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La legge Zan contro l’omotransfobia, dialogo tra due generazioni

Di Sveva Gambasin

Come due soggetti appartenenti alla comunità LGBTQ+ percepiscono la situazione attuale e i cambiamenti avvenuti con il tempo

Il cinque novembre 2020 è stata approvata alla Camera la legge Zan contro l’omotransfobia, la misoginia e la violenza nei confronti di persone disabili: un nuovo passo dell’Italia verso l’inclusione e la soppressione delle discriminazioni. Per poter entrare effettivamente in vigore, essa deve però superare il vaglio del Senato, evento che si sarebbe dovuto tenere fra gennaio e febbraio scorso. Tuttavia, con l’elezione del nuovo Presidente del Consiglio Mario Draghi, avvenuta il 13 febbraio 2021 a seguito delle dimissioni del previo Presidente Giuseppe Conte, essa sembra essere stata completamente esclusa dalle sue prerogative. Nel suo discorso in Senato infatti, il neopresidente ha trattato di moltissimi temi, ma non di questa, sebbene l’atmosfera nella
penisola italiana fosse abbastanza febbricitante riguardo l’argomento.

Per arrivare all’attuale disposizione degli eventi, durante il corso degli anni, a partire dal 1889 con il Codice Zanardelli, si sono dovute combattere molte battaglie. Numerosi passi avanti sono stati fatti rispetto al secolo precedente, ma la mobilitazione del governo è ancora troppo lenta e scarsa rispetto ad un argomento di tale portata. I centodieci anni successivi all’emanazione del codice sopracitato, entrato in vigore il 1° gennaio 1890, sono stati caratterizzati da una sorta di staticità in cui l’atteggiamento nei confronti delle persone omossessuali era di “tolleranza repressiva”, fino a quando dal 9 luglio 2003, in conformità al diritto dell’Unione Europea, le discriminazioni in ambito lavorativo dovute all’orientamento sessuale sono illegali in tutto il Paese.

Le unioni civili di coppie omosessuali sono diventate legali nel territorio italiano solo l’11 maggio 2016 dopo un lungo periodo di discussioni. Per la prima volta se ne era parlato nel 1986, ma solo nel 2013 è stata depositata la legge, pur rimanendo in commissione Giustizia del Senato fino al 27 marzo 2015. Molti attivisti della comunità LGBTQ+ rimangono comunque insoddisfatti poiché essa non prevede l’adozione per le coppie arcobaleno. Ad oggi l’Italia rimane l’unico paese dell’Europa occidentale a non celebrare matrimoni, ma solo unioni civili fra coppie dello stesso sesso.

Sebbene questa sempre maggiore apertura da parte del governo verso la comunità, l’omofobia rimane ancora un fenomeno assai frequente. All’interno del libro Raccontare l’omofobia in Italia di Paolo Gusmeroli e Luca Trappolin, vengono presi in esame alcuni degli studi fatti riguardanti l’ostilità vissuta in prima persona dai soggetti LGBTQ+. Secondo l’indagine Ispes del 1991 il 51,2 % degli omosessuali ritiene che la società abbia nei loro confronti atteggiamenti discriminatori, mentre il 17,9% preferisce parlare di atteggiamento repressivo. Nel punto di vista della popolazione eterosessuale invece, è emerso che il 45,3% della cittadinanza consideri il “diffondersi dell’omosessualità” come un “pericolo sociale” ((Ispes 1991, 95). A causa di questa grande differenza di pensiero, scrivono i due autori, è necessario considerare separatamente la percezione della discriminazione dal punto di vista della maggioranza eterosessuale da quella riconosciuta gay. Per quanto riguarda quest’ultimo caso un importante sondaggio svolto nel 2012 dalla FRA (European Union Agency for Fundamental Rights 2014) ha messo in luce come il
92% delle persone LGBTQ+ italiane percepiscono una discriminazione diffusa; percentuale molto al di sopra della media europea che è del 75%. Per quanto riguarda invece il primo caso, la “discriminazione in base all’orientamento sessuale” è percepita come “molto diffusa” da sei italiani su dieci. Si tratta di una delle percentuali più alte fra quelle dei paesi appartenenti all’Unione Europea. Un altro survey compiuto dall’ Istat risalente al 2011 che coinvolge un campione dell’intera popolazione, ha dimostrato come il 61,3 % percepisca una discriminazione a danno di individui omosessuali.

Interpellando direttamente dei soggetti appartenenti alla comunità LGBTQ+ di due generazioni differenti sono però apparse delle incongruenze rispetto alla loro opinione riguardante tale argomento. Giulia, diciotto anni, afferma: “sempre più frequentemente vengono commessi attacchi omotransfobici, quindi ritengo molto grave il fatto che il Presidente Draghi non abbai menzionato la legge contro l’omotransfobia nel suo discorso”, citando a questo punto l’esempio dell’omicidio perpetrato da Michele Antonio Gaglione nei confronti della sorella Maria Paola per essere fidanzata con un ragazzo transgender avvenuto a febbraio 2020. Continua aggiungendo: “la legge Zan è fondamentale poiché va contro tutte le forme di discriminazione nei confronti di qualsiasi orientamento sessuale, comprendendo dunque anche gli eterosessuali. Purtroppo, ci sono ancora soggetti che utilizzano le mie scelte private e personali per fare del male e ciò è inaccettabile”.

Flavio, cinquantasei anni, al contrario asserisce: “Io non mi sono mai preoccupato di quello che la gente potesse pensare e dire, ho vissuto la mia vita in tutta serenità, senza nascondermi. Detesto le manifestazioni che sono sorte nell’ultimo periodo. Credo che se si voglia arrivare a normalizzare una cosa, si debba semplicemente comportarsi normalmente nei suoi confronti, senza etichettarsi. Credo che tutte le leggi che vengono inserite con questi termini non dovrebbero esistere poiché non dovrebbe sussistere neanche il problema. Finché si continuerà a etichettare le persone come “diverse”, si dovranno creare sempre nuove leggi per proteggerle. Se gli individui non si etichettassero, una sola andrebbe bene per tutti”.

Alla domanda se secondo loro la mentalità degli italiani con il tempo fosse diventata più aperta e inclusiva, le risposte ottenute sono state opposte. Giulia: “Sicuramente sono stati fatti enormi passi avanti: quando ho fatto il mio primo Pride erano presenti 250.000 persone, mentre già l’anno successivo erano diventate 300.000. Inoltre, sui social si può notare sempre una maggiore mobilità quado vengono commessi attacchi di odio contro la comunità LGBTQ+. Al contrario però, non credo sia avvenuto un progresso politico, anzi sembra quasi si stia retrocedendo in molti aspetti, soprattutto a causa dell’incoerenza di molti politici. Non si può parlare di un vero e proprio progresso; è semplicemente una situazione diversa da quella che, secondo quanto ho studiato, esisteva qualche decina di anni fa”.

Flavio: “Rispetto a quando ero adolescente io, teoricamente c’è un’apertura mentale maggiore poiché l’omosessualità è “venuta alla luce”, ma tutto questo parlare rende il contesto peggiore. Se non si vuole che l’omofobia esista si deve smettere di parlarne, in
modo tale da farla diventare una cosa comune, che non si differenzia dall’eterosessualità. Negli anni ’80 non se ne parlava, forse anche per paura, e si viveva la propria sessualità in modo tranquillo, senza mettersi in mostra. Una determinata situazione deve essere accettata solo quando è considerata diversa.”