Uiguri: la strage silenziosa

23 a 54. No, non si tratta del punteggio di una partita di pallacanestro al suono della sirena del secondo quarto, ormai indirizzata verso la vittoria del quintetto ospite. Tuttavia, tale rapporto è specchio perfetto di una sconfitta ancor più schiacciante. 23 e 54 indicano nazioni. Le prime, strenue contestatrici della politica genocida perpetrata dal Partito Comunista Cinese nei confronti della popolazione uigura, etnia turcofona risiedente nella regione autonoma dello Xinjiang. Le seconde, ferme sostenitrici del governo centrale e delle azioni del suo presidente, Xi Jinping. Si possono limitare a ciò le proporzioni dello scandalo? Certamente no. L’efferatezza dei crimini compiuti è aberrante, la loro crudeltà inenarrabile. Per stravolgere una tanto chiusa realtà occorre, tuttavia, confrontarsi con essa in tutte le sue sfaccettature, accettarne gli schiaffi, i graffi, i pugni e i calci. Troppo spesso ci si è limitati a commentare: l’ora della passività è finita. Finita come la libertà di un popolo abbandonato a sè stesso da ormai tre anni, calpestato nel suo orgoglio, spogliato dei propri diritti e delle proprie tradizioni, costretto a inginocchiarsi al cospetto della campagna propagandistica etnocida di sinizzazione.

Di quale crimine tanto grave si sono macchiati? Esser convinti fedeli musulmani e battersi senza sosta, da decenni, per la libertà religiosa. Tanto è bastato a destare preoccupazione ai piani alti delle sedi amministrative di Pechino e far scattare, istantaneamente, il protocollo di difesa “anti-terrorismo”, alla cui attivazione hanno fatto seguito imposizioni dispotiche, sempre più stringenti. Si è cominciato, come si suole nelle politiche repressive, con divieti in ambiti apparentemente insignificanti, quali abbigliamento e nomi; è stata poi cancellata la possibilità di ricevere un’educazione non statalizzata; ed infine, ecco i campi di detenzione. Perché tale è il loro vero nome: non “centri di istruzione e formazione professionale”, come sono stati erroneamente definiti nell’assurdo tentativo di mascherarne la reale funzionalità. Torture, sterilizzazioni obbligatorie, lavaggio del cervello, lavori forzati: testimonianze provenienti dalla Humans Right Watch, foto e video documentano i progressi della più atroce operazione di sterminio dai tempi del genocidio del Ruanda.

Solo un anno è trascorso dalla pubblicazione dei “China Cables”; dal polverone sollevato dall’inchiesta del NYT; dal comune sgomento di fronte al freddo, glaciale “Nessuna pietà” del presidente Xi Jinping; e tuttavia nulla sembra esser cambiato. Frattanto, si vocifera sempre più insistentemente il coinvolgimento dell’azienda Huawei nell’identificazione degli uiguri tramite sistemi di riconoscimento facciale. Un altro gancio sul volto, l’ennesimo goal subito. Prostrati a terra, inermi, insozzati di putrido fango, insieme agli uiguri, ci siamo noi ed i diritti umani.  

Articolo di Torri Martino