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Il Covid ruba la magia del teatro e dell’incontro. Intervista a Rossella Dassu

di Marta Uva, 1B

Il mondo dello spettacolo è stato duramente colpito dal Covid in quest’ultimo anno, come ci testimoniano le parole dell’attrice di teatro e formatrice Rossella Dassu, che ha vissuto in prima persona la crisi di questo mondo ma anche la sua lenta risalita.

In che modo il Covid ha influenzato il tuo mondo dello spettacolo in quest’ultimo anno?

Diciamo che tutta quella che era la mia attività in presenza, di spettacolo e di formazione teatrale, è stata sospesa o modificata in direzione di quella che può essere l’alternativa a distanza e che però ha stravolto tutto il mio lavoro, essendo il video e il teatro due codici e due linguaggi completamente diversi e soprattutto il teatro ha quella peculiarità di accadere in presenza e di costruire tutta la sua natura su questo. Inoltre il Covid mi ha segnata dal punto di vista economico, c’è stato infatti un cambio totale del mio fatturato rispetto agli anni scorsi.

Quali sono state le attività e i progetti che sei riuscita a realizzare in quest’ultimo anno?

Tra Febbraio e Maggio dell’anno scorso, ho potuto realizzare un solo lavoro che mi è stato pagato, in cui insieme ad un’operatrice video abbiamo messo insieme del materiale prodotto in dad per creare un piccolo video relativo al tema dei cambiamenti climatici, realizzato con un’unione di comuni dell’Emilia Romagna con una serie di laboratori che avevano come compito quello di produrre una serie di flash mob. Inizialmente i flash mob dovevano essere realizzati in vari mercati urbani locali, poi con il lockdown ciò non più è stato possibile, ma siamo riusciti a realizzare un materiale video attraverso la piattaforma di Zoom. E’ stato molto bello quando, allo scadere del lockdown, io e la troupe siamo entrati come primi ospiti nelle case delle persone per realizzare le riprese di questo piccolo video. Questo è stato il progetto che più si è avvicinato dal punto di vista poetico a quella che è la mia idea di teatro.

Per il resto c’è stata la fase estiva, in cui sono riuscita a tenere i corsi di teatro, ovviamente rispettando le norme sanitarie e quindi riducendo anche il numero di partecipanti. A Ottobre poi ho fatto un altro lavoro: una passeggiata nel parco archeologico di Nora sul mito di Teseo e Arianna, che avevo progettato come un lavoro da fare in forma sperimentale con il pubblico, ma che poi a causa della chiusura dei teatri e del divieto di qualsiasi forma di spettacolo dal vivo, è diventato un video.

Ho fatto anche diverse letture e presentazioni, per diverse biblioteche e associazioni, ma non è certo come andare in scena.

Hai ricevuto dallo Stato qualche tipo di aiuto economico?

Si, ho ricevuto dei sussidi ma c’è stata molta confusione, specie all’inizio. Per i lavoratori dello spettacolo esiste infatti una formula per quando vanno in scena, l’Agibilità Enpals, dove il nostro contributo viene versato in un fondo separato che è il fondo dello spettacolo. Naturalmente questo cambia a seconda del tipo di lavoro e di contratto, agli attori scritturati tutto l’anno sono pagate molte più giornate lavorative, mentre per i liberi professionisti come me le giornate di spettacolo sono molto poche rispetto a tutte le altre attività di formazione e letture. Inizialmente il numero di giornate versate all’Enpals richiesto era parecchio alto, quindi moltissimi di noi non sono riusciti ad ottenerli. Possiamo dire che il Covid rispetto al mondo dello spettacolo ha tirato fuori numerose criticità, noi attori dello spettacolo siamo infatti una classe poco tutelata e che, specie in questo periodo di pandemia, si è rivelata molto fragile.

Hai già qualche progetto per il futuro prossimo?

Si, ho intenzione di presentare a Luglio un secondo studio sul lavoro che avevo cominciato a Ottobre sul mito di Teseo e Arianna, e la cosa interessante sarà che stavolta avrò la possibilità di confrontarmi con un pubblico. Nel resto dell’estate realizzerò i corsi di formazione finalizzati alla realizzazione di spettacoli che oramai tengo da anni sempre in Sardegna rivolti a tutta la cittadinanza del comune di Pula dove attualmente mi trovo. Per Ottobre ho invece in programma un lavoro con l’Assessorato alla Sanità del Comune di Bologna che fa parte di un progetto con l’obiettivo di ostacolare e agire in modo preventivo su una problematica che si sta dimostrando sempre più importante nella società, la ludopatia infantile, ossia il rapporto “malato” tra un bambino o un adolescente e tutto il mondo di Internet e dei videogiochi. Il lavoro che farò sarà più insolito rispetto al tradizionale spettacolo in cui c’è un attore su un palco e il pubblico che assiste dalle sedie, consisterà infatti in una passeggiata nei Giardini Margherita, uno dei parchi principali di Bologna. Inscenerò la storia di Margherita, una bambina che a causa di internet ha perso un po’ i contatti con il mondo esterno, e che nel parco incontra uno spirito guida che attraverso un percorso di giochi nel parco le fa riscoprire la bellezza dell’ambiente che la circonda. Farò diventare questo percorso una specie di gioco da tavolo interattivo vissuto in prima persona dalla classe che mi seguirà. Ho scelto questo tipo di spettacolo interattivo perché mi sembrava il più adatto all’argomento trattato: non voglio fare uno spettacolo in cui li metto frontali a subire passivamente un’esperienza, che è una cosa che stanno facendo ormai da più di un anno. Io voglio che si muovano, che tocchino la corteccia di un albero, che respirino gli odori, che guardino il cielo, che vivano la natura che li circonda proprio come Margherita.

Quali sono gli aspetti del teatro che più sono venuti a mancare in quest’anno di pandemia? Cosa ti è mancato di più?

La cosa a cui è stato più doloroso rinunciare, la cosa che mi manca di più è lo sguardo, l’incontro. Lo sguardo tra l’attore e il suo pubblico, quella magia che nasce quando due persone si trovano a fare qualcosa di inedito, di stravagante, di diverso dall’usuale. Lo sguardo, l’incontro è qualcosa che mi manca anche nella vita. E il teatro è strutturato fondamentalmente sull’incontro. Come disse un grande maestro degli anni ’60, Jerzy Grotowski, “il teatro è quella cosa che succede tra un attore che agisce e uno spettatore che guarda”. Ed è qualcosa di assolutamente impalpabile, non è una pellicola, non è una scultura, non è una tela dipinta. Una volta ho letto da qualche parte che gli attori e le attrici che fanno spettacolo sono gli artisti che più hanno il senso dell’effimero, ed è vero, perché di quello che noi facciamo non resta traccia: il video di uno spettacolo non è uno spettacolo. Lo spettacolo è quell’inafferrabile condizione magica che si crea nel momento in cui tu sei lì, e sai che ciò che farai sarà inevitabilmente modificato dalle reazioni, dai fatti che avvengono davanti a te, nel pubblico: un colpo di tosse ti distrae, uno sguardo attento ti da carica.

In questo difficile periodo in cui il tuo mondo è stato completamente stravolto e sei stata costretta a lavorare prevalentemente davanti a uno schermo, sei comunque riuscita a mantenere viva la tua passione verso il teatro?

In quest’anno il Covid ha molto influenzato la nostra condizione creativa interiore, da un lato si aveva molto più tempo per organizzare progetti e nuove attività, ma allo stesso tempo è difficile mantenere il desiderio di fare quando non hai davanti l’obiettivo da realizzare, è come studiare senza aver nessun esame o interrogazione davanti. La prima fase in particolare è stata molto difficile per il mio spirito creativo e la mia concentrazione, negli ultimi mesi ho invece ritrovato la forza e la capacità di ideare, probabilmente perché si avvicina di nuovo l’idea del debutto. Quindi si, nonostante le difficoltà sto riuscendo a mantenere viva l’artista che è in me.