomini e donne deportati nei campi di lavoro o di sterminio costretti a separarsi dai propri figli, bambini a cui fu crudelmente strappata l’infanzia. Quando nel 1945 la guerra finì, dopo anni di soprusi, razzismo e antisemitismo radicato, ci si trovò a far fronte ad una questione fondamentale: cosa fare dei criminali nazisti? Ma ancora più importante, come evitare il ripetersi di quegli avvenimenti disumani? Queste domande trovarono risposta nel processo di Norimberga e nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, monito per ricordare ciò che era stato affinché non accadesse più.

Il processo di Norimberga è ricordato come uno dei più importanti processi della storia mondiale contemporanea, in quanto vennero processati i principali responsabili dello sterminio degli ebrei e di altri gruppi etnici e religiosi nei campi di concentramento nazisti. Norimberga non fu una scelta casuale: ebbe un ruolo fondamentale nella propaganda nazista fino a diventare il simbolo del nazionalsocialismo. Entrarono in vigore proprio qui le leggi del 1935 che diedero inizio alla persecuzione degli ebrei in Europa. Il processo durò undici mesi, durante i quali le più alte cariche del regime furono chiamate a rispondere dei crimini commessi durante la guerra.

Il 20 novembre 1945 Robert Jackson, procuratore capo degli Stati Uniti, aprì il processo, che si svolse nel palazzo di giustizia di Norimberga. Venne riunito il Tribunale Militare Internazionale con giudici statunitensi, francesi, britannici e sovietici. Gli alleati scelsero 24 imputati che avevano permesso a Hitler di accrescere il suo potere, aiutandolo poi a mantenerlo. La presentazione dell’accusa, cioè la divulgazione ai presenti della documentazione, si protrasse per tre mesi a causa dell’enorme numero di prove documentali pervenute. Furono mostrati diversi filmati, prova inconfutabile dei crimini disumani commessi dagli imputati. Venne formulata l’accusa di crimini contro l’umanità, che non aveva avuto precedenti nella storia e che permise di condannare i più importanti gerarchi nazisti. Il 1° ottobre 1946, la corte emise le sentenze: dodici condanne a morte, tre condanne all’ergastolo, quattro condanne dai dieci ai vent’anni di reclusione e tre sentenze di assoluzione. Il processo dimostrò le atrocità che l’uomo può commettere quando perde la propria umanità e cercò di stabilire un precedente giuridico che potesse essere usato in futuro per evitare il verificarsi di avvenimenti così disumani.

Le imputazioni erano quattro. La prima era crimini contro la pace. La seconda era aver pianificato, iniziato e intrapreso delle guerre di aggressione. La terza era crimini di guerra e la quarta crimini contro l’umanità.

Solamente sei imputati furono condannati per tutte e quattro le imputazioni, cinque dei quali furono condannati a morte. Questi erano Hermann Göring (comandante in capo della Luftwaffe), Joachim von Ribbentrop (ministro degli esteri e ideatore del patto di aggressione tra Germania e Unione Sovietica), Alfred Rosenberg (ideologo del Partito nazista e padre delle teorie naziste), Wilhelm Keitel (capo dell’OKW, cioè l’Alto comando delle forze armate tedesche) e Alfred Jodl (secondo di Keitel, a capo dello staff dell’OKW). L’unico condannato per tutte e quattro le imputazioni che ricevette una sentenza di quindici anni di reclusione fu Konstantin von Neurath, che nel 1943 in disaccordo con Hitler si dimise dai suoi incarichi. La dimissione probabilmente fu ciò che gli evitò la condanna a morte.

Mai nella storia i diritti umani avevano rasentato l’estinzione come durante la seconda guerra mondiale ed era evidente come il mondo intero necessitasse di un radicale cambiamento. Ritornando quindi a focalizzarci sulla seconda domanda che ci si è posti dopo la fine della guerra, cioè come evitare il ripetersi di avvenimenti tanto sconvolgenti, la risposta è arrivata nell’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite). Istituite nel 1945, avevano lo scopo di “…riaffermare la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana”. Nel 1946 Eleanor Roosevelt presiedette la commissione ONU che si accordò su un certo numero di diritti che dovevano essere uguali per tutti. Anna Eleanor Roosevelt era un’attivista americana e First Lady degli Stati Uniti dal 1933 al 1945, durante i quattro mandati come presidente del marito Franklin D. Roosevelt. Fu al suo tempo ampiamente criticata a causa della sua schiettezza, soprattutto a proposito di temi delicati come i diritti degli afro-americani. Nonostante i giudizi e le critiche, è stata la prima First Lady a tenere conferenze stampa, scrivere per quotidiani e riviste, ospitare un programma radiofonico settimanale e tenere discorsi ad assemblee a sfondo politico. In alcune occasioni ha addirittura pubblicamente sostenuto la sua disapprovazione per le politiche del marito. Insistette affinché gli Stati Uniti si unissero e sostenessero le Nazioni Unite e ne divenne il primo delegato dal 1945 al 1952, con il ruolo di presidente della Commissione ONU. Alla sua morte, Eleanor Roosevelt era considerata una delle donne più ammirate del XX secolo.

La presa di posizione definitiva dell’ONU arrivò il 10 dicembre 1948 con l’approvazione della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Si arrivò finalmente ad affermare che alcune libertà sono indistintamente proprie dell’uomo, una responsabilità comune e condivisa di rispettarsi a vicenda, di aiutarsi e di proteggere chi ne ha bisogno. Nonostante l’istituzione dell’ONU, continua a essere necessario lottare per i diritti umani perché, come la storia ci insegna, sono fondamentali per creare un mondo senza conflitti o guerre in cui regna la pace.

Per concludere, riporto un frammento del discorso di Eleanor Roosevelt “In Your Hands” del 1958, che riassume in poche parole i propositi che il mondo del dopoguerra si è riproposto di portare avanti come fondamento di una nuova società. «Dove iniziano i diritti umani universali? In piccoli posti vicino casa, così vicini e così piccoli che essi non possono essere visti su nessuna mappa del mondo. Ma essi sono il mondo di ogni singola persona; il quartiere dove si vive, la scuola frequentata, la fabbrica, fattoria o ufficio dove si lavora. Questi sono i posti in cui ogni uomo, donna o bambino cercano uguale giustizia, uguali opportunità, eguale dignità senza discriminazioni. Se questi diritti non hanno significato lì, hanno poco significato da altre parti. In assenza di interventi organizzati di cittadini per sostenere chi è vicino alla loro casa, guarderemo invano al progresso nel mondo più vasto. Quindi noi crediamo che il destino dei diritti umani sia nelle mani di tutti i cittadini in tutte le nostre comunità».