Alimentazione vegana: ottimale o carente?

Negli ultimi tempi si sente sempre più spesso parlare dell’alimentazione vegana, quel regime alimentare che esclude totalmente i prodotti di origine animale e che ha assunto tutte le caratteristiche di un vero e proprio stile di vita.

Ad indurre ad abbracciare questa dieta sono in primis delle motivazioni morali, legate al forte rispetto di tutte le creature del mondo animale, e in secondo luogo per motivazioni salutistiche.

La dieta vegana si avvale di alimenti prettamente di origine vegetale, dunque si possono già escludere i rischi legati ai cibi animali (dislipidemie, coronaropatie, iperuricemie).

D’altra parte l’alimentazione vegana apporta notevoli quantità di acidi grassi e vitamine ACE, tutti con importante effetto antiossidante e antinfiammatorio.

Possiamo descrivere lo schema nutrizionale della dieta vegana con le seguenti percentuali:

  • 75-87% carboidrati
  • 6-15% proteine (da cereali e legumi)
  • 5-10% lipidi

Tali percentuali ci mostrano come sia difficilmente abbordabile questa dieta e quanto risulti squilibrata rispetto alle reali necessità dell’uomo e di conseguenza potenzialmente dannosa se portata avanti per molto tempo.

Per ovviare quindi a carenze di vitamine (B12, D), acidi grassi (omega 3) e verosimilmente anche a sali minerali come zinco, calcio e ferro, si dovrebbero assumere integratori alimentari e compensare farmacologicamente la dieta.

Ciò fa sì che questa sia considerata non adatta a periodi “delicati” della vita dell’uomo: l’infanzia, l’adolescenza, la terza età, la gravidanza e l’allattamento.

Inoltre, la dieta vegana tende a far consumare quantità eccessive di fibra alimentare, favorendo il malassorbimento dei pochi principi nutritivi introdotti.

Quindi, se da un lato riduce il rischio di incorrere in patologie cardiovascolari, dall’altro le molte carenze fanno sì che aumenti notevolmente il rischio di osteoporosi, anemia perniciosa e sideropenia, ipotiroidismo, neuropatie e spina bifida nel feto.

Althea Giuliani 5E