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“De rerum natura” di Lucrezio. Recensione di Luca Russo

Il brano “Il microcosmo uomo “fa parte del terzo libro della seconda diade, focalizzata sull’uomo e sul processo della conoscenza, del De rerum natura, poema in sei libri di 7415 esametri di Lucrezio che espone i principi della filosofia epicurea ed è anche la più amlpia sintesi del pensiero epicureo che ci sia giunta. In questo testo Lucrezio dimostra la mortalità dell’anima, argomento del terzo libro, affermando che l’anima, come la materia, è composta da atomi che sono, però, più piccoli e più sfuggenti degli atomi che compongono la materia dell’universo. Lucrezio fornisce anche altre due dimostrazioni per la mortalità dell’anima: l’anima si disperde e perisce e si dissolve in atomi quando il corpo, suo contenitore, non è più in grado di contenerla e l’anima, che si sviluppa e si deteriora parallelamente al corpo e muore quando quest’ultimo perisce. Lucrezio riesce a esporre in modo chiaro quest’argomento e le varie dimostrazioni unendo il suo linguaggio poetico agli argomenti scientifici e filosofici, caratteristica comune a tutto il De rerum natura, e fornendo esempi che fanno capire subito al lettore concetti astratti. Questi esempi vengono forniti sotto forma di similitudini: nel verso 431 Lucrezio dice che l’anima si disperde e perisce e si dissolve più rapidamente nei suoi corpuscoli primordiali, gli atomi, così come dagli altari viene esalato fumo e dai vasi infranti il liquido trabocca e si disperde da ogni parte e nel verso 455 che si dissolve come fumo, nel verso 440 Lucrezio, rifacendosi all’esempio precedente, dice che il corpo è quasi il vaso dell’anima e, dal verso 445 al verso 454, dice che l’anima, nascendo e crescendo col corpo, è di fragile saggezza quando i fanciulli sono deboli e teneri di corpo, è di matura e maggiore energia quando il corpo cresce con robuste forze e scema con ragione claudicante e con la lingua che delira quando le membra vacillano per il venir meno delle forze  a causa dell’implacabile assalto del tempo. L’autore riesce inoltre a spezzare il tono piatto e monotono del discorso teorico cambiando continuamente la tonalità del testo. Il testo si può suddividere in tre parti in base alle prove addotte da Lucrezio per dimostrare la mortalità dell’anima: nella prima parte del testo, dal verso 425 al verso 430, Lucrezio espone la prima prova a favore della sua tesi dicendo che “la sottile anima consiste di particelle minuscoli e di germi molto più piccoli di quelli da cui è formato il liquido umore dell’acqua, o la nebbia, o il fumo,  infatti molto li supera in mobilità” e quindi si disgrega come il resto della materia, dal verso 431 al verso 444 Lucrezio, prima illustrando come i liquidi si disperdono dai vasi infranti e come il vapore esala dagli altari e poi affermando che il corpo è il vaso dell’anima, dice che l’anima si disperde e si dissolve non appena avulsa dalle membra dell’uomo fugge via lontano e dal verso 445 al verso 458 Lucrezio, spiegando come la mente nasce e cresce col corpo secondo un percorso comune perfettamente parallelo, dice che l’anima e il corpo , stremati dal tempo, si disfano insieme . L’argomento trattato in questo brano è molto importante per la filosofia epicurea, conosciuta anche come filosofia del giardino, e, conseguentemente, per il De rerum natura, visto che questa filosofia consiste nella ricerca della felicità tramite l’allontanamento delle paure e dei turbamenti (l’atarassia che è l’unico bene che l’uomo può raggiungere nel corso della sua vita) e quindi indirettamente tramite il piacere. La filosofia di Epicuro fornisce un quadruplice rimedio (tetrafarmaco) contro la paura della morte e degli dei e dimostra l’accessibilità del bene e la lontananza del male. Nel terzo libro Lucrezio dice che l’uomo, avendo un’anima mortale, muore ma non deve avere   paura della morte e delle punizioni posteriori ad essa e cercare di allungare la vita creando falsi aldilà, visto che la sofferenza c’è soltanto nella vita e non nella morte e il rimpianto dei piaceri della vita e dei nostri cari scompare quando noi scompariamo.

Luca Russo, III I