Dopo Belgio, Lussemburgo, Olanda, Colombia, Nuova Zelanda e Canada la Spagna è il settimo paese al mondo a depenalizzare l’eutanasia: ora i malati di malattie gravi e incurabili potranno legalmente decidere di porre fine alle loro sofferenze.
La legge a favore dell’eutanasia è stata approvata in parlamento con 202 sì, 141 no e due astensioni, e il premier socialista Pedro Sanchez ha commentato che la Spagna è ora “un paese più umano”
Il voto è stato affermativo da parte di quasi tutti i partiti, a parte Vox, partito di estrema destra, e nonostante l’eutanasia dovrebbe diventare ora una sorta di diritto sanitario, sia il l’Ordine dei medici spagnoli sia il Comitato spagnolo di Bioetica si è detto contrario alla legge, che viene ritenuta come contraria allo stesso principio della medicina: sarà dunque consentita l’obiezione di coscienza a chi lavora nell’ambito sanitario, ma andrà regolamentata.
La richiesta da parte del paziente, in grado di intendere e di volere, dovrà essere fatta per due volte, a distanza di quindici giorni, e due medici e un comitato di valutazione dovrà approvarla.
Javier Velasco, presidente dell’associazione Derecho a Morir Dignamente si è dichiarato soddisfatto di una legge che aiuterà molte persone a liberarsi di sofferenze insopportabili. Statisticamente, nei paesi dove questa pratica è legale, è un range dall’1 al 4 % della popolazione a richiederla, anche se questa percentuale potrebbe aumentare quando la legge sarà maggiormente conosciuta.
Per quanto riguarda l’eutanasia chiamata “attiva” l’articolo 143 precedentemente prevedeva una reclusione della durata da 2 a 10 anni per chi aiutasse qualcuno a morire, anche se in presenza di malattie gravi ed incurabili, la pena si abbassava lievemente.
L’eutanasia “passiva”, che quindi non prevede l’utilizzo dei farmaci, ma soltanto lo spegnimento delle macchine che permettevano la vita del paziente, era già però permessa in 11 comunità spagnole su 17.
Una depenalizzazione che dunque contribuisce a modernizzare la Spagna: molti paesi, tra cui anche l’Italia, portano avanti da anni una battaglia contro l’eccessivo accanimento terapeutico.
Di Sara Squarzola
