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Mafie foggiane. Vincenzo Musacchio: alla “criminalità organizzata” dobbiamo contrapporre la “gioventù organizzata”.

Musacchio

 

Intervista di Lucia De Sanctis

Vincenzo Musacchio, giurista e docente di diritto penale, è associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). E’ ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. E’ stato allievo di Giuliano Vassalli e amico e collaboratore di Antonino Caponnetto.

Professore, ci spiega quando parliamo di mafie foggiane a cosa ci si riferisce?

Da studioso, distinguerei quattro gruppi criminali organizzati: 1) la società foggiana; 2) la mafia cerignolana; 3) la mafia garganica; 4) la mafia sanseverese. Si tratta di gruppi che possono annoverarsi tra coloro che hanno una operatività criminale incisiva e socialmente pericolosa. Pur conservando distinte segmentazioni, hanno radici comuni e, soprattutto, si muovono in sintonia cercando di non calpestarsi i piedi e spartendosi in accordo i relativi territori di pertinenza.

A quali mafie a noi più note possono raffrontarsi?

Ritengo abbiano qualcosa di tutte le mafie. Hanno la ferocia di “Cosa Nostra” di Riina; il familismo e la consanguineità della ‘ndrangheta; l’organizzazione in gruppi autonomi della Camorra. Negli ultimi anni si sono evolute infiltrandosi nel tessuto politico, economico e sociale occupando spazi soprattutto nei settori dei rifiuti, dell’agricoltura, dell’edilizia e soprattutto del turismo balneare.

 Si parla spesso di legami tra mafie foggiane e albanesi, le risulta?

Assolutamente sì. Le unisce sia il narcotraffico, sia la posizione geografica strategica. Come ho scritto più volte, l’Albania è oggi uno dei più grandi produttori mondiali di cannabis e le coste pugliesi sono un punto di approdo privilegiato per lo sbarco in Italia di decine di tonnellate di stupefacenti destinati al mercato nazionale ma anche a quello europeo ed internazionale.

Foggia e provincia vivono nel terrore della violenza efferata di queste mafie, come se lo spiega?

Con la grande trascuratezza repressiva che ha caratterizzato questo fenomeno mafioso. C’è una mafia feroce ed efferata che definirei “grezza” (es. la mafia garganica) e una nuova che è in fase di metamorfosi e che definirei “evoluta” (es. la nuova mafia foggiana) che da non molto tempo comincia a prediligere alla violenza il metodo corruttivo. Quest’ultima mafia si infiltra negli enti locali e investe i propri capitali in molteplici settori dell’economia. È un salto di qualità notevole da non sottovalutare. Entrambe le mafie vanno combattute con egual efficacia e non più trascurate come purtroppo è avvenuto in passato.

Noi giovani, i cittadini e soprattutto lo Stato cosa dovrebbero fare ?

Il mio maestro Antonino Caponnetto mi ha insegnato che le mafie non possono essere contrastate solo dai magistrati e dalle forze di polizia, ma c’è bisogno di altro, ovvero, della cultura e del senso civico di una comunità. È ancora attualissimo il suo pensiero: “La mafia teme la scuola più della giustizia, l’istruzione toglie erba sotto i piedi della cultura mafiosa”. I pugliesi devono schierarsi e decidere veramente da che parte stare, ma per poterlo fare devono avere dalla loro parte uno Stato forte, autorevole e efficace nel reprimere i fenomeni mafiosi. Dico sempre ai giovani quando sono soprattutto nelle scuole, che alla “criminalità organizzata” dobbiamo contrapporre la “gioventù organizzata”. Se i giovani si uniranno facendo “gruppo”, le mafie non avranno futuro.

Secondo lei questo potrà bastare a sconfiggere le nuove mafie?

Ovviamente no. Sarà indispensabile una forte azione di contrasto nazionale unita a quella sovranazionale. Se il crimine attraversa le frontiere, lo stesso deve fare l’applicazione della legge. Se le nuove mafie cercano di usare l’apertura e le opportunità offerte dalla globalizzazione per raggiungere i loro fini criminali, noi dobbiamo usare questi stessi strumenti per difendere i diritti e sconfiggere il crimine organizzato e la corruzione che ormai camminano di pari passo.

Lei ha trascorso alcuni momenti della sua vita con Antonino Caponnetto parlando di legalità, di mafie e di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che lui reputava suoi figli adottivi. Che cosa l’ha maggiormente colpita nel periodo passato con lui, c’è stato un momento o una circostanza che le è rimasta impressa?

Un vero servitore dello Stato. Amava i giovani e si spese fino all’ultimo per loro, per educarli alla legalità spingendo sul senso del dovere e sulla corresponsabilità. Io lo conobbi 17 febbraio 1995. Grazie all’intercessione di Maria Falcone, riuscii a contattarlo e portarlo a Termoli come relatore sul tema “La lotta alla criminalità  organizzata nello Stato  di  diritto: problemi e prospettive”. Ricordo come fosse oggi che arrivò in una Termoli deserta per le imponenti misure  di  sicurezza: era ancora Consigliere Capo Istruttore a Palermo. Al suo arrivo gli si presentarono tutte le più alte cariche della Regione, ma lui del tutto inaspettatamente chiese del dottor Musacchio.  Oltre  ad essere un emerito sconosciuto, ero l’ultimo di una lunga fila oscurato da persone istituzionalmente più importanti di me. Alzo la mano e lui scorre la fila e viene verso di me.  Mi  disse: “Caro  Musacchio, Maria Falcone mi ha parlato molto bene di te… Vieni … e mi porta verso il panorama marino di Piazza Sant’Antonio, circondati quasi da  un  esercito  di  poliziotti  e  carabinieri.  Allora come vogliamo impostare quest’incontro?” E così incominciammo a parlare di come approfondire il tema del convegno.  Il Cinema Sant’Antonio era stracolmo e tantissime persone purtroppo rimasero fuori.  Ricordo fece una disamina del fenomeno mafioso, fornì l’orientamento necessario per comprendere i legami che la mafia intrattiene col mondo politico.  Lo guardavo estasiato dalla sua dolcezza nell’esporre le sue tesi, poi disse: “a differenza delle organizzazioni puramente criminali, o del terrorismo, la mafia ha come sua specificità un rapporto privilegiato con le élite dominanti e le istituzioni, che le permettono una presenza stabile nella struttura stessa dello Stato”. E che “La mafia è l’estensione logica e la degenerazione ultima di un’onnicomprensiva cultura del clientelismo, del favoritismo, dell’appropriazione di risorse pubbliche per fini privati”. Terminò il suo intervento con un invito: occorre che gli onesti si riapproprino delle istituzioni e della politica! Quest’ultima frase me la ripeté ogni   volta che ci incontravamo o che ci sentivamo al telefono.

Che cosa si augura per il futuro della Puglia?

Mi auguro ogni bene, poiché per metà sono anche io pugliese: mia madre era di Troia, un paese a circa venti chilometri da Foggia. Spero che i giovani trovino la forza e il coraggio di dare risposte nuove a questi aberranti fenomeni criminali. Dovranno scegliere da che parte stare o qualcuno giocoforza sceglierà al posto loro. Sono, tuttavia, fiducioso poiché da parte loro c’è una presa di coscienza, il che non è poco per cominciare a costruire un futuro migliore.