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L’Olanda estende il suicidio assistito ai minori di 12 anni mentre l’Italia decide di non affrontare la questione

In Olanda il suicidio assistito è stato allargato anche ai minori, dai zero ai dodici anni, che sono malati terminali. Martedì scorso, il ministro della Salute Hugo de Jonge ha dichiarato che da ora in poi si potrà evitare ai più piccoli sofferenze insopportabili e per le quali non ci sono cure. 

Fino ad ora, nei Paesi Bassi l’eutanasia era consentita ai bambini malati di più di 12 anni, con il loro consenso e quello dei genitori. Era anche previsto per i bambini di un anno, ovviamente richiesta dal padre e dalla madre. Ma nulla era prescritto per quelli tra uno e dodici anni, colpiti da un incurabile e dolorosa patologia.

La legge ha ovviamente scatenato enormi polemiche ed è stata al centro di un serrato dibattito all’interno della coalizione del governo di Mark Rutte, composta da quattro partiti, tra i quali i conservatori cristiani sono stati i più contrari. Una volta approvata la legge, il ministro de Jonge l’ha giustificata sostenendo che numerosi studi dimostrano l’esigenza di abbreviare le sofferenze di un bambino quando non c’è nulla che possa né salvarlo da una fine imminente né farlo stare meglio.

De Jonge ha poi precisato che ogni anno in media una decina di piccoli ricorreranno all’eutanasiaIn realtà, le leggi sul suicidio assistito non cambiano, ma i medici che porranno fine alle sofferenze di bambini di quell’età non saranno più perseguibili. Le nuove regole saranno applicabili tra qualche mese.

L’eutanasia è stata legalizzata nei Paesi Bassi dal 2002, seguito dopo pochi mesi soltanto dal vicino Belgio. I due Paesi sono stati i primi al mondo a legalizzare il suicidio assistito, sia pure con controlli molto severi e dopo un lungo procedimento medico e psicologico. Nel 2014 il Belgio è stato il primo Paese a introdurre l’eutanasia per bambini malati in fase terminale.

EUTANASIA IN ITALIA

Novecento italiani hanno scritto all’Associazione Coscioni chiedendo aiuto per morire come Fabiano Antoniani in Svizzera, visto che in Italia il parlamento non ha ancora fatto una legge, nonostante gli inviti della Consulta e della Corte Costituzionale.

Chiedono di morire come Dj Fabo, di andarsene con dignità. Hanno storie, drammi diversi alle spalle, atei convinti o uomini di fede come Mario, architetto malato di sclerosi multipla. In comune anni dolorosi, giornate difficili, quotidianità segnate da malattie neurologiche, spesso l’impossibilità di comunicare se non attraverso l’aiuto di una macchina, cure senza fine.

Nei primi mesi di quest’anno, 75 italiani hanno scritto in segreto all’Associazione Coscioni chiedendo informazioni per varcare il confine e andare a morire in Svizzera dove “finalmente ti fanno dormire”.

Cercano notizie, vogliono l’eutanasia, illegale in Italia, per se stessi, la chiedono per un genitore malato che vuole ancora decidere. Si sentono soli, nel dolore, nella malattia, davanti ad uno stato che li ha dimenticati. Ad una classe politica che in parlamento, dopo le sentenze della Consulta e gli inviti pressanti della Corte Costituzionale a fare una legge sull’eutanasia, non ha approvato alcunché. 

E mentre i partiti sono fermi, la giustizia continua il suo corso, Marco Cappato, assolto dall’accusa di suicidio assistito nel caso di Fabiano Antoniani, è stato assolto anche in appello con Mina Welby per aver aiutato ad andare in Svizzera a morire Davide Trentini, 53 anni, malato di Sla.

Davide Trentini, andato a morire in Svizzera

LA STORIA DI MARIO

Sono Mario, architetto, con diagnosi di sclerosi multipla progressiva del 2002. Sono tetraplegico, scrivo con i comandi vocali. Sono cattolico, ma la fede prescinde dai comportamenti dei singoli. E così ho intenzione di scrivere alla società svizzera dove aiutano ad addormentarsi per sempre. Sono nullatenente, non mi posso spostare, ma vorrei una fine dignitosa anche io”.

Le parole di Mario colpiscono mentre racconta le difficoltà della sua vita stravolta dalla malattia. 

Tutto ciò che guadagno con il lavoro e i sussidi pubblici lo uso per pagare l’assistenza. Sostanzialmente la mia vita non è poi così dignitosa ormai, nonostante quello che pensano le persone che mi incontrano per strada salutandomi come se fossi un’icona, un ponte per raggiungere la loro personale misericordia di Dio. Ma nessuno si chiede quanto costi in termini economici tutto ciò… Ora sono lucidamente a terra, dubito di voler continuare così, dubito sinceramente che sia questa la fine dignitosa”.

Parole, sofferenze che i novecento italiani hanno raccontato in modo diverso all’associazione che da anni si occupa di diritti civili, dalla fecondazione al fine vita. Inascoltate nei palazzi della politica dove da anni giace la proposta di legge sull’eutanasia, con le firme di 130 mila cittadini, diverse proposte di alcuni partiti, ma ancora un nulla di fatto a parte qualche audizione.

C’è Mario e c’è Laura, figlia che ha già perso la madre per un tumore e che ora vuole esaudire l’ultimo desiderio del padre malato di cancro al fegato. “Mi ha chiesto più volte di essere portato in Svizzera o in qualche clinica italiana dove possano aiutarlo ad andarsene. Ho bisogno di un consiglio, di sapere come posso aiutarlo“, scrive.

C’è chi scrive per sé, dopo aver scoperto una malattia inesorabile e davanti un futuro che gli pare insostenibile: “Io francamente la fine dei miei genitori, torturati dai medici, non la voglio fare. Voglio poter morire in santa pace e come dico io, con dignità e non ridotto a larva umana o in stato vegetale, con tutto il rispetto per chi invece fa questa scelta. Le scrivo ora che posso ancora ragionare con la mia testa perché presto inizierà un calvario che non avrei mai voluto affrontare. Vorrei se possibile avere un contatto con voi, ora che sono ancora capace d’intendere e di volere, per capire come muovermi un domani e cosa dovrò fare se mi diranno che la chemio su di me non ha fatto effetto“.

Drammi come questi sono solo la punta dell’iceberg di una realtà sociale che, con l’innalzamento della durata media della vita, è sempre più consistente ma è trattata con indifferenza dalla politica ufficiale dei partiti – dice  Marco Cappato, Tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni –  A nulla è valso l’esplicito richiamo della della Consulta al Parlamento, che fino ad ora non ha fatto altro che qualche audizione di esperti per prendere tempo, senza nemmeno arrivare alla formazione di un testo base su cui incardinare un dibattito sul tema, vista la contrarietà dei capi di tutti i partiti, di centro, di destra e di sinistra“.

A differenza di Dj Fabo, Davide, 53 anni malato di sla da trenta, non era attaccato alle macchine quando, nell’aprile del 2017 decise di metter fine alle insopportabili sofferenze optando per il trasferimento in Svizzera. Mina Welby lo aiutò a completare la documentazione necessaria accompagnandolo poi fisicamente e Marco Cappato lo sostenne economicamente, raccogliendo i soldi che gli mancavano attraverso l’associazione Soccorso Civile di cui fanno parte entrambi insieme a Gustavo Fraticelli

Il giorno dopo, Mina Welby e Marco Cappato si presentarono dai carabinieri di Massa per autodenunciarsi.  

L’evoluzione del caso Trentini potrebbe aggiungere ulteriori elementi per spingere il Parlamento a muoversi, dicono alla Coscioni. La sentenza della Corte Costituzionale dello scorso novembre che ha assolto Cappato per la morte di Dj Fabo ha legalizzato l’accesso al suicidio assistito alla presenza di quattro “Criteri oggettivi”, in particolare non è punibile “chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente 1- tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale, 2 – affetto da una patologia irreversibile 3 – fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che egli reputa intollerabili 4 – ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.

Nel caso di Davide tre sono i requisiti: patologia irreversibile, fonte di sofferenze intollerabili e capacità di intendere e volere, quella che rimane da dimostrare è la quarta condizione prevista, visto che non era tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale, dicono all’associazione Coscioni.

Ionita Elena Loredana  III E