Una stoffa leggerissima

C’è uno spazio invisibile tra la cattedra e i banchi. È uno spazio che sembra solo un passaggio, reso un po’ più ampio dalle misure di distanziamento. Si attraversa, spesso, in modo distratto. Eppure è uno spazio che è abitato da mille voci, suoni, storie, colori; dal vociare sommesso e allegro dei sogni, da solitudini, bisogni e desideri.

La cattedra si cambia d’abito ad ogni ora e il cambio d’abito porta con sé un cambio di clima, come il susseguirsi delle stagioni. A ogni cambio, i banchi ne vengono influenzati, ne ricevono diversa luce, diverso colore e, a loro volta, la rimandano alla cattedra che – può accadere – sceglie di indossare un accessorio diverso, o di modificare il colore della giacca.

Quotidiano scambio di luce e colore, dialogo rituale che si svolge ininterrotto anche sulle piattaforme.

E poi c’è quello spazio. C’è anche tra i pixel. Può sembrare scomparso e invece, a ben guardare, è lì, con la stessa accessibilità e semplicità. Con lo stesso silenzio. È il corridoio del freddo e del caldo, del sole e del vento, della pioggia e dell’arcobaleno.

La cattedra è il luogo del logos, il tempio della disciplina. È lo spazio ampio e profondo dei secoli attraversati dai pionieri del sapere che hanno dato statuto epistemologico ad un particolare approccio al mondo, alla natura, all’arte, alla scienza, alle società umane. La cattedra è il luogo della conoscenza formale. La parola è il suo abito principale.

I banchi sono i luoghi dell’ascolto, dell’impegno, della curiosità e della fatica. Sono gli spazi molteplici della diversità, dell’individualità, del qui e ora che ha sete – o dovrebbe averne – di conoscenza – di certo ha sete di vita. I banchi sono, spesso, troppo stretti. I banchi sono femminile, maschile, plurale – soprattutto plurale. La parola è uno dei loro abiti. Solo uno.

E poi c’è quello spazio. È il luogo invisibile delle immagini e della musica, delle risate e delle lacrime. Tutto il sommerso abita quello spazio. Tutto ciò che, spesso, non è esprimibile con le parole e che vive nonostante tutto il resto, accanto a tutto il resto, grazie a tutto il resto.

È corpo rarefatto, eppure così necessario. È prevalentemente anima. Il docente di sostegno è uno dei suoi abiti. Solo uno.

E come è fatto questo abito?

La stoffa è leggerissima, poetica e profuma di tutti i colori del tempo. Ha molte tasche – e capienti – per contenere il sapere o le briciole di sapere, perché, a volte, bastano solo quelle. È l’abito dei giorni feriali, quelli che precedono la festa. È un abito spesso sgualcito e macchiato ma non per questo meno luminoso, anzi, a volte lo è talmente tanto che la cattedra chiede consigli di stile. E quando si accende questo tipo di dialogo, i banchi – fortunati – ricevono un surplus di luce. Si assiste allora ad una specie di magia: la magia della ricchezza che non semplicemente viene dalle differenze, ma dalla consapevolezza delle differenze.

La chiamano Inclusione, in realtà è vita più pienamente umana.

 

di Alessandra Gabriele e Patrizia Ciccarella