ARTEMISIA GENTILESCHI, la pittrice italiana più nota

Pittrice dallo stile drammatico ed altamente espressivo, Artemisia Gentileschi fu una rarità nel panorama artistico del Seicento, anche se spesso il suo talento fu sminuito a causa delle sue vicende personali.

Nella giornata dell’8 luglio 2020, Google dedica il proprio doodle a Artemisia Gentileschi, nel 427esimo anniversario della sua nascita. La pittrice, forse una delle più note fra le artiste italiane prima del Novecento e, sicuramente, una delle poche donne che i manuali di storia dell’arte si ricordano di citare, era nata l’8 luglio 1593 a Roma.
Figlia di Orazio Gentileschi, pittore pisano di stampo manierista, che si era trasferito a Roma assorbendo in pieno l’influenza di Caravaggio, la giovane Artemisia si avvicinò fin da piccolissima alla pittura, in particolare dopo la morte della madre nel 1605. Filtrata attraverso le opere del padre, la ragazza assorbì ben presto la lezione del realismo caravaggesco cui, secondo alcuni, affiancò la conoscenza del linguaggio della scuola bolognese: “Susanna e i vecchioni” del 1610, realizzato a soli 17 anni, (forse con qualche aiuto paterno) è considerata la sua prima opera compiuta, che già annuncia un talento ben definito. Nel 1612, seguì già “Giuditta che decapita Oloferne”, ritenuto uno dei suoi capolavori.
Nel pieno del suo apprendistato, quando Orazio la mise a bottega dal pittore Agostino Tassi, accadde un evento che segnò indelebilmente la sua vita personale e artistica: nel 1611 Tassi la violentò in modo brutale, come la stessa Gentileschi ricordò nei suoi diari (“Serrò la camera a chiave e dopo serrata mi buttò su la sponda del letto dandomi con una mano sul petto…”). Ne seguì un processo pubblico e molto chiacchierato, in cui paradossalmente la stessa vittima fu torturata per farle ribadire la verità della propria denuncia. Tassi fu poi condannato anche se la reputazione e, soprattutto, l’equilibrio psicofisico di Gentileschi furono minati per sempre. Sposatasi in fretta con un pittore assai modesto, Pierantonio Stiattesi, la donna lasciò nel 1612 Roma per Firenze, dove approfittò di un clima culturale molto fertile, frequentando Michelangelo Buonarroti il giovane (scrittore, pronipote dell’artista Michelangelo) e Galileo Galilei. Nel 1616 fu addirittura ammessa, prima donna nella storia, alla prestigiosa Accademia del disegno fiorentina.

Perseguitata dai debiti del marito e da chiacchiere di adulterio, Gentileschi lasciò Firenze nel 1620 per tornare a Roma, e poi viaggiare a Genova (dove conobbe Van Dick e Rubens), ancora nella capitale e infine a Venezia, Napoli e Londra, al seguito del padre divenuto pittore di corte della regina Enrichetta Maria. Ovunque andasse, la pittrice era accolta con favore dal ceto artistico del luogo e ricevette anche varie commissioni, tuttavia non abbastanza numerose come quelle dei suoi colleghi maschi. Tornata a Napoli, morì nel 1653, dopo un ultimo periodo di grande attività.

Ignorata per secoli da molti storici dell’arte che, quando la nominavano, riducevano il suo status artistico alle tristi vicende personali, Artemisia Gentileschi venne rivalutata a partire da un importante articolo del 1916 scritto da Roberto Longhi, Gentileschi padre e figlia. Da lì, in molti riconsiderarono la sua portata stilistica ed espressiva, spesso legandola ad un femminismo ante-litteram (numerose sono le sue opere che ritraggono eroine bibliche come Giuditta, Betsabea o Ester che hanno la meglio sui soprusi maschili) ma soprattutto sottolineandone lo stile maturo, drammatico, vividamente espressivo.

Cardamone Martina, IV B SIA, “Polo Tecnico Scientifico Brutium” di Cosenza.