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La Seconda Guerra mondiale vista da un bambino del 1936, mio nonno Silvio

Di Federico Tessaro

 

Mio nonno ai tempi della Seconda Guerra Mondiale era un bambino di sette-otto anni che visse in prima persona l’occupazione tedesca di Montebelluna. Si ricorda alla perfezione cosa provasse in quei momenti di incertezza e pericolo in cui a regnare era la prepotenza dei soldati; momenti che non sono scritti nei libri di storia.

Qual è il ricordo più sconvolgente che ti ricordi della Guerra?
Mi ricordo ancora il suono delle sirene che segnalavano un bombardamento. Al suono delle sirene una fiumana di gente si accalcava e correva per arrivare a mettersi in salvo sulla boscaglia di Santa Maria in Colle. Io vedevo famiglie intere che fuggivano dal centro e dalla stazione per arrivare in cima al colle attraverso le scalinate e le stradine impervie e sconnesse e molti si facevano male cadendo. Mio “popà” li accoglieva quasi tutti in casa, dentro la stalla, nella cantina, e chi non ci stava cercava rifugio sotto gli alberi, nei boschi, nei “valloni” ecc. La casa dove abitavo, infatti, era una bellissima casa colonica chiamata da tutti “casa rosa” che si trovava, e si trova tuttora, sulle Rive, a due passi dalla chiesa di Santa Maria in Colle e dal centro. Durante i bombardamenti si stava tutti accalcati in casa mia e, nonostante la tensione del momento, gli uomini parlavano e io ascoltavo curiosamente: si può dire che ad un certo punto ho sentito tutte le voci del centro! Ho conosciuto il farmacista del paese, il “dottor condotto”, i
negozianti, il “sior podestà” e tanti, tanti “tosatei”. Mi ricordo che non c’erano, però, ragazzi che avevano compiuto la maggiore età, perché, per non farsi trovare dagli arruolatori o dai tedeschi, che li facevano prigionieri, o si arruolavano nei partigiani (la maggior parte) o si nascondevano in luoghi remoti, o si travestivano. Se era un giorno in cui il pane era in forno, mio nonno offriva a tutti pane e soppressa, quello che poteva, e non poteva mancare un “goto” di vino! Quando c’era la sirena del cessato allarme tutti ritornavano ai propri esercizi e lavori… anche se c’erano tranquillamente due bombardamenti al giorno, anche di notte! I caccia-bombardieri tedeschi facevano venire i brividi: quando i bombardieri passavano facevano un boato tanto forte da far vibrare le finestre e poi sganciavano tutti insieme le bombe a tappeto e, di notte, quando sganciavano le bombe, lo scoppio emetteva così tanta luce da illuminare anche l’intero schieramento di aerei. Vedo ancora il fumo che si innalzava da Treviso quel
7 aprile di notte il fumo si tramutava in fitte fiamme. Sentivamo rumori simili a cento temporali messi insieme, di notte era impossibile dormire e io, i miei cinque fratelli (non mi ricordo quanti eravamo allora, perché dopo ne ho avuti altri), mio padre, mio nonno, mia nonna, i miei zii e mia mamma andavamo nella stanza di mia mamma e guardavamo il panorama agghiacciante. Durante i bombardamenti accendevamo la “candeora”, la candela che invocava la protezione della Madonna. Il rumore dei bombardieri, però non era paragonabile al rumore degli stukas: quando andavano in picchiata si sentiva la loro sirena urlante, un suono che mi ricorderò per tutta la vita perché gelava il sangue…non ho mai sentito un suono più pauroso di quel grido. Gli stukas andavano in picchiata e, oltre al loro urlo, si sentiva il rombo intermittente e da incubo delle mitragliatrici con le quali bersagliavano l’obbiettivo. Dopo la picchiata il grido cessava e si provava un sentimento di tensione dato dal rumore del motore in salita, che emetteva un boato. La tensione finiva quando l’aereo sganciava la bomba, che scoppiava fragorosamente mentre il caccia- bombardiere scompariva tra le nuvole. Quando passava un treno, spesso carico di soldati o munizioni, comparivano due o tre caccia-bombardieri. Erano così sottili che li si vedeva a malapena, però seminavano nell’aria il terrore. Poi si sentiva un boato, burururum! Lungo il treno compariva una scia di fuoco e fumo e, se era carico di munizioni, si sentivano scoppi fragorosi anche per i successivi cinque minuti. Ambulanze, pompieri, ogni mezzo di trasporto (anche carrettini a mano) accorrevano in aiuto dei pochi feriti superstiti e per rintracciare i pezzi di morti che rimanevano; il tutto mentre gli aerei scomparivano con la stessa velocità con cui erano comparsi, lasciandosi dietro di loro morte e distruzione.

Come era la vita coi tedeschi? Come si comportavano i soldati?
Fin da quando i tedeschi sono arrivati qua a Montebelluna circa nel 1942-1943, la vita non era mai stata così povera e piena di paura come allora. Il comando tedesco si era insediato nella scuola Marconi, quindi non potevo più andare a scuola e passavo le giornate ad aiutare i lavori nei campi. Non mi hanno accettato alla scuola di Mercato Vecchio perché, nonostante vivessi a due passi da lì, dicevano che ero “fuori frazione”. Le poche volte che sono andato in piazza (i bambini non potevano andarci), era invasa da camion e grossi carri armati, c’erano blocchi stradali ovunque e un gran traffico di plotoni trasportati da camionette. Rivedo sempre le immagini dei carri armati che passavano per le strade e, passando, le distruggevano. Da bambino come ero, quegli ammassi di ferro sembravano dei mostri e incutevano soggezioni di tutte le qualità e specie. Mi ricordo l’aspetto: alcuni avevano una grande croce nera dai contorni bianchi stampata sulla torretta, per il resto del colore erano dipinti di verde scuro o in mimetica. La torretta era grossa e squadrata, ma con gli angoli smussati, e spuntava da questa un cannone fatto a tronco di cono, possente e lungo circa due metri. Sotto la torretta c’era una coppia di mitragliatrici sia sul fronte, sia sulla coda, che potevano girarsi solo di 30-40°, erano sorrette da un’asta di ferro sorretta a sua volta da una colonna grossa. Sotto le mitraglie c’erano due feritoie, quella a sinistra era quella del guidatore, quella a destra era del mitragliere, che guidava la mitraglia e la caricava a collana dall’interno del carro; quando stava per finire una collana ne agganciavano subito un’altra per avere uno sparo continuo. All’interno ci stavano al massimo cinque o sei persone (comandante, guidatore, due mitraglieri, un carica-mitraglie e un cannoniere), il resto erano munizioni incassate (da una parte quelle del cannone e dall’altra quelle della mitragliatrice), il manico del cannone e il periscopio con tutte le gradazioni; lo spazio centrale era vuoto e il resto degli ingranaggi era nascosto. Come faccio a sapere tutte queste informazioni? I tedeschi non si curavano di noi bambini e potevamo tranquillamente salire e giocare sui carri armati fermi. Tornando al discorso che facevamo, coi tedeschi la vita era misera e disperata: facevano regolarmente razzia di granturco, fieno, frumento, verdure, buoi, carne, pecore, conigli… tutto quello che trovavano per fattorie e case lo prendevano. Per non morire di fame abbiamo scavato sotto al portico di casa mia un buco dove ci stavano addirittura quaranta
quintali di frumento (anche se potevamo sognarci di arrivare a quella cifra). Non so quanto bene mi avrà fatto quel pane, perché, nell’umido della buca il frumento era fermentato e,  anche se non era integrale, aveva un colorito bruno come se lo fosse stato. Quando passavano plotoni di tedeschi per le strade, si aveva molta paura e tutti si nascondevano dentro casa per non farsi vedere, perché erano cattivi e molto violenti. Un giorno i tedeschi hanno trovato un soldato morto in un viale del paese, morto a causa di una rappresaglia partigiana. Pensarono di prendere i dieci uomini italiani col domicilio più vicino al soldato, farli prigionieri e fucilarli in un luogo pubblico. Quindi portarono i prigionieri nel campo di pallone dello stadio, che oggi è occupato dalla biblioteca comunale, dal parcheggio e dalle poste, e girarono per tutto il paese con un megafono per annunciare l’evento; dicevano in
italiano “morsegà”: Attenzione, attenzione! Radunatevi nel campo sportivo, che succede una cosa che vi interessa! Il monsignor Daniele Bortoletto, prevosto di Montebelluna, era un personaggio di alto spessore ed era un’autorità molto considerata; così decise di offrirsi per essere ucciso al posto loro, però i tedeschi risposero: Se vuole aggiungersi anche Lei non abbiamo nulla in contrario! Se no vada via a svolgere i suoi compiti. Lo stadio era gremito di gente e un comandante urlò alla folla col megafono: Se succede ancora, ogni tedesco morto raccogliamo dieci italiani, se succede ancora ricordatevi che succede questo! Hanno messo in fila i dieci, li hanno poggiati ad una mura e hanno ordinato al plotone l’esecuzione. Finita la guerra, il paese e il prevosto hanno dato una benedizione e una parola di conforto e hanno creato una lapide con tutti i nomi dei martiri che tuttora esiste.

Hai qualche ricordo della ritirata tedesca?
Alla fine della Guerra, quando i tedeschi hanno sentito che ormai non c’era più nulla da fare, c’era un fuggi-fuggi che era un misto tra ordine e sbandamento. Chi aveva fortuna di salire in una camionetta o tutti gli altri mezzi disponibili se ne andava, gli altri scappavano a piedi come capitava: in gregge, in colonne ordinate, in gruppetti, anche gente singola… l’importante era scappare! Qualcuno tentava anche di disertare; chiedevano ai paesani strada facendo vestiti borghesi, anche rotti, per non farsi riconoscere. Prima della ritirata, però, le SS hanno arruolato una milizia paesana di fascisti, circa 40-50 persone, in loro supporto e per fare spionaggio. Le SS andavano a razziare tutti i beni di valore per la loro ricchezza personale: ori, oggetti preziosi, chiese, negozi, quadri… prendevano tutto, tranne da gente povera come noi, che non avevamo niente! Durante la ritirata tutti i soldati scappavano per i boschi per non farsi trovare; io ho avuto un incontro, si può dire, ravvicinato con un soldato tedesco. Lo ho visto passare di nascosto dentro il recintato di casa mia; l’uomo andava tra i filari e, senza farmi vedere, mi sono accorto che nascondeva qualcosa sotto la passerella creata tempo fa da noi per raccogliere l’acqua del pozzo sottostante per innaffiare l’orto. Sono corso a chiamare mio papà e mi ha risposto: Andiamo a vedere domani. Quando siamo andati a vedere abbiamo trovato la sorpresa: una pistola; l’abbiamo raccolta e distrutta col martello. Tornando alla ritirata, i partigiani aspettavano i tedeschi che fuggivano verso le montagne e ho sentito dire che “il Piave era tinto un’altra volta di rosso”.

Quando se ne sono andati, come era la vita?
Dopo i tedeschi sono arrivati gli anglo-americani, anche se erano solo di passaggio. Erano più gentili: a chi li aspettava lungo le strade distribuivano cioccolata, caramelle… Dopo i tedeschi si riparavano i danni subiti. Dopo i tedeschi la vita ricominciava, pian piano migliorandosi, anche se restavamo contadini poveri!