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Storia di un uomo che ha fatto la storia e a cui la storia non ha reso giustizia

Tutti almeno una volta nella vita probabilmente hanno visto una foto del podio dei 200 metri delle Olimpiadi di Città del Messico 1968.

Un’immagine iconica passata alla storia per il gesto dei due velocisti americani Tommie Smith e John Carlos, classificatisi rispettivamente al primo e terzo posto, che tendono entrambi il pugno al cielo coperto da un guanto nero di pelle, e il capo chinato in segno di protesta verso la discriminazione razziale nei confronti degli afroamericani.

Davanti a Tommy Smith, a occupare il secondo posto sul podio, c’è un terzo atleta, di cui si è sempre parlato troppo poco; un uomo bianco sul metro e ottanta, uno dei più grandi velocisti della storia australiana: è Peter George Norman e in quel momento, come per gli altri due atleti, la sua vita sta per cambiare per sempre.

La gara è appena finita, dopo una stupefacente rimonta di Tommie sul suo connazionale John, che rallentando sul finale si è visto passare davanti anche Peter, e i tre si preparano a salire sul podio.

I due atleti americani sanno che hanno un’occasione irripetibile: hanno un palcoscenico gigante come può essere solo il podio di un’olimpiade (che tra l’altro è stata la prima ad essere trasmessa a colori in tutto il mondo) per portare un messaggio di giustizia sociale, e per correttezza avvertono Norman di ciò che sta per accadere.

Il velocista australiano si mostra subito inaspettatamente entusiasta, vuole partecipare anche lui, mostrare la sua solidarietà a un movimento in cui crede fermamente, e con un po’ di insistenza riesce ad ottenere una spilla con lo stemma dell’Olympic Project for Human Rights (Progetto Olimpico per i Diritti Umani); una spilla che nonostante in quel momento non potesse saperlo gli costerà una carriera.

L’Olimpiade di Città del Messico infatti sarà l’ultima per lui, che verrà buttato fuori dal mondo dell’atletica, di cui era il più grande esponente in Australia. Infatti, nonostante 4 anni dopo si fosse qualificato per andare a Monaco nelle specialità dei 100 e dei 200 metri, non verrà incluso, senza ricevere nessuna spiegazione, e non verrà neppure invitato come ospite alle Olimpiadi di Sydney del 2000.

Dovrà abbandonare definitivamente lo sport, nello specifico il football, dopo un infortunio al tendine d’Achille, passando il resto della sua vita ad insegnare educazione fisica,e ad arrotondare con una macelleria.

Nel 2006 muore a 64 anni di infarto, e a portare il feretro al suo funerale ci sono due uomini con cui ha condiviso un destino, due uomini che come lui non si sono mai pentiti di un gesto che gli è costato carissimo ma che per molti ha significato tanto: sono Tommie e John a cui quarant’anni anni prima aveva scelto di stare vicino e che in quel giorno di ottobre decidono di sorreggerlo nel suo ultimo saluto ad un mondo per cui ha fatto tanto e che gli ha restituito pochissimo.

Lorenzo Quarta