Calcio. Intervista a Walter Sabatini

Intervista a Walter Sabatini, responsabile delle aree tecniche del Bologna

Ciao Walter, ci racconti della tua infanzia?

“La mia è stata un infanzia molto felice da quando è comparso il pallone tra i miei piedi, prima mi ritrovavo a giocare agli indiani o ad importunare persone più grandi di me. Ero un bambino spericolato, rischiavo di tornare a casa ogni volta con qualcosa di rotto, infatti un giorno, la mia mamma, rassegnata è venuta da me e mi ha detto: “Spero che tu muoia, così dovrò piangere solo una volta”.

Come si è accesa in te la passione per il calcio?

“Quando mi arrivava un pallone ero in uno stato di esaltazione totale, non avevo bisogno di compagni, potevo giocare da solo e inventarmi le partite”.

Quali sono stati gli esordi della tua carriera di calciatore?

“La stessa esaltazione che avevo da bambino, da calciatore era un po’ svanita. La domenica, quando giocavo con le varie categorie, svaniva dalla mia testa il concetto di strada, di piazzetta, usati da me come campi da calcio quando ero un bambino”.
Quando ho esordito in Serie B contro l’Atalanta mi sembrava di aver coronato un sogno, perché nella mia epoca, i primi anni 70’, giocare in Serie B era visto come qualcosa di epico. Quella partita me la ricordo benissimo, perché io giocando da trequartista, mi sono ritrovato a marcare un trequartista avversario ed io fino a quel momento non avevo mai rincorso nessuno, quindi sono entrato in campo che non vedevo nemmeno le maglie avversarie per la paura. Da lì, è cominciata la mia carriera che non è stata quello che avrei voluto, avevo grandissime qualità, tra cui: la velocità, la tecnica, la fantasia ma non capivo il calcio, volevo giocare solo il mio calcio…una vera e propria testolina di c****o, ero la disperazione di tutti gli allenatori. In qualche modo, però, mi salvavo perché fuori dal campo avevo la mia attitudine letteraria, acquisita ai tempi del liceo”.

Qual è stata l’avventura più importante?

“Sicuramente l’avventura alla Roma, che non ho sfruttato a pieno perché, appena arrivato nella capitale, sono andato alla ricerca di avventure non calcistiche e di questo, me ne sono accorto dopo, perché la mia carriera è andata come un precipizio e nel giro di due-tre anni, dalla Roma di Bruno Conti e Agostino Di Bartolomei, mi sono ritrovato a giocare in C2 alla Pro Patria e ho vissuto con un rammarico enorme, reagendo con rabbia e mi ha fatto fare ciò che ho fatto fino ad oggi”.

Sei diventato un responsabile sportivo

“La mia carriera da dirigente è partita per caso, io volevo fare l’allenatore. Ho lavorato come responsabile del settore giovanile del Perugia e poi della Lazio , sino a quando mi è arrivata una chiamata di Gigi Piedimonte che mi disse che la triestina era fallita e che serviva un direttore sportivo, ma io non lo sapevo fare o almeno così pensavo, ma lui mi disse che non importava, perché l’avrei imparato in tre giorni e aveva ragione. Non appena mi sono seduto dietro alla scrivania, ho capito che quello era il mio lavoro.  Da li sono andato di nuovo al Perugia e alla Lazio, lavorando di nascosto, perché ero stato squalificato”.

Raccontaci della squalifica

“La squalifica fu un atto di arroganza e di cecità da parte della federazione, perché io sotto richiesta di un agente ho fatto venire in prova un ragazzino di 15 anni ivoriano, però non mi piaceva e ho richiamato, dicendogli di riportarlo a casa. Ma l’agente non è mai arrivato a riprenderlo e, dato che non potevo lasciarlo in mezzo alla strada, l’ho fatto rimanere. Mi è arrivata una denuncia con l’accusa di non aver fatto tornare a casa il ragazzo e di averlo sequestrato senza dargli da mangiare. Fandonie incredibili. Da lì, non avrei potuto esercitare nessuna funzione calcistica. Però sono risorto e ho reagito con rabbia, non dormivo più, di notte vedevo tutte le partite possibili per conoscere tutti i calciatori e ci sono riuscito. In seguito, un presidente appena insediato, puntualmente mi chiedeva informazioni ed io ogni notte ero la pronto a dargliele…era Lotito. Il resto lo conosciamo , l’avventura a Palermo dove ho fatto un lavoro incredibile e poi la Roma dove ho lasciato il cuore e non solo, quando ero li mi ero imposto dei ritmi di vita troppo alti che il mio fisico, ad un tratto, non ha retto più”.

Mi hanno sempre incuriosito i rapporti con Spalletti e Sinista Mihajlovic

“Beh, io e Luciano eravamo chiamati “i folli”. Rapporti meravigliosi in entrambi i casi. Spalletti è un genio, se si mette alla lavagna a disegnare gli schemi che ha in testa non finisce e più e per capirli bisogna avere una laurea in fisica nucleare, ha tante di quelle idee in testa e la capacita di metterle in atto che, altri allenatori, non hanno. Poi ha qualche vizio caratteriale, è un po’ permaloso. Con Sinisa c’è un rapporto di complicità, siamo uguali. Quando arrivò a Bologna, nel 2019, ha compiuto un vero e proprio miracolo calcistico. Nell’estate successiva era  incappato in un problema che avrebbe demolito chiunque, lui è rimasto in piedi. Ha lavorato anche dall’ospedale, si è rimesso in forma e ora sta facendo le
cose per  bene, come sempre”.

Santiago Sabatini, III E S.U