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Italia e 1 Maggio: chi manca ancora all’appello dei lavoratori?

Italia e 1 Maggio: chi manca ancora all’appello dei lavoratori?

Il lavoro femminile a 200 anni dall’ istituzione della festa internazionale

 
Una sveglia in meno e qualche ora di relax in più sono solo uno strascico che l’ 1 Maggio porta con sé ogni anno in occasione dell’attuale – quanto mai più sentita – festa dei lavoratori.
Di anni ne sono passati tanti – circa un secolo e mezzo – da quando le rivolte americane hanno consacrato le 8 ore canoniche stabilite di diritto per ogni lavoratore. Eppure sembra che il tempo abbia sbiadito le ferme convinzioni di quelle rivolte, e oggi sotto quelle 8 ore simboliche non tutti paiono rivendicare i medesimi diritti.
Tra i numerosi conflitti militari, le crisi economiche e le epidemie, tante sono le motivazioni che hanno fatto deragliare i principi dell’ 1 Maggio. Eppure, in questa complessa e dinamica equazione sociale è sempre presente una costante del tutto ingiustificata: le lavoratrici.
   Sebbene infatti questa ricorrenza ricordi l’ importanza dei lavoratori nell’ essere persone in carne ed ossa, con una propria dignità e che necessitano di tutela di fronte ai propri datori di lavoro, all’ appello continuano a mancare milioni di donne i cui diritti sono ancora dimezzati rispetto a quelli dell’ altro sesso.
E così accade purtroppo in molti paesi del mondo odierno; di fatti anche nella Repubblica fondata sul Lavoro la visione femminile sul futuro rimane spesso ristretta a vedute ben poco ambiziose, impedendo alle donne di godere di quella dignità di cui proprio il primo articolo della nostra Costituzione decanta l’ importanza fondamentale. L’ essere donna infatti influenza futuri e carriere già a partire dai colloqui di lavoro che chiunque prima di ottenere un impiego è tenuto ad affrontare. Se da una parte i quesiti spaziano tra esperienze formative e studi specialistici, dall’ altra sembra che l’ interesse verta maggiormente sulle proprie ambizioni familiari piuttosto che sugli obbiettivi lavorativi. Non solo. La pressione sociale che incombe sulle menti femminili si fa sentire anche una volta conquistato un impiego, motivo per il quale 37.611 lavoratrici neogenitori nel 2019 si sono dimesse. Le donne occupate con figli che vivono in coppia sono solo il 53,5%, contro l’83,5% degli uomini a pari condizioni e infine per i single, i tassi di occupazione sono 76,7% per maschi e 69,8% per le femmine.
Oltre al fatto che come per molti altri settori, il coronavirus ha creato gravi voragini anche in questo ambito, aggravando, se non distruggendo, situazioni economiche già messe alla prova dalla crisi diffusa nel Paese dalla comparsa dell’ epidemia. I dati ISTAT poi dimostrano come  tra i 101mila nuovi disoccupati, 99mila sono donne e tra i 444mila posti di lavoro persi nel 2020, 312 mila sono di ex-lavoratrici.
Insomma più che una festa, questa dell’1 Maggio sembra una ricorrenza ancora troppo elitaria che non solo esclude alle donne la possibilità di potersi riconoscere come lavoratrici dignitose di fronte ai coetanei uomini, ma negano anche a queste ultime di potersi realizzare in quanto individui con propri obbiettivi, ambizioni e sogni. 
Sara Spiga