Correre per salvare la vita degli altri: Gino Bartali

Di Francesco Luccisano

Bartali, il ciclista che salvò l’Italia da una guerra civile e aiutò centinaia di ebrei durante la seconda guerra mondiale. 

Gino Bartali è stato uno dei più grandi ciclisti della storia, in grado di ottenere prestigiosi trionfi, tra cui 3 Giri d’Italia e 2 Tour de France, eppure, viene tutt’ora ricordato per tutto ciò che è riuscito a fare al di fuori del ciclismo.  

La vittoria al Tour nel 1948, a dieci anni di distanza dal primo, fu indubbiamente il successo più rilevante di Bartali, a livello sportivo ma non solo. Il ciclista italiano, dato per spacciato dalla maggior parte delle persone dopo il ritardo accumulato, riuscì a stravolgere la classifica generale a poche tappe dal termine, con una delle imprese più notevoli della storia, la fuga sulle Alpi, con la quale recuperò venti minuti al suo diretto rivale Louison Bobet, conquistando così, il giorno successivo, la maglia gialla. Questa vittoria, però, è passata alla storia per un altro motivo, infatti, con il successo al Tour de France, Bartali riuscì a distrarre l’opinione pubblica nazionale, salvando l’Italia da una probabile guerra civile, in seguito all’attentato subito da Palmiro Togliatti, il segretario del Partito Comunista Italiano. La situazione in quei giorni era tanto tesa al punto che il Presidente del Consiglio Alcide De Gaspari telefonò a Bartali, suo amico e stimatore, la sera prima della quattordicesima tappa, per chiedere al fenomeno fiorentino di vincere la tappa del giorno seguente. 

L’impresa per cui tutti lo ricordano ancora oggi, per la quale è stato anche premiato, è un’altra, con la sua amata bicicletta riuscì a salvare circa 800 ebrei durante la seconda guerra mondiale, mettendo a rischio la sua stessa vita. Fingendo di allenarsi, trasportò sulla sua bicicletta fotografie e documenti contraffatti per aiutare gli ebrei ad avere una nuova identità e quindi una nuova vita. Quando veniva fermato dalle autorità per alcuni controlli, Bartali, raccomandò di non toccare la sua bicicletta perché era stata “creata per raggiungere la massima velocità possibile”, così facendo non poterono trovare i documenti nascosti all’interno dei tubi del telaio e del manubrio. Un giorno si presentò sulle alpi con un rimorchio agganciato alla bicicletta, sostenendo che servisse per aggiungere un po’ di peso, nel quale, però, nascose un’intera famiglia ebrea, l’idea era quella di oltrepassare i controlli della frontiera e mettere la famiglia in salvo. Era in grado di percorrere 185 chilometri in un solo giorno, rischiando, nel caso in cui venisse scoperto, di essere fucilato. Nell’autunno del 1943 venne arrestato dalla polizia fascista, ma nessuno ispezionò la sua bicicletta, riuscì quindi a cavarsela. Per parecchi anni nascose tutto ciò, nessuno era a conoscenza delle sue gesta, perché secondo lui “il bene si fa ma non si dice”. Si confidò soltanto con suo figlio Andrea, al quale raccomandò di non raccontare nulla se non a tempo debito. Quando Andrea propose al padre di rivelare a tutti le sue imprese, lui rispose: “no, no… voglio essere ricordato per i miei risultati sportivi. I veri eroi sono altri, quelli che hanno sofferto nella loro anima, nel loro cuore, nel loro spirito, nella loro mente, per i loro cari. Questi sono i veri eroi. Io sono un ciclista”.  

Grazie alle sue gesta, Bartali, ha ricevuto numerosi riconoscimenti a livello sportivo, è stato inserito nella Top 25 Cycling Hall of Fame e nel maggio 2015 fu inserita una targa a lui dedicata nella Walk of Fame dello sport italiano al parco olimpico del Foro Italico a Roma, riservata agli ex-atleti italiani che si sono distinti in campo internazionale. Inoltre, è stato nominato Giusto tra le nazioni, premio riservato per i non-ebrei che hanno rischiato la propria vita per salvare anche un solo ebreo.