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DALLA “ SCUOLA DI ATENE” ALL’ESPLORAZIONE DELLE STELLE, LA DONNA è SEMPRE DISCRIMINATA

Nelle “Stanze Vaticane” e, più nello specifico, nella Stanza della Segnatura è possibile osservare uno degli affreschi più famosi di Raffaello Sanzio, ovvero la “Scuola di Atene”. I personaggi raffigurati non sono ritratti concreti ma sono figure ideali, personaggi emblematici che simboleggiano la ricerca della conoscenza e l’aspirazione dell’uomo a scoprire la verità attraverso la scienza e la filosofia. Si muovono in questo spazio, infatti, alcuni dei più celebri filosofi dell’antichità, intenti al confronto o assorti nella riflessione. Tra questi si può riconoscere, al centro, Platone (che assume le fattezze di Leonardo da Vinci), con Il Timeo; Aristotele (che ha le fattezze di Bastiano da San Gallo) con l’Etica Nicomachea; in primo piano è raffigurato Pitagora; sdraiato sulle scale con una scodella c’è Diogene, e appoggiato ad un blocco di marmo è raffigurato Eraclito, che ha i tratti di Michelangelo. Sulla destra si trovano Euclide, che insegna la geometria agli allievi, Zoroastro (che assomiglia a Baldassarre Castiglione) con il globo celeste, Tolomeo con quello terrestre, e, all’estrema destra, l’autoritratto di Raffaello, con un berretto nero. Ci rendiamo ben presto conto che tra tutte queste figure maschili, però, spicca quella di una donna. Molto probabilmente è Ipazia, l’unico personaggio che rivolge lo sguardo verso lo spettatore. Quest’ultima è dipinta da Raffaello in abito bianco per simboleggiare l’eccellenza umana che coniuga bellezza bontà e verità.  

Nell’affresco non compare nessun’ altra figura femminile oltre a quella di Ipazia. Questo testimonia che, in quell’epoca, fosse strano e inconsueto per una donna partecipare attivamente alla vita culturale e scientifica della città e che la cultura, lo studio e la conoscenza fossero ambiti riservati  ai soli uomini.

L’intelligente e acculturata Ipazia, infatti, fu vittima di una società maschilista, ma nonostante questo la sua personalità fu talmente forte che, ancor’oggi, è ricordata come paladina della scienza contro i pregiudizi e contro i dogmi della religione. La sua uccisione, infatti, ha fatto di lei una martire del paganesimo e della libertà di pensiero.

Ipazia è l’emblema delle donne impegnate nelle scienze dell’antichità. Visse tra il quarto e il quinto secolo e fu figlia del matematico Teone di Alessandria. Grazie a quest’ultimo, Ipazia fu indirizzata verso lo studio della matematica e, sin da bambina, frequentò la famosa biblioteca d’Alessandria e, molto giovane, divenne una delle figure più importanti della scuola filosofica alessandrina. Oltre ad interessarsi di filosofia, Ipazia si dedicò soprattutto allo studio della matematica, della geometria e fu un’eminente astronoma, conosciuta soprattutto per gli studi matematici sulle curve coniche.  Inoltre, anticipò alcune teorie che saranno poi elaborate (mille e duecento anni più tardi) dall’astronomo Giovanni Keplero e formulò alcune ipotesi sul movimento della Terra, confutando il geocentrismo.  Ipazia fu una donna senz’altro rivoluzionaria che non si preoccupò di esprimere ciò che pensava e fu molto legata alla cultura tanto che, nonostante Alessandria fosse animata da un conflitto religioso tra pagani e cristiani, continuò a proteggere la cultura continuando a studiare. Questa grande donna, al tempo, era una nota insegnante e un’ottima divulgatrice e dispensava il suo sapere, con grande liberalità, a chiunque nella città. Aveva il coraggio di rivolgersi faccia a faccia ai potenti e non aveva paura di prendere parte agli incontri degli uomini. Questi ultimi, sebbene in quel tempo vi fosse una concezione misogina della donna per cui quest’ultima doveva occuparsi solamente delle faccende domestiche senza poter prendere parte alla vita politica, sociale e culturale della città, per la sua straordinaria saggezza, la rispettavano molto e, addirittura, la guardavano con timore reverenziale.

I suoi interessi e le sue scoperte scientifiche sono connesse al problema, che esisteva al tempo e ancor oggi in alcune discipline persiste, del rapporto tra religione e scienza. Ipazia, infatti, prediligendo la scienza, simboleggia inevitabilmente l’amore per la verità e per la ragione. Saranno proprio i cristiani che, a causa della sua visione scientifica che metteva in discussione la figura di Dio, si scaglieranno contro di lei, dilaniandola fino a toglierle la vita. A provocarne la morte sarà soprattutto il vescovo Cirillo, invidioso della sua femminile grandiosità ed intelligenza. Nella società del tempo era infatti impensabile che una donna potesse contraddire i risultati degli studi dei suoi colleghi maschi.

Nel nostro percorso di studi, però, si menzionano sempre molto poco le scoperte, gli studi, le imprese o le opere delle donne. Se ci pensiamo bene, il programma di tutte le materie scolastiche è composto dallo studio di importanti uomini che segnarono un grande posto nella storia della cultura. Ma le donne? È realmente possibile che le scoperte e le opere letterarie siano state realizzate solo per mano di uomini e che le donne non abbiano mai dato un contributo? Ovviamente no, e Ipazia è una dimostrazione.

A questo proposito vorrei sottolineare che Ipazia non ha lasciato alcun testo scritto, ma questo non può giustificare la sua dimenticanza. Anche Socrate, per esempio, non lasciò testi scritti, ma ancora oggi è un perno attorno a cui ruota la formazione degli studenti di oggi.

Ipazia è un grande esempio per gli adolescenti di oggi, cresciuti in una società meno maschilista rispetto a quella dei suoi tempi nella quale, però, la discriminazione di genere è più sottile e per questo più insidiosa. Una donna per conquistare la sua posizione lavorativa (più o meno importante che sia) deve lottare, ancora oggi, contro i pregiudizi e la mentalità conservatrice di alcuni uomini e sacrificare la famiglia per la carriera o viceversa.

L’ambito scientifico è quello in cui la discriminazione di genere è più esplicita ed evidente. Il mondo della ricerca scientifica ancora oggi è popolato prevalentemente da figure maschili. La scienziata donna, infatti, è poco rappresentata, arriva con difficoltà a posizioni di potere e, quando arriva a posizioni rilevanti,  la sua immagine viene spesso sminuita e screditata, per esempio, dai mass media. Inoltre, se il lavoro delle donne viene menzionato o ricordato, questo stesso viene depotenziato attraverso il linguaggio. Esemplificativa è a questo proposito la figura di Samantha Cristoforetti, ingegnere, aviatrice, astronauta militare italiana e prima donna italiana negli equipaggi dell’Agenzia Spaziale Europea, definita “astomamma” da diverse testate giornalistiche.  Viene, così, messo in rilevanza il ruolo sociale che ci si aspetti che una donna rappresenti, sebbene esso non abbia nessuna pertinenza con il ruolo professionale della persona. Come dice Michela Murgia “ad un uomo per stare al mondo basta un perché, ad una donna anche un per chi. Cioè devi dire, non soltanto chi sei, ma devi dire anche per chi sei. Per cui puoi fare anche l’astronauta, ma a un certo punto sarà rilevante chiederti se sei mamma o no, una domanda che nessuno farebbe a un astronauta: sei padre o no? Oppure, se anche glielo si chiedesse, possiamo star certi che il suo essere padre non finirebbe nel titolo, mentre “astromamma” purtroppo l’abbiamo dovuto leggere” e ancora, “ il problema davanti a cui ci si trova davanti a casi come questi è, appunto, depotenziare […]. Per depotenziare una donna basta anche chiamarla signorina anziché dottoressa, o professoressa, astronauta o architetta. Altra tecnica per depotenziare attraverso il linguaggio è quella di chiamare una donna per nome e non per cognome […]. Se tu ad una donna togli il cognome, le stai togliendo il passe-partout sociale, senza il cognome un nome vale l’altro. Spesso altro modo con cui si depotenzia è quello di togliere addirittura il nome proprio […]”. Infatti, molto spesso Samantha Cristoforetti viene riconosciuta con il nickname di “astromamma” o “astroSamanta”, mentre, per esempio Luca Parmitano, uno degli astronauti italiani più conosciuto in tutto il mondo, viene sempre menzionato con il suo nome e il suo cognome e, spesso, a questi viene affiancato anche il suo titolo militare.

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