L’alienazione dell’uomo: tra storia e letteratura

L’argomento centrale, che si snoda lungo la storia di due secoli, e che arriva a interessare anche il campo della letteratura, è l’omologazione dell’individuo, e l’influenza della scienza e della tecnologia su tutti gli aspetti della vita dell’uomo. Lo sfondo storico in cui si fa strada il concetto di “alienazione” è quello della Seconda Rivoluzione Industriale, che nell’800 sconvolse la vita dell’uomo trasformandolo da libero artigiano a operaio in fabbrica. Ebbe due fasi: la prima con lo sfruttamento del ferro e del carbone nell’industrie siderurgiche, meccaniche e tessili; e la seconda fase, iniziata nel 1850, con l’energia elettrica, il motore a scoppio, l’acciaio utilizzati in fabbriche elettromeccaniche e chimiche. Il paese guida fu l’Inghilterra, seguito da Germania, Francia e Belgio.

In Italia la politica e l’economia della penisola ritardarono lo sviluppo industriale, infatti fino al 1861 i piccoli Stati difendevano il rigido sistema doganale, che colpiva con forti dazi le merci che entravano nel territorio, ostacolando il commercio; inoltre nel Mezzogiorno mancava la classe borghese e il potere era in mano ai grandi latifondisti.

Al centro del sistema “capitalistico” c’era la figura dell’imprenditore, che investiva il proprio capitale per costruire le fabbriche e acquistare i macchinari, costituendo società per azioni e chiedendo prestiti alle banche, mentre gli operai venivano costretti a condizioni di lavoro precarie. Nelle aree meno industrializziate del Mezzogiorno nasce la “Questione meridionale” che fa emergere il problema del proletariato urbano e il basso tenore di vita della classe contadina. La classe operaia svolgeva nelle fabbriche un lavoro durissimo, lavorando anche 14/15 ore al giorno, con scarsa igiene e sicurezza, arrivando allo sfruttamento del lavoro minorile. Secondo la teoria liberista, alla quale si ispiravano i governi e i capitalisti, il lavoratore cedeva il proprio lavoro come se fosse una merce e quindi il suo salario doveva corrispondere al prezzo della merce. Il prezzo secondo i liberisti doveva essere appunto lasciato “libero”, determinato solo dall’andamento del mercato (legge della domanda e dell’offerta). Tanto più era alta la domanda di una merce tanto avrebbe dovuto essere il salario dell’operaio che la produceva. Quindi l’imprenditore, mantenendo basso il costo del lavoro, poteva tener basso il prezzo finale della merce e trarne maggior profitto. Le dure condizioni di lavoro della classe operaia portarono gli operai a riunirsi in associazioni e nel 1864 nacque la Prima Internazionale che riuniva le organizzazioni di diversi Paesi Europei. Nella seconda metà dell’800 queste associazioni presero la forma di sindacati, organizzazioni permanenti che si occupavano di un certo settore, richiedendo salari più alti, il miglioramento della sicurezza e orari di lavoro meno pesanti. Da citare è sicuramente Karl Marx, che costituì il maggiore ispiratore del movimento operaio, secondo il quale le condizioni materiali, ossia le condizioni economiche, determinano il corso della storia dell’uomo e ne influenzano ogni aspetto, sia culturale che spirituale. Anche la Chiesa si espresse sulla “Questione Sociale” e Papa Leone XIII con “l’Enciclica Rerum Novarum” nel 1891 auspicò una cooperazione tra capitalisti e lavoratori, una giusta retribuzione ai lavoratori con orari di lavoro più sopportabili e il riposo nel giorno festivo.

Tra gli eventi che caratterizzarono i primi anni del ‘900, invece, vi fu sicuramente quello della nascita delle Avanguardie: artisti e poeti cercarono nuovi linguaggi e nuovi modi di rappresentare il mondo. Alcuni segnati dalla tragedia della Prima Guerra Mondiale, volsero lo sguardo dentro sé stessi e cercarono nel proprio mondo interiore parole nuove ed essenziali. Altri guardavano con entusiasmo la società che si trasformava e la poesia doveva trovare un modo per descriverla. Montale, con “Non chiederci la parola” che è una delle sue poesie più celebri tratta da “Ossi di seppia” si rivolge a quel lettore che esige dai poeti verità assolute e definitive, invitandolo a non chiedergli alcuna rivelazione, né su stesso né sull’uomo in genere, e nemmeno sul significato della vita. Egli, infatti, non ha alcun segreto risolutivo, ma solo dubbi e incertezze, o anche una conoscenza fondata sul contrasto: l’ultimo verso, infatti, è divenuto famoso e viene spesso menzionato da chi non vuole farsi notare come possessore di fittizie verità. Il poeta vuole esprimere l’impossibilità di comunicare con il mondo esterno che sente profondamente distante dalla propria realtà interiore. La poesia non può svelare le realtà più profonde perché “il male di vivere” che caratterizza l’esistenza umana rende l’uomo pieno di dubbi e incertezze, conclude rispondendo al lettore: “Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”. Pirandello, con “Il Treno ha fischiato”, mette in scena con umorismo il dramma di un individuo incapace di riconoscersi nei valori e nei modelli della società borghese, secondo lui infatti la verità non è mai uguale per tutti e le persone indossano una sorta di maschera: un’identità che la società ha costruito per loro e che risente di tutto ciò che gli altri si aspettano. Il protagonista della vicenda, come spesso avviene in Pirandello, è un esponente della piccola borghesia impiegatizia, senza alcuna apparente qualità e senza nessun tratto d’interesse: Belluca è infatti un grigio ragioniere, scrupolosissimo sul lavoro ed irreprensibile nella vita privata. Senonché un giorno, preso da un attacco di rabbia folle, egli, urlando che “il treno ha fischiato”, si scaglia contro il capoufficio, tanto da dover essere ricoverato in un manicomio, dove la diagnosi dei medici, incapaci di fornire ad amici e conoscenti dell’uomo una giustificazione razionale a degli eventi a prima vista assurdi, parla di encefalite o “febbre cerebrale”. In realtà la narrazione ricostruisce a poco a poco il quadro effettivo che si cela dietro le apparenze. Se il clima sul posto di lavoro è oppressivo, la vita tra le mura domestiche non è meno alienante: Belluca deve assistere tre donne completamente cieche (la moglie, la suocera e la sorella di lei) nonché provvedere al mantenimento di due figlie vedove con figli. Ecco come ci viene descritta la sua squallida esistenza dalla voce narrante, quella di un vicino di casa. Così, un evento banale come il fischio di un treno, che proietta la mente di Belluca in mondi “altri” liberi da ansie e preoccupazioni, è ciò che fa scattare la molla della folle ribellione alla realtà. Belluca con il suo comportamento reclama uno spazio di evasione da una situazione impossibile da sostenere. Com’è norma, non manca la conclusione “umoristica”, tipica di molte novelle pirandelliane: Belluca, su intercessione di un amico, viene reintegrato in ufficio dopo le scuse al superiore che, consapevole della situazione, concederà al sottoposto delle piccole pause in cui Belluca, ricordando il “fischio” del treno, possa fuggire per brevi istanti dalle pressioni del mondo reale. Dietro all’enigma di Belluca (che si reinserisce nel mondo reale, ma tenendosi uno spiraglio di evasione nel sogno ad occhi aperti e nella follia illusoria) c’è un tratto costitutivo del ragionamento di Pirandello sull’uomo contemporaneo: forse è la normalità quotidiana a rappresentare la vera follia.

Tommaso Romanò 4D cl