VIOLENZA NEI RAPPORTI INTERNAZIONALI

I conflitti interni o tra più paesi hanno spesso una causa legata alla richiesta di energia. Infatti la diminuzione delle sue riserve ha portato a una serie di conflitti internazionali legati al controllo delle risorse. In quella che può essere definita l’era della geo-energia, il controllo dell’energia e il suo trasporto sono al centro di crisi, di conflitti in atto e della nascita di nuove tensioni a livello globale. 

Ci sono aree geografiche, anche piccolissime, nel nostro pianeta di enorme interesse strategico, come lo stretto di Hormuz che collega il golfo Persico al resto del mondo. La maggior parte del greggio prodotto da Iran, Iraq, Kuwait, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti lo attraversa ogni giorno tramite petroliere che ne trasportano il 20 % del fabbisogno mondiale quotidiano, diventando un centro nevralgico dove si concentrano gli interessi delle maggiori superpotenze. 

Altro punto di tensione internazionale è il Mar Cinese meridionale, principale rotta del commercio marittimo tra Asia orientale, Europa, Medio Oriente e Africa oltre che sede di ricchi di giacimenti di greggio e gas. Il Mar Cinese è da tempo, infatti, al centro dell’attenzione anche degli interessi americani che vogliono presidiare l’area attraverso la costruzione di una nuova base militare in Australia. 

Altra polveriera è rappresentata dal bacino del Caspio che contiene le più grandi riserve non sfruttate di petrolio. 

Inoltre, considerata la sua posizione geografica, uno specchio d’acqua dove si affacciano la Russia, l’Iran e le ex repubbliche sovietiche: Azerbaigian, Kazakistan Turkmenistan, rappresenta una delle aree più sensibili per la nascita di conflitti.

In effetti, il mantenimento degli equilibri internazionali è oggi strettamente legato all’estrazione e al trasporto di energia. Tali equilibri tra le potenze sono però molto precari e la degenerazione in conflitti locali e in zone di confine di aree ricche di risorse petrolifere e di gas sono sempre pronti a scoppiare. Le potenze protagoniste che partecipano allo scontro nell’accaparrarsi il controllo di questi punti nevralgici sono quasi sempre gli Stati Uniti, la Russia e la Cina che direttamente o finanziando i Paesi confinanti con tali zone cercano in tutti modi di non perderne la priorità di sfruttamento o di sorveglianza. 

Il contendersi giacimenti e riserve di energia rappresenta probabilmente la causa principale dei conflitti in atto e di quelli futuri. “Geo-economia” e “geo-politica” sono alla base dei conflitti moderni, legati essenzialmente alle politiche e alle strategie adottate dagli Stati più potenti per accrescere la propria competitività.

Ci sono, poi, dei casi in cui la ricchezza di risorse naturali di un paese povero non costituisca una via per lo sviluppo ma un motivo di instabilità e di violenze. Un esempio è l’Africa dove la presenza di giacimenti di diamanti e coltan, rappresentano una vera trappola, con il risultato di conflitti continui, dilanianti e violentissimi.

Però non sono solamente il commercio e l’estrazione illegale di diamanti che alimentano le guerre private in Africa, anche il legname, il cui commercio è gestito da gruppi armati e fazioni ribelli, è responsabile di tutte le conseguenze derivanti dalla illegalità del traffico e rappresenta il principale sistema di finanziamento delle violenze e dei conflitti locali.

L’Africa, paese poverissimo e nello stesso tempo ricchissimo di risorse, deve quasi maledire questa fortuna perché causa di morte e violenza. 

La responsabilità dei paesi occidentali è evidente in quanto la continua richiesta di risorse e beni di consumo porta inevitabilmente ad alimentare conflitti in quelle zone.

Vi sono poi i conflitti per un bene che dovrebbe essere di tutti che è l’acqua, che in seguito al forte aumento demografico, all’aumento delle attività produttive che ne hanno modificato la qualità e quantità e all’incremento della domanda da parte dei settori economici emergenti, ha comportato un’emergenza idrica di una risorsa comunque rinnovabile.

Il problema dei conflitti idrici è sempre esistito e continua ad essere estremamente attuale e pressante, avviene per lo sfruttamento di fonti di approvvigionamento, come laghi e fiumi, condivisi da più Stati.

L’acqua, un bene che dovrebbe essere fruibile a tutti in quanto necessario alla sopravvivenza e non legato apparentemente ad interessi di economia globale, come ad esempio risorse quali il coltan o il petrolio, rappresenta oggetto di contesa e causa di conflitti ancor più decisa rispetto ad altre risorse.

Altra causa di conflitti e violenze internazionaIi e guerre interne è legata alle diverse etnie. Le cause dei conflitti etnici possono essere attribuite a fattori di tipo politico, religioso, economico, culturale e demografico.

In realtà solo i fattori politici sono stati chiaramente individuati come causa universale di tali conflitti. Infatti, sono la forma dello Stato e l’azione governativa a determinare il succedersi degli eventi in campo etnopolitico. Spesso le violenze interne e internazionali sono causate da diverse etnie di popolazioni che rivendicano la propria autonomia culturale. In realtà però anche in questi conflitti la responsabilità è comunque politica poiché spesso è l’azione dei governi a determinare l’inasprimento degli eventi conflittuali etnici che arrivano spesso a gravi violenze locali e internazionali.

Le mobilitazioni legate ai conflitti etnici sono spesso indipendenti sia da interessi economici che dalla presenza di risorse. 

Un altro tipo di cause di potenziali conflitti sono quelle di ordine demografico, in genere grandi movimenti di popolazione hanno innescato conflitti etnici. Ad esempio, l’istituzione di regimi di apartheid, come in Sudafrica, o di discriminazione etno-razziale delle maggioranze indigene come in Bolivia, Perù e Guatemala.

Esistono però anche diversi conflitti causati tra popolazioni che non sono culturalmente affini. Questo accade soprattutto nel caso in cui la religione assume un ruolo prioritorio. Il sacro riveste una grande importanza nella sicurezza mondiale e regola spesso conflitti di lunga durata che si tramandano attraverso le generazioni. Le questioni religiose, sono state purtroppo alla base di conflitti e violenze fin dall’età più antica. Gli estremismi religiosi sono spesso impiegati strumentalmente per dividere e rivendicare potere, storpiate e fatte proprie da movimenti sempre più aggressivi e agguerriti e la strumentalizzazione religiosa da parte di pochi ha messo e continua a mettere a dura prova la stabilità globale.

Qualunque sia la causa, nonostante viviamo nel 21° secolo è più grande la parte del mondo in guerra che quella che vive in pace. La maggior parte dei conflitti sono guerre civili che vedono contrapporre le forze di un governo, quasi sempre retto da un dittatore, a dei gruppi armati di ribelli. Solitamente i rivoluzionari lottano perché il governo attua una politica che opprime il popolo e li priva di qualsiasi diritto. Qualche rivolta interna è stata domata nel sangue di migliaia e migliaia di cittadini mentre qualcun’altra è riuscita nel suo intento di rovesciare il regime anche se sempre dopo grandi spargimenti di sangue.

I manifestanti protestano perché delusi dalla mancanza di lavoro e anche di libertà, pretendono un cambiamento. In paesi come l’Egitto o il Marocco, il 40% della popolazione è analfabeta e c’è gente che guadagna un dollaro al giorno e non riesce a mangiare. In Siria la gente sospettata viene catturata e torturata e questo ha creato un clima di terrore di cui però ormai però la popolazione esausta e questo ha portato i giovani alla ribellione.

I paesi governati da dittature dove i diritti e la libertà sono calpestati si trovano in determinate aree geografiche. In Africa l’unico paese che si salva è il Sud Africa, anche se non sempre è stato così, mentre tutti gli altri paesi si trovano in condizioni di povertà spesso dovute alle restrizioni di chi governa. Un caso a parte sono i paesi dell’Africa settentrionale che, insieme al Medio Oriente, sono stati il teatro della Primavera araba, un movimento di rivolte che in molti casi ha portato al rovesciamento dei governi totalitari. Altri paesi sono la Corea del Nord, che è accusata di praticare la schiavitù nelle prigioni e di non concedere la libertà di espressione e di opinione, e paesi asiatici come l’Uzbekistan che accusato di torturare gli oppositori, e la Cina dove sono in atto violente repressioni contro le minoranze islamiche e verso i tibetani contrari al dominio cinese.  Anche i paesi dell’America Latina fino a qualche decennio fa sono stati retti da dittature che facevano un gran numero di vittime tra gli oppositori.

L’unico moto di ribellioni che è stato in grado di rovesciare più regimi è stata la Primavera araba che ha portato alla caduta della dittatura tunisina, di quella egiziana, di quella libica e di quella dello Yemen. 

La Tunisia è stato il paese a dare il via alla Primavera araba ed è stato il primo dei paesi arabi a mandare via il proprio capo di stato. Infatti Ben Ali il 14 gennaio 2011 fuggi e da allora la situazione è decisamente migliorata. 

In Egitto venne cacciato il presidente Mubarak l’11 febbraio 2011 e ha preso il potere il partito dei Fratelli Musulmani. 

In Libia invece, dopo l’uccisione di Gheddafi il 20 ottobre 2011, la situazione non è completamente migliorata perché la dittatura ha lasciato il posto solamente al caos. Infatti da allora non vi è ancora stato un governo che assumesse il suo compito e nel frattempo, come se non bastasse, l’Isis sta guadagnando sempre più terreno, dando sempre più filo da torcere all’esercito dello stato. Nello Yemen invece il presidente assolutista Saleh ha ceduto il suo potere nel febbraio 2012.

I paesi che sono riusciti ad abbattere i governi repressivi sono, però, pochissimi in confronto a quelli che lottano ancora o attraverso proteste e manifestazioni o attraverso veri e propri scontri armati. In questo periodo al centro dell’attenzione mondiale vi è la Siria. Qui dal 2011 è in atto una guerra civile tra le forze governative e quelle dell’opposizione. Accanto ai ribelli si sono schierati gruppi di fondamentalisti islamici come l’Isis anche se spesso sono in conflitto tra loro, mentre accanto al governo di Assad vi sono i paesi occidentali che pur di combattere i jihadisti hanno deciso di affiancare un paese che fino a poco tempo prima criticavano. 

Anche la Cina, nonostante sia ormai considerata una superpotenza economica, al livello sociale è molto contestata. 26 anni fa spense nel sangue una manifestazione pacifica passata alla storia come la strage di piazza Tiananmen ma ora la situazione non è molto migliorata. La popolazione cinese vive all’oscuro di tutto ciò che il suo governo non vuole raccontare, come le repressioni contro le minoranze musulmane e le repressioni in Tibet che dal marzo 1959 è stato forzato a diventare una regione cinese.

Per lottare per i diritti e per la libertà dei paesi oppressi dai governi, sono state create delle organizzazioni non governative. La più nota di queste è Amnesty International, che dal 1961 si batte per il rispetto dei diritti umani in tutte le aree del pianeta.

Altri due casi che ormai hanno raggiunto interesse mondiale sono la guerra civile Ucraina e la questione palestinese.

Con la primavera è tornata la guerra nell’est dell’ucraina. E’ dall’aprile 2014 che va avanti questa guerra civile che vede scontrarsi il governo ucraino e le forze dei ribelli filorussi separatisti. Ormai sembra un ricordo lontano l’accordo di Minsk del 12 febbraio, che aveva permesso lo scambio dei prigionieri e il ritiro delle armi pesanti. Ma proprio su questo punto sono sorte delle polemiche perché si sospetta che carri armati e mortai siano stati nascosti per poi ricomparire in un altro momento. L’unico modo per arrivare ad una pace è il guardare i punti sullo status politico di una regione che non vuole essere più ucraina ed è proprio su questo punto che la Germania e la Francia hanno richiamato l’attenzione. La guerra nell’est di Kiev conta più di 6000 vittime. E in quest’anno che ha visto Kiev deteriorassi sempre di più l’economia tanto che la commissione europea ha annunciato i nuovi prestiti all’ucraina per un totale di 1,8 miliardi di euro per aiutare il paese che sta attraversando una crisi economica e politica. Ma non tutti i paesi dell’unione sono convinti che questi aiuti possano servire al paese visto che non sono i primi ma sembrano un po’ più ottimisti visto che la Russia sembra aver imboccato la strada della diplomazia pure perché le sanzioni internazionali, imposte dagli Stati Uniti stanno avendo un forte effetto sull’economia russa. Il presidente Ucraino ha inoltre chiesto l’invio dei caschi blu visto che l’esercito ucraino si è ritirato nella parte est del paese per monitorare i confini. Una richiesta che è stata subito bocciata dalla Russia anche se i separatisti filorussi sembrino favorevoli allo spiegamento dei peacekeeper lungo il confine. La guerra che sta avendo in ucraina non è solo una guerra combattuta con le armi ma anche con le minacce di chiudere i rubinetti del gas. Il ministro dell’energia russo ha dichiarato che il pagamento da parte dell’ucraina basterà ancora per pochi giorni e il gigante russo del gas, la Gazprom, non verserà più gas a Kiev se non verrà pagato in anticipo come da contratto, ma il problema del gas in Ucraina è un problema anche per l’Europa visto che il gas passa dall’Ucraina. Kiev inoltre sembra voler chiudere i rubinetti di gas nella parte est del paese quella afflitta dal conflitto e dove è presenta la maggioranza di separatisti filorussi. Piange l’ucraina devastata dalla guerra e di certo non ridono i paesi confinanti come la Lettonia, la Lituania e l’Estonia. Questi tre paesi confinanti sembrano davvero spaventati da un’invasione russa visto che in questi paesi ci sono delle forti minoranze russofone tanto che in Lituania è tornata in vigore la leva obbligatoria e in Lettonia che si trova al confine della Russia vede ogni giorno esercitazioni russe vicino il proprio confine, invece in Estonia ci sono le parate della NATO in memoria dell’indipendenza e questo a fatto innervosire non poco la maggioranza della popolazione russofona. Insomma i paesi balcanici non dormono sonni tranquilli spaventati da quello che sta succedendo in Ucraina. Quello che sta succedendo in Ucraina è qualcosa che deve essere fermato subito perché questi scontri durano ormai da quasi un anno. Per arrestare questo conflitto si dovrebbe riconoscere indipendente la parte EST dell’Ucraina perché la maggioranza della popolazione ha deciso di separarsi, poi la Russia dovrebbe fare un passo indietro perché così sta solo alimentando gli scontri, rendendo giuste le sanzioni che le sono state imposte. 

Lo scontro tra Israele e Palestina ebbe iniziò il 24 maggio 1948, tre anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando l’ONU creò lo stato di Israele.

Israele fu fondato, per dare rifugio agli ebrei, che non avevano una loro terra a causa dei danni provocati dalla Shoa.

Israele è stato collocato nel bel mezzo dell’ex Palestina. Ciò, ha portato degli enormi disagi tra, i paesi confinanti, fortemente musulmani, e Israele dove è professata la religione ebraica.

Come se non bastasse, i palestinesi, sono stati emarginati in una piccolissima parte di terra, chiamata “Striscia di Gaza”. 

Possiamo quindi concludere che le cause dei continui conflitti tra Israele e Palestina, che continuano ormai da più di sessant’anni, sono di tipo religioso quanto politico. 

Sono diverse, le opinioni riguardo la così chiamata “questione palestinese”:

Mentre gli arabi pensano che, la Palestina sia la vittima, e provano un profondo odio nei confronti di Israele, altri pensano invece, che a causa di una cattiva propaganda, emergono false testimonianze sul conflitto, quindi fanno passare dalla parte del torto la Palestina, difendendo invece Israele.

 Gli Stati Uniti da una parte, e l’Unione Europea, dall’altra, hanno il dovere morale di imporre ad Israele e Palestina una via verso la pace.

Insieme, hanno i mezzi per fare pressione sulle due fazioni.

Non farlo prolungherebbe lo scontro all’infinito, in quanto Israele e Palestina sembrano indirizzati, verso la guerra totale.  

Il primo ministro israeliano a parole afferma di essere favorevole alla nascita dello Stato palestinese, mentre nei fatti non fa nulla per favorirne la nascita, in  modo da ottenere così i voti degli Israeliani di destra.

Di conseguenza, oggi la soluzione dei due Stati non è altro che un miraggio. 

Stati Uniti ed Europa hanno i mezzi per fare pressioni, rispettivamente su Israele e sui Palestinesi, ed imporre loro la pace.

Di qualunque tipo sia, una guerra provoca sempre ingenti danni. Gli articoli dei principali quotidiani e settimanali ci fanno capire quali sono le situazioni più gravi e dove a causa della guerra non si riesce più a condurre una vita normale.

A causa dell’Isis e della guerra che persiste in Siria, ad esempio, riscontriamo spesso dei danni ai patrimoni culturali (musei, siti storici…).

Fino ad ora i jihadisti dell’Isis in Siria hanno colpito 290 siti storici, dei quali 24 completamente distrutti, e 3 di questi considerati dall’ONU patrimonio dell’umanità.

Anche in Iraq l’Isis fa a pezzi la storia. A pochi chilometri da Mosul, la roccaforte dei fondamentalisti, si trova un’antica capitale dell’impero assiro: Ninive. Già colpita e saccheggiata durante la guerra con gli Stati Uniti, ora è nelle mani dei fondamentalisti, il cui capo, Al-Baghdadi, si sarebbe arricchito anche grazie al traffico di antichità.

Un altro “Danno collaterale” della Guerra è l’emigrazione.

Questo fenomeno è avvenuto soprattutto in Siria a causa dell’Isis: 779.000 profughi censiti a fine Novembre, 493.000 di questi sono sbarcati in Sicilia, provocando un sovrappopolamento in Italia e uno spopolamento totale in Siria.

L’emigrazione è stata anche causa di un abbasso dell’83% delle luci in Siria, in parte anche a causa della guerra e della devastazione che provoca.

Oltre ai danni materiali causati dalla guerra, è il danno ambientale che preoccupa molto i più esperti. A noi spesso non importa del danno che si può provocare all’ambiente, non solo durante la guerra, ma anche nella vita quotidiana. Sono diversi gli aspetti del danno ambientale, ad esempio l’aria inquinata dalle bombe, e i terreni distrutti dalle stesse.

Non potrà mai esistere una guerra pulita, ma la valutazione post-conflitto dimostra come i danni ambientali durante il conflitto possano essere drasticamente ridotti. La comunità internazionale deve far sì che i civili non soffrano dei danni ambientali provocati dalla guerra.

Sempre l’Isis colpisce il 17 Aprile 2015: una strage a Barqa a causa dei jihadisti che in diretta video uccidono 29 Etiopi Cristiani nell’est del paese.

Non può continuare così, non si può andare avanti sperando che prima o poi si fermino, o le conseguenze saranno irrecuperabili.

Vi è quindi la necessità di fermare i conflitti prima che essi si trasformino in carneficine ma è importante farlo usando un approccio diplomatico.

Ridurre i rapporti internazionali alla minaccia della violenza significherebbe condannarsi a non vedere la continua tensione tra potere e istituzioni.                        

Studiare i rapporti internazionali prescindendo dalla dimensione della violenza significherebbe offrire una visione edulcorata tra forti e deboli o tra soddisfatti e insoddisfatti. Tanto la pratica quanto la disciplina della violenza costituiscono una prospettiva privilegiata per cogliere natura e mutamenti della convivenza internazionale tanto diacronicamente , nel passaggio da un’epoca storica a un’altra. 

Il decennio che partiva dal 1990 fu dichiarato dall’assemblea generale dell’Onu “Decennio del diritto internazionale ” avrebbe dovuto essere il decennio del consolidamento della pace e delle istituzioni internazionali. Finito ogni pericolo di aggressione da parte di potenze nemiche, sembrava che nulla si opponesse a un futuro di pace.

È invece accaduto esattamente il contrario. Si è così approfondito il divario tra paesi ricchi e paesi poveri, si è lasciato libero corso alle devastazioni dell’ambiente, si sono chiuse ermeticamente le nostre frontiere a masse crescenti di affamati , senza minimamente curarsi dell’odio e della rivolta che frattanto montavano contro l’occidente.

Nel decennio le spese militari sono state più che raddoppiate, e così che abbiamo avuto anzichè il decennio del diritto internazionale, il decennio delle guerre. Al tempo stesso si è sviluppato, nel senso comune,un processo di normalizzazione della guerra quale strumento di soluzione dei problemi e dei conflitti internazionali.

La gestione dei rapporti fra stati era fallita nel periodo infrabellico , è da allora i conflitti e gli accordi fra gli stati sono stati gestiti sulla base di pure valutazioni di forza e convivenza,senza nemmeno perdere tempo a coprire quelle valutazioni con maschere e argomentazioni di diritto,segno lampante di un profondo cambiamento del sistema politico internationale.  

Il vecchio diritto internazionale avrebbe dovuto culminare nella gestione dell’ONU, oggi invece è incapace di prevenire la guerra e garantire la pace. I percoli e le minacce non tradizionali, sopratutto contro flussi delle risorse energetiche, il terrorismo in quanto forma irregolare di guerra, richiedono strumenti nuovi.  Le motivazioni internazionali che imponevano alle potenze di intervenire militarmente appaiono superate. L’esplosione della crisi del diritto internazionale he prodotto uno strappo sempre più largo e non più ricucibile, ed è culminato con l’intervento in Kosovo ed è proseguita con quelli seguiti all’11 Settembre 2001.

Maria Federica Costanzo, III C