Intervista ad una veterana della Guerra in Bosnia

Al momento vado fiero di parecchie cose: della mia sproporzionata collezione di set Lego smontati, di aver conservato disegni di quando avevo 2 anni, di avere una memoria di ferro, di aver fatto il record di più idee irrealizzate tra tutti gli adolescenti… ma una delle cose di cui vado più fiero in assoluto è il passato da militare di mia madre. Sì, mia madre ha fatto l’infermiera volontaria nel conflitto armato in Yugoslavia, dal 1992 al 1995. Ha servito il suo paese in prima linea aiutando i civili e i suoi suborac (commilitoni). Ha passato 3 anni rinchiusa in una desolata Sarajevo sotto assedio a sopravvivere con i suoi cari. Per fortuna non ero lì con lei, sarebbe stata capace di sventare lei stessa le truppe serbe da sola pur di proteggermi… avrebbe vinto lei stessa la guerra. Comunque, sotto consiglio di una mia cara compagna di classe ho deciso di intervistare mia madre facendole domande sulle sue esperienze sul fronte yugoslavo. Ecco qui degli estratti da un’intervista durata circa un’ora e sedici minuti.

Idemo pročitati (Andiamo a leggere).

  • Partiamo subito in quarta. Dato che l’argomento è abbastanza attuale, sei mai stata discriminata perché donna nell’esercito?

No, non c’è stata nessuna discriminazione, solo rispetto, semplicemente per il fatto che non ero obbligata ma volontaria, non come gli uomini. C’è sempre stata una preoccupazione nei miei confronti anche durante le missioni più poderose. Dedicavano tanto tempo al mio benessere ed erano grati del mio sacrificio.

  • Quindi principalmente era così anche la relazione con i tuoi compagni di squadra?

Sì, c’era molto rispetto e molta amicizia, ero quasi privilegiata sotto certi versi.

  • Hai mai imbracciato armi?

Sì, avevo in dotazione un’arma d’ordinanza, un fucile automatico e un’arma personale [pistola].

  • La cosa più violenta che hai mai visto nel campo medico?

Heh… la cosa più violenta? Un po’ difficile rispondere, ma quello che mi ha più impressionato sono stati due massacri tra cui il bombardamento di Markale, il mercato cittadino nel centro storico di Sarajevo. Ero lì vicino e ho potuto vedere l’accaduto e i corpi mutilati in primo piano. Le ferite di guerra non erano niente in confronto, vedere così tante persone trucidate in così poco tempo in un posto solo è di certo un’esperienza traumatica.

  • Hai rischiato di morire? Se sì, in che occasione?

Sì, due volte. La prima volta mi sono trovata in mezzo al bombardamento vicino al mio posto di servizio. Diciamo che mi sono salvata davvero per un pelo, dato che per miracolo mi trovavo vicino alle trincee ed una granata era caduta. La seconda volta mi sono trovata in mezzo ad un fuoco incrociato di cecchini. Mi sono salvata correndo, attraversando i palazzi e cercando di evitare i loro campi visivi. Anche a casa alcune granate finirono per colpire i piani superiori, di fatto non si era mai al sicuro da nessuna parte.

  • Sei mai stata in pericolo nella tua squadra? Ad esempio risse, zuffe…

Sai cosa? Trovarsi assieme a qualcun altro in una situazione dove rischi la tua vita rinforza i legami e l’amicizia. Condividere anche la minima cosa è molto importante e rinforzante per il fattore amicizia, quindi diciamo di no. Però ci sono stati piccoli diverbi o provocazioni con membri esterni della squadra. Ma comunque niente di estremamente pericoloso.

  • Come ci si divertiva al tempo?

Questa è una bella domanda… molte persone credono che durante la guerra non c’era l’elettricità o la televisione, come fosse un ritorno alle origini. Invece noi ci divertivamo eccome, poiché tutto lo stress aveva bisogno di essere bilanciato da qualcosa di più leggero. Magari ci riunivamo tutti per cantare o suonare insieme, giocare a carte o a giochi di società, tutte le cose che si facevano a Natale le facevamo ogni giorno. Ci inventavamo anche le robe più strampalate. La radio andava di matto, la attaccavamo alla batteria delle macchine per averla sempre accesa e ascoltare musica o le notizie.

  • Artisticamente, com’era la situazione?

Gli artisti non hanno smesso di creare e hanno fatto di tutto: teatro, musica, disegni.. Ho anche partecipato ad alcune iniziative artistiche dato che ho lavorato alla radio. L’arte è sempre rimasta viva.

  • Sii sincera, quei tempi ti mancano?

Sinceramente, a volte sì. Per il semplice fatto che, nonostante fosse una situazione di sopravvivenza dove se uscivi di casa potevi non tornare, era una situazione dove era tutto chiaro. Non so se mi spiego, ma era tutto alla luce. Vedevi chi era buono e cattivo, non nel senso di fazioni di guerra, ma nel senso che durante un evento del genere riesci a vedere come sono le persone veramente, dato che la guerra faceva uscire fuori il meglio o il peggio delle persone. Sapevi con chi sentirti a tuo agio, mentre adesso è più complicato farlo. Mi mancano quell’amicizia e quella complicità che sono molto più rare oggigiorno. Non sono per la guerra ovviamente. Non ci sono vincitori in un conflitto armato, solo chi perde di meno o di più.

  • Un concetto molto interessante…

Sì, l’ho sempre trovato interessante. Quando lo dico le persone mi guardano strano, capisco che è molto difficile spiegare questa sensazione quando non la si è provata. Hai la sensazione che in quel momento hai uno scopo nella vita.

  • E qual è quello scopo?

In quel caso quello scopo nella vita era il sopravvivere, per dirlo in inglese: “Survive and try”. Non solo sopravvivere ma andare avanti a testa alta, aiutare gli altri senza pensare ad una ricompensa. Insomma essere forti e altruisti.

  • Qual era la paura più grande, a parte quella di morire?

Non avevo paura di morire, ma di perdere quelli attorno a me, le persone a cui volevo bene. Avevo la sensazione che erano meno protetti di me, non so se mi spiego. Mi sentivo più sicura in prima linea che a casa. La paura era una granata che cade vicino a mia madre. Quelli più in pericolo e più puntati dopotutto erano i civili. Un altro timore era essere presi come prigionieri di guerra, perché sapevo cosa succedeva alle donne prigioniere di guerra…

  • Cosa per l’esattezza?

Venivano portate in campi di concentramento solamente per donne dove venivano abusate fisicamente e psicologicamente. Molte donne ne sono uscite mentalmente instabili.

  • Era più sicuro di notte o di giorno?

Nessuno dei due, ma se vogliamo sceglierne uno direi di notte, per la visibilità ridotta sia tua che del nemico. Di giorno c’erano persone che ti puntavano con ogni tipo di arma, mentre la notte per questo aspetto era più sicura.

  • I bambini come se la passavano?

Hem, allora. I bambini non avevano molta libertà per ovvi motivi, tuttavia c’erano spazi più sicuri per permettere ai pargoli di giocare e socializzare. La cosa più strana è che durante la guerra sono nati tantissimi bambini, una sorta di rifiuto all’estinzione. Il fatto è che durante l’Assedio di Sarajevo molti bambini sono stati uccisi, ma quelli che ce la facevano venivano trattati con cura e riuscivano a crescere bene e rimanere più a lungo bambini, considerato che a 10 anni eri praticamente già adulto con tutte le brutte cose che succedevano.

  • Secondo te come stanno coloro che sono nati durante la guerra?

Mah, probabilmente i bambini che all’epoca avevano 4-5 anni hanno avuto meno conseguenze. Quelli dai 10-12 anni ne avranno risentito di più, ma ormai saranno adulti e avranno solo alcuni ricordi dell’accaduto. Si spera che stiano tutti bene.

  • Quali conseguenze permanenti ha lasciato la guerra?

L’economia e le infrastrutture furono distrutte, tutt’ora non si è ripreso bene. C’è ancora divisione politica e non si riesce ad arrivare ad un accordo. Per quanto riguarda le persone, beh, calcola che alla mia generazione è stato precluso quasi tutto, e sono bastati 5 anni chiusi in una città assediata. Alcuni sono morti, altri hanno avuto conseguenze psicologiche come PTSD (disturbi post-traumatici). Quelli che sono usciti abbastanza sani di mente e fortunati tipo me, se ne sono andati dal paese, poiché dopo tutta quella discordia avevamo bisogno di un cambiamento radicale. Tornare indietro dopo aver vissuto quest’esperienza, aver fatto sacrifici di ogni tipo per poi ritrovarsi nello stesso paese in cui si era prima era impensabile.

  • Ritieni quindi che dopo la guerra non sia cambiato niente?

Non ci si spara addosso, ma rimane lo stesso attrito.

  • Pensi che questa guerra sia stata un po’ inutile?

Non un po’, del tutto vana. E come ho detto non è cambiato niente..

Questo è tutto. Ritengo personalmente, non solo perché è mia madre, che una persona che abbia vissuto eventi così tragici e che ne sia uscita viva per raccontarli vada solo che rispettata. Alla fine se fosse caduta in servizio io non sarei qui. Sono contento si sia fatta le ossa durante questi duri anni poiché si rivela essere un’ottima fonte di ispirazione. Ringrazio vivamente mia madre per le curiosità che ci ha raccontato e la ringrazio per esserne uscita meglio della maggior parte di chi prese parte al conflitto… mi riferisco a te generale Mladic’…

Manu Venuti Mazzi, IVF