Aung San Suu Kyi: simbolo della democrazia

La politica Birmana Aung San Suu Kyi, oggi conosciuta come il simbolo della democrazia in Myanmar, è largamente apprezzata nel panorama nazionale come l’eroina del coraggio civile. Si è battuta duramente per affermare la convivenza pacifica, per rivendicare la libertà di espressione e il dovere della verità.

La sua storia inizia il 19 giugno 1945 a Rangoon. Figlia del generale Aung San, considerato il padre della moderna Birmania e assassinato nel 1947 da rivali politici, vive fra India e Stati Uniti fino al 1988 quando ritorna in Birmania per assistere la madre malata. In quello stesso anno cade lo storico governo birmano guidato dal Partito socialista, a cui succede una giunta militare autoritaria.

Consapevole della condizione critica del suo Paese e animata dalla fede buddhista, Suu Kyi inizia a occuparsi di politica per richiedere la democratizzazione della Birmania e contribuisce a fondare la Lega Nazionale per la Democrazia di cui diventa leader.

Questo suo spiccato senso della giustizia e del dovere civile sarà motivo di numerose onorificenze, tra cui anche il premio Nobel per la Pace. Purtroppo la porterà anche in una posizione scomoda per l’esercito birmano che la terrà in prigione e agli arresti domiciliari per quasi 15 anni. Rifiuta l’offerta della giunta di lasciare il Paese in cambio della libertà e continua a difendere la causa della democrazia resistendo alle intimidazioni a cui è sottoposta più volte da quando, nel 1990, il regime si rifiuta di riconoscere i risultati delle elezioni che la vedono vincitrice.

OGGI

Recentemente il nuovo colpo di stato in Myanmar del primo febbraio ha riaperto la condizione di crisi nazionale e la figura di Suu Kyi rappresenta ancora una volta lo stendardo dei manifestanti.  Questa nuova e dura battuta d’arresto per la nascente transizione del Paese alla democrazia ha già causato la morte di più di 250 persone oltre che 2000 arresti e innumerevoli feriti.  L’esercito dichiara di aver effettuato il golpe per prendere il controllo del Paese e sollevarlo dallo stato di emergenza.

Il culmine di quest’ipocrisia è stato certamente l’arresto di Aung San Suu Kyi che la giunta militare ha accusato, senza portare prove, di aver accettato una tangente da 600mila dollari, insieme a dell’oro del valore di 628mila dollari, mentre era al governo.

Il generale Zaw Min Tun, accusando di corruzione anche il presidente Win Myint e alcuni ministri, ha condotto numerosi politici agli arresti domiciliari. Suu Kyi è detenuta in un luogo segreto e deve affrontare accuse come l’ importazione illegale di walkie-talkie.

Aung San Suu Kyi, alla veneranda età di 75 anni, sta ancora combattendo duramente per il suo paese e persino ora, da dietro le sbarre, i suoi ideali spingono migliaia di civili a non demordere di fronte alla dura repressione dell’esercito. I suoi sforzi nei confronti della sua patria rischiano di andare perduti, ma il suo coraggio ha segnato la storia di una nazione e sarà di insegnamento per il mondo intero.

di Giuseppe Di Lella