Come lo racconteremo in futuro questo periodo?

È passato poco più di un anno da quando una notizia, che all’inizio reputavamo da nulla (poiché lontana chilometri e chilometri da noi), ha sconvolto la vita di milioni di persone.

Un anno da quando molti dei nostri atteggiamenti sono dovuti cambiare.

Un anno da quando ci sentiamo bloccati mentre ciò che ci circonda va avanti e il tempo scorre fin troppo velocemente.

Chi si sarebbe mai immaginato una situazione del genere? Vivere nel bel mezzo di una pandemia globale sarebbe sembrato un racconto di fantascienza, un’utopia, invece, nel giro di poche settimane, ci siamo ritrovati chiusi in casa. L’hanno chiamato “lockdown”. Non siamo più andati a scuola, a lavoro, nelle palestre, nei locali, non abbiamo più incontrato amici e parenti.

I telegiornali parlavano in modo martellante del virus, ma ancora non avevo capito la gravità della situazione. Le scuole rimanevano chiuse e una parte di noi gioiva nel poter stare a casa senza compiti e interrogazioni. Sono bastati pochi giorni per ricredersi. Si parlava sempre più di decessi, che con il passare dei mesi raggiungevano cifre che ai miei occhi sembravano esorbitanti, di contagi, di persone in cassaintegrazione, studenti in dad e lavoratori in smart-working.

Chiusi a casa tutti facevamo all’incirca le stesse cose per distrarci e non cadere nella noia. Alcuni giorni erano un po’ più tristi, altri più sereni, e così trascorrevano mesi.

Con l’arrivo dell’estate sembrava ne fossimo usciti, i casi di Covid-19 erano scesi, eravamo più spensierati, potevamo riuscire con i nostri amici, rivedere nonni e familiari, incontrarci nei locali. Certo, c’erano sempre restrizioni e mascherine, ma avevamo una parvenza di normalità.

Siamo ritornati a scuola a settembre, ed è stato un rientro un po’ strano. Tutti distanziati, in fila Indiana, per verificare la temperatura davanti ai totem installati nell’atrio dell’istituto. Gli spazi sembravano enormi, il volto coperto dalla mascherina ma felici di rivederci, di ritornare a fare la fila alle macchinette per il caffè o per le croccantelle.

Dopo un mese abbiamo ricominciato con la DAD, la storia si ripete, c’è una nuova quarantena, sembra di ritornare a marzo, quasi non voglio crederci, e speri sia solo un incubo, uno di quelli da cui non riesci a svegliarti pur mettendoci tutto te stesso.

Mi sono sentita incompresa, impotente, non avevo più voglia di fare nulla, infastidita dalla mia stessa abulia, avevo paura, l’estate era stata solo un’illusione, un piccolo spiraglio di felicità a cui tutti ci eravamo aggrappati.

L’idea che quelli che vengono considerati gli anni più belli della nostra vita stiano svanendo mi sfinisce, poi però penso sia un concetto egoistico perché c’è chi rischia la vita per salvare gli altri, chi non ce l’ha fatta, chi ha contratto il virus e chi sta vivendo questa situazione senza i propri affetti.

La DAD non può sostituire la scuola in presenza, le videochiamate non sono come una chiacchierata dal vivo, la tecnologia è solo una piccola finestra sulla realtà, vedere un posto in foto è completamente diverso che vederlo e viverlo di persona, gli allenamenti a casa non sono come quelli in palestra dove tra una chiacchiera con l’istruttrice e un allenamento in vista delle gare tornavi a casa a pezzi ma con il sorriso in volto.

Malgrado tutto, cerchiamo di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno e pensare che il coronavirus ci ha insegnato più di quanto possiamo immaginare: che anche un abbraccio non va dato per scontato, che non dobbiamo lasciarci sopraffare dai pensieri, che dobbiamo accettare i nostri limiti.

Ci siamo adattati ma non siamo ancora riusciti ad abituarci. Ad esempio, le poche volte che usciamo, è consuetudine prendere la mascherina, ma nonostante ciò la dimentichiamo così spesso che facciamo quattro volte le rampe delle scale; o anche il fatto che non ancora ci abituiamo al non poter abbracciare un amico o una nonna, a mantenere la distanza di sicurezza.

Questo periodo verrà studiato da chi verrà dopo di noi e occuperà il suo spazio nella storia, così come oggi studiamo la peste nera o la spagnola, e come tale lo ricorderemo come uno dei periodi bui che abbiamo dovuto affrontare e che abbiamo superato ricominciando a vivere, apprezzando e dando più valore a tutto ciò che ci circonda.

Per ora possiamo solo sperare che tutta questa situazione diventi solo uno spiacevole ricordo e pensare a come lo racconteremo in futuro.

 

di Mariavittoria Tinari