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Raccontare il territorio attraverso le storie degli anziani

Di Francesco Morlin

Intervista a Maurizia Bordin

Valorizzare il territorio di Posmon e delle Rive attraverso i racconti delle vicende dei vecchi abitanti del luogo, intrecciandoli con fatti storici. Questo è “Alle Rive si torna”, libro realizzato come progetto parallelo dell’associazione Officina di Storie e Memorie.

Ecco l’intervista a Maurizia Bordin, scrittrice del libro, nel mentre di una passeggiata proprio sulle Rive.

Come è nata l’idea di questo libro e di che cosa tratta?
È inizialmente nato un po’ per caso, quando con l’associazione Terrae Odorosae abbiamo cominciato a fare delle interviste narrative a mo’ di video a delle persone anziane, per farci raccontare la loro storia e le loro esperienze, e trasmetterle alle nuove generazioni. Con l’arrivo del Covid-19 e del primo lockdown, questo progetto si è interrotto, ma ho avuto la fortuna di mettermi in contatto con due anziani, Rino e Iole. Mi sono fatta raccontare le loro storie, che in vari momenti si intrecciavano tra di loro, e ho chiesto loro di scrivere e disegnare queste storie. Ho anche ripercorso alcune delle zone citate da questi anziani, incontrandone altri che mi raccontavano anche la loro storia. E così raccoglievo varie storie della zona delle Rive e di Posmon. Inoltre, abbiamo fatto in modo di intrecciare queste memorie con fatti storici, raccolti da varie fonti storiche locali, manufatti e fotografie.

C’è qualcosa dietro la scelta di “Alle Rive si torna” come titolo?
È nato mentre parlavo con una di questi anziani, che in generale adesso non vivono più sulle Rive ma per varie cause si sono trasferite. Mi ha rivelato che mentre scriveva le storie, oltre a dimenticarsi della quarantena, le sembrava di ritornare ai luoghi della sua infanzia. E la memoria è un grande aiuto, simile ad un filo. Tu tiri l’inizio del filo e riesci a tirare fuori
altre storie.

Il periodo storico su cui è incentrato il libro è stato scelto per passione o ci sono altri motivi?
Quando mi facevo raccontare le storie da questi anziani, loro erano perlopiù coetanei, quindi mi parlavano di fatti avvenuti tra gli anni Trenta e gli anni Cinquanta. Ma è questo il vantaggio delle fonti orali, sono fatte di ascolto e di relazione e ci sono poche cose che puoi decidere tu come intervistatore, ma è più chi narra a trasportare il discorso dove vuole.

Oltre alla quarantena, quali sono state le difficoltà incontrate durante questo progetto?

A dire il vero ho trovato persone molto disponibili, mi bastava dire che ero stata mandata da una loro conoscenza che avevo in precedenza ascoltato e subito loro mi accoglievano. Tuttavia, c’erano storie che raccontavano solo in confidenza, e, se accettavano di pubblicarle, volevano che si mantenesse l’anonimato. Alcuni di questi temi erano il rapporto con alcune severe personalità religiose, certe questioni familiari e il fascismo, e di quest’ultimo in particolare avevano molto timore a parlarne, dicendo che non è mai realmente scomparso.

Come mai avete scelto un tema molto ristretto da trattare invece di parlare magari di  qualche paese più grande?

I racconti degli anziani giravano tutti intorno alle Rive e alla zona di Posmon, quindi si parla di una realtà molto ristretta. Inoltre, bisogna tener conto del fatto che questi racconti erano di vari anni fa, e quindi i trasporti non sono quelli di adesso. Per esempio, la distanza Montebelluna-Treviso di oggi può essere comparata alla strada che collega Mercato Vecchio a Caerano. E Treviso se lo ricordano per il bombardamento del 7 aprile del 1944, per il fumo che si vedeva e le vibrazioni degli aerei. Si può dire quindi che il territorio è stato un protagonista, che ha creato un microcosmo in cui si sono svolte le storie degli anziani.

 
È stata una ricerca appassionante, quella per il libro?
Certo, è stata una ricerca molto appassionante e interessante, dato che non si trattava della classica storia dei governanti o dei generali, ma di gente comune. Anche il fine che l’associazione seguiva, quello di trasmettere le memorie degli anziani ai giovani, è stato un motivo in più per impegnarsi in questa ricerca. Devo dire, però, che sentirsi raccontare fatti a volte molto importanti e a volte cruenti con una leggerezza che mi ha sul subito stupito non poco. Per esempio quando un’anziana mi ha raccontato di quando aveva assistito ad una sparatoria dove erano morti due partigiani come se fosse routine. Sicuramente centra con il fatto che al tempo era bambina o adolescente, o che con il passare del tempo i ricordi dei sentimenti provati si sono affievoliti ma era veramente una cosa inquietante sentire come veniva narrata. Comunque, il lavoro è stato un successo, il passaparola ha contribuito a diffonderlo, andando anche fuori dal Montebellunese, ma soprattutto ciò che mi ha reso più felice era
vedere gli anziani intervistati leggere la loro storia su un libro e dire, come se si fossero dimenticati di avermela raccontata: “Ma questa è esattamente la mia storia!”.