“Quale esso fu lo malo cristiano,
che mi furò la grasta
del bassilico mio selemontano?
Cresciut’era in gran podesta,
e io lo mi chiantai colla mia mano:
fu lo giorno de la festa.
Chi guasta – l’altrui cose, è villania.
Chi guasta l’altrui cose, è villania
e grandissimo peccato.
E io, la meschinella, ch’i’ m’avia
una grasta seminata!
Tant’era bella, ch’a l’ombra stasia
da la gente invidiata.
Fummi furata – davanti a la porta.
Fummi furata davanti a la porta:
dolorosa ne fu’ assai.
Ed io, la meschinella, or fosse io morta,
che sì cara l’accattai!
È pur l’altrier ch’i’ n’ebbi mala scorta
dal messer cui tanto amai.
Tutta la ‘ntorniai di maiorana.
Tutta la ‘ ntorniai di maiorana:
fu di maggio lo bel mese-
Tre volte la ‘nnaffiai la settimana,
che son dozi volte el mese,
d’un’acqua chiara di viva fontana.
Sir’ Idio, com’ ben s’aprese!
Or è in palese – che mi fu raputa…”.
Dalla V novella della V giornata, in cui “si ragiona di coloro li cui amori ebbero infelice fine”.
“Decamerone”, Boccaccio.
Francesco De Marco, IV D