Liliana Segre: dai mille “perchè” al binario 21

Di Sofia Bordin

“Da quel perché, da cui poi ne sono scaturiti infiniti altri, ha avuto inizio una storia, che è cominciata a Premeno ed è finita ad Auschwitz…”. Inizia così l’incubo di Liliana Segre, 90 anni, sopravvissuta agli orrori subiti nel campo di concentramento di Auschwitz e superstite dell’Olocausto.

Liliana è una bambina di 13 anni quando in pochi attimi, è costretta a passare dall’essere la principessa di papà a diventare uno dei 605 prigionieri diretti in Polonia il 30 gennaio 1944. “Nessuno aveva capito, al momento, che cosa stesse succedendo, chi fossero le persone che arrivavano lì. Coloro che arrivavano al Binario 21, non quello da cui si parte ma quello da cui non si fa più ritorno, erano persone che non avevano altre colpe che essere nati. Perché? Era quasi impossibile capire cosa ci stesse succedendo in quel buio”.

Liliana Segre ricorda con emozione quei momenti e in particolare “un saliscendi, importantissimo” che portava i vagoni dalla galleria sotterranea verso il binario 21, quello da cui avrebbe avuto inizio il viaggio verso l’inferno. Nei vagoni, i “carri bestiame”, nient’altro se non un po’ di paglia a terra, un secchio per i bisogni e le altre 50 persone impaurite e inconsapevoli, il tutto immerso in un silenzio assordante: “E comincia questo viaggio importantissimo, viaggio che nella mia struttura di donna è una trave portante, fondamentale per capire le persone intorno a me, per stringermi a mio padre, per sentire i pianti e le preghiere. Durava una settimana ma alla fine io mi ricordo il silenzio”.

Liliana prosegue descrivendo le atrocità e le umiliazioni, “l’universo del male” nel quale per un anno e mezzo ha vissuto. Ma anche la fortuna del lavoro esterno al campo e la gioia provata nel dirigersi lì ogni mattina, lasciando alle spalle dolore e sofferenza. Poi quel giorno il 1° maggio 1945, la rinascita. La allora quindicenne lasciava il campo stremata con soli 22 compagni dei 605 con i quali era partita 18 mesi prima dalla Stazione Centrale di Milano. Accanto a lei i volti del male, i soldati costretti a spogliarsi per non essere riconosciuti e a lasciare le armi con le quali avevano terrorizzato migliaia di innocenti. In quel momento Liliana è combattuta, divisa tra odio e desiderio di vendetta, e la consapevolezza di non essere un’assassina. Sceglie la strada del bene perché nonostante quei soldati le avessero fatto capire che cosa fosse la morte non poteva diventare come loro: da quel momento si trasforma in una donna libera, una donna di pace. Al suo ritorno a casa un silenzio durato 45 anni e poi la decisione di parlare, di raccontare tutto. Un nome nella pagina di un libro intitolata “Sopravvissuti”, il suo nome, le fa cambiare idea e il suo silenzio si trasforma improvvisamente in una testimonianza fondamentale per la memoria.