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Studentopìa, gli studenti sperano che i professori si interesseranno al loro futuro

Abbiamo tutti paura del futuro.
Noi giovani, naturalmente, siamo i primi a porci un’infinità di domande al riguardo: che lavoro avremo, se continueremo a vivere nella nostra città natale o se dovremo trasferirci, se il tenore di vita che desideriamo sarà soddisfatto e così via. Perché sì, il timore di deludere le proprie aspettative e di non vivere la vita dei nostri sogni, è tanto.
Per cui, la cura nella scelta del percorso di studi da intraprendere per poi esercitare la professione che ci procurerà un tetto sopra la testa, a meno che non abbiamo intenzione di dipendere a vita dai nostri genitori o dal nostro partner, diventa fondamentale.
Ma noi, che della vita vera al di fuori del contesto scolastico e familiare ne sappiamo ben poco, come dovremmo capire qual è la scelta più adatta, se nessuno è disposto ad aiutarci?
Esistono le giornate di orientamento e gli open-day presso le università, che sono l’unico spiraglio di luce in un periodo, per molti adolescenti, di confusione, ansia e angoscia.
Tuttavia, non sempre sono sufficienti. Molti di noi, ragazzi di 18 o 17 anni portati in degli edifici adibiti a sagra, pieni di stand con docenti affamati di matricole, vi usciamo solo più confusi di quanto già non lo fossimo all’entrata.
Di conseguenza sorge spontaneo pensare a coloro che, dopo averci seguiti per cinque anni di liceo, conoscono le nostre competenze, potenzialità e attitudini, e potrebbero quindi orientarci e darci qualche consiglio sincero.
Sarebbe fantastico, oltre che logico, ma è meglio svegliarsi subito da questo sogno utopico, perché sappiamo bene che i professori sono troppo occupati a finire il programma per interessarsi ai nostri dubbi e alle nostre perplessità.
Ma stiamo sereni, non preoccupiamoci a riguardo, d’altronde ci faranno la classica domandina al termine dell’esame di maturità. Basta e avanza, no?

Beatrice Circognini VE