Incontro con il giovane scrittore Rocco Cannarsa

 

di Silvia Somma classe 3M

Venerdì, 23 aprile 2021, abbiamo fatto un incontro su meet con Rocco Cannarsa.

Il giovane scrittore e studente è pieno di vita e di storie da raccontare… come quelle di Maria e Daniele, due prototipi con vite comuni, da cui Rocco ha deciso di prendere ispirazione per scrivere, durante il periodo di covid, due brevi racconti.

“Ma perché scrivere di persone comuni di piccoli paesi e non di persone famose di grandi città?” pone la domanda il ragazzo seduto dietro di me. “Secondo me è più poetico e artistico scrivere di persone comuni di piccoli paesi, che di persone famose di grandi città. I vip sono già famosi, non hanno bisogno di altra visibilità. Si dovrebbe lasciare più spazio alla gente umile e comune che vive nel silenzio della propria quotidianità” espone il destinatario della domanda. Le sue, sono storie di due pilastri della solitudine. Emozione per lo più vissuta durante questo periodo di chiusura. “Ma come sono nati Maria e Daniele?” domanda un compagno. “Una rivista mi ha chiesto di scrivere dei racconti sulla vita ai tempi del covid, ma io mi sono ripromesso di non scrivere mai la causa della chiusura” ci risponde sicuro il giovane autore. In classe abbiamo letto le due storie, e ci siamo accorti di quanto due semplici persone possano prendere vita attraverso un foglio di carta. Io me la sono immaginata Maria. Me la sono immaginata con il suo ghigno stampato sul volto mentre ascolta il Premier annunciare la chiusura. Leggendo, ho perfino sentito la sua voce squillante, mischiata a quella delle sue vicine, rimbalzare da balcone a balcone. L’ho vista mentre pulisce, mentre va in chiesa, mentre cucina, e mentre ride del vicino con la canotta sporca. Ho visto anche Daniele disperato per la chiusura della sua libreria, mentre leggevo, ho sentito nell’aria il suo sentirsi in colpa perché inferiore. Ho sentito la sua preoccupazione, che se chiude lui, la cultura muore. Ma perché si sente inferiore? Perché se chiude lui la cultura muore? Rocco risponde che sì, la cultura muore, perché Daniele è un libraio di un piccolo paese di provincia, e quante librerie pensi ci siano in un paesino? E che si, si sente in colpa, si sente inferiore, perché vede su Facebook i suoi colleghi di città mobilitarsi per le consegne a domicilio, e lui non può far altro che rimanere fermo perché quanto vuoi che conti un paesino di provincia? Due vite separate, due persone completamente diverse, che neanche si conoscono. Due destini differenti, ma tutti e due uniti da un’unica emozione: la solitudine.

 

“Ma secondo te, il covid ci ha fatti davvero sentire soli?” domanda curiosa una mia compagna. “Durante la pandemia, oggettivamente, non siamo stati soli, anche se la solitudine ha tante facce. Sinceramente io no, non mi sono sentito solo. Ma ora mi sento inadatto alla vita di prima, sembra lontana, lontanissima. La solitudine può essere quella con sé stessi, si può stare in mezzo a mille persone e sentirsi comunque soli. La solitudine è una cosa che cammina, che c’è indipendentemente dal covid.” ci spiega lui.

 

Facendo un passo indietro, come è arrivato a Firenze e come è iniziata la passione per la scrittura? Sorridente di quel passato, ci racconta che ha capito mentre frequentava le scuole superiori che avrebbe voluto dedicarsi alla scrittura, in un momento in cui le cose non andavano benissimo e non si trovava bene. Poi ad un certo punto gli hanno proposto di partecipare ad un concorso che non ha vinto, ma da lì è nato un bisogno. Da lì ha capito che non poteva più fare a meno di scrivere. “Poi finito il Liceo Classico ho deciso di andare a studiare Filosofia a Firenze” – prosegue Rocco Cannarsa – “Non vedevo l’ora di scappare, ma tornando indietro rivivrei meglio il piccolo paesino sul mare il quale è Termoli. L’esigenza di andare via non deve sviluppare in voi l’odio per la realtà in cui vivete e da cui siete partiti. Nonostante questo, però, mi sono trasferito a Firenze e ho scelto, stranamente Filosofia e non Lettere. La materia che ho scelto mi piace, mi fa stare in mezzo a cose che amo: i libri.”. Sembra entusiasta dell’università e ringrazia i suoi coinquilini. “Convivendo sono riuscito a non rimanere solo. Andare a convivere con persone all’università è positivo e necessario. Conoscere nuove persone e un mondo diverso dal tuo, ti permette di confrontarti, perché si esce dal nucleo familiare dove la convivenza è naturale. Si cresce e si impara a vivere nel momento in cui si condividono gli spazi con sconosciuti.”

 

Parole sante. Molti ragazzi che vengono da piccole realtà e vanno al nord per studiare raramente tornano nel proprio paese. Si chiama “fuga di cervelli” forse anche perché i cervelli non tornano mai indietro. E alla fine, magari, diventa anche un peso tornare per le vacanze. Si sviluppa un senso di oppressione verso il loro piccolo paese di provincia. Sviluppano i loro rami e si scordano delle radici, ed è questo che Rocco ci consiglia di fare: non dimenticarci da dove veniamo, dove siamo cresciuti. Ci consiglia di non dimenticare l’odore familiare del sugo col macinato della domenica, né del profumo della mamma.

Ma anche lui ha trovato delle difficoltà. Ci racconta che se fosse rimasto a Termoli, forse, non sarebbe quello che è oggi. Spostarsi è stato fondamentale. “È un mondo difficile. In Italia si legge poco, ma si scrive tanto e per un giovane scrittore è difficile fare carriera, ma non mi arrenderò.”  aggiunge inoltre. E mentre cerca di coinvolgere noi nelle sue vicende di vita e nelle sue storie ci svela che ha scritto anche un romanzo che ha inviato ad una casa editrice e sta aspettando risposta. Con questo smentisce il fatto di aver scritto solo racconti brevi e aggiunge “Scrivere un romanzo non è come tutti pensano.

 

Non è più difficile scrivere un romanzo rispetto a brevi racconti. Da entrambe le parti ci sono difficoltà. In una storia devi essere conciso ma allo stesso tempo non troppo veloce, non devi tralasciare particolari. In un romanzo devi stare attento: se nel primo capitolo il protagonista ha la maglia verde, nel terzo non può averla nera”.

“Comunque scrittore e studente sono due cose che non possono andare insieme. Lo scrittore insegna, lo studente impara. Se mi sento scrittore non posso sentirmi anche studente. Non si può insegnare e imparare nello stesso momento.” conclude Rocco Cannarsa. Conclude con una frase particolare, piena di sfaccettature a cui pensare e forse è un gesto voluto, forse voleva darci uno spunto su cui riflettere, forse voleva metterci un grillo parlante in testa che ci ricordasse di pensare. Perché è proprio vero: se scrittori giovani come Rocco smettono di scrivere, i pensieri smettono di echeggiare.