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Una ritirata drammatica descritta nel dettaglio di ogni battaglia: recensione di ‘CENTOMILA GAVETTE DI GHIACCIO’

“Centomila gavette di ghiaccio” è un romanzo autobiografico pubblicato nel 1963 da Giulio Bedeschi. L’autore nacque a Arzignano (Vicenza) nel 1915. Allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale venne impiegato come ufficiale medico, andò con l’ARMIR (armata italiana in Russia) in Russia e fu testimone diretto della tragedia che colpì gli italiani durante la ritirata nella gelida steppa sovietica. Bedeschi parte dalla propria esperienza personale e racconta la storia della divisione alpina Julia dalla campagna di Grecia fino a quella di Russia. L’autore, in questo romanzo, esalta la condizione della dignità dell’uomo. I protagonisti sono i membri dell’intera divisione, tanto che Bedeschi non usa il suo nome, ma si “mimetizza” dietro al personaggio di Italo Serri, cambierà nome anche ad alcuni suoi compagni. Il romanzo inizia con l’avventura di Serri in Grecia, durante la fallimentare campagna del duce, iniziata nell’ottobre del ‘40 e terminata nell’aprile 1941. L’autore descrive perfettamente la situazione drammatica, la pessima organizzazione e l’esito fallimentare della campagna, portata a termine vittoriosamente solamente grazie all’aiuto dell’alleato Tedesco.

Ciò che Bedeschi cura maggiormente è la descrizione della situazione tra i fanti: feriti gravissimi, artiglieria italiana che spara sui propri militari, le condizioni disumane dei soldati e l’enorme sacrificio caratterizzato dal senso di dovere e dall’amore verso la patria, maledicendo però Mussolini e i suoi generali, a causa di tattiche talmente ridicole da non riuscire a sconfiggere un esercito greco ridotto allo stremo. Serri si unisce alla divisione alpina Julia verso la fine della campagna, elogiando gli alpini e i loro temperamenti, orgogliosi della lunga penna nera che portano sul particolare cappello grigio-verde. Alla fine della campagna l’ufficiale medico torna in Italia per un breve periodo di congedo. Dopo di ciò parte alla volta della Russia, con la batteria da montagna “ventisei”. Nelle primi fasi gli alpini rimangono lontani dal fronte, sparando contro i Russi a distanza. Tuttavia, quando i Russi sfondano nel settore ungherese, inizia il tortuoso viaggio di ritirata, verso una patria distante migliaia di chilometri attraverso la temibile steppa russa, attraversata nel bel mezzo dell’inverno.

L’autore descrive ancora una volta l’aspetto drammatico e tragico della ritirata, ogni battaglia nel dettaglio, la scarsità dell’equipaggiamento, la fame portatrice di follia, la sete, il freddo tanto temuto e principale causa di morte, la stanchezza, la disperazione, la rassegnazione a non arrivare più a casa, ma soprattutto la forza e la tenacia, nonostante tutto, con quei gli Alpini hanno affrontato la sfida più dura e difficile della loro vita. Dei 57000 alpini che giunsero in Russia, solo 29000 ritornarono in Italia e non tutti in perfetta salute, reduci da amputamenti a causa del freddo. Italo Serri ritornerà in patria, ma non scorderà mai quella sofferenza e quelle scene raccapriccianti, consapevole che al popolo italiano non importi nulla di loro: <<”Non abbiamo la peste noi! Siamo gli alpini che tornano dalla Russia, cavallo vestio da omo!” gli gridò esasperato Scudrera, mentre il treno già si muoveva. “Che alpini o non alpini!! Ma vi vedete?” urlò allora ai rinchiusi il ferroviere; “vi accorgerete si o no, Cristo, che fate schifo?”. Personalmente questo libro mi ha incantato.

Lo stile semplice e crudo dell’autore fa in modo che le scene macabre rimangano molto ben impresse nella mente. Bedeschi condivide la sua sofferenza con il lettore e lo rende partecipe, come se fosse accanto a lui e condivida questa drammatica avventura. Ci sarebbero da spendere troppe parole su questi eventi terribili, che al giorno d’oggi sono quasi completamente dimenticati. L’obiettivo dell’autore credo sia proprio questo, ricordare. Ricordare le imprese valorose ed eroiche degli alpini, ricordare i caduti, ricordare che chi ha subito queste pene infernali era un essere umano. Questo libro ritengo debba essere letto almeno una volta nella vita, affinché si ricordi e si ricordino i morti. “A tutti i Caduti, A Scrudera conducente di mulo, A tutti gli Alpini, miei fratelli, A quanti non vogliono essere oggi i futuri Caduti”, onore a loro.

 

Di PIROLI MATTEO