Una famiglia di partigiani

di Lesi Ghirlanda e Marilin Cortez Moreira

Intervista ad Alba Ferrario, figlia del partigiano genovese Mario Ferrario.

Chi erano i partigiani?

I partigiani erano (uomini, donne, ragazzi) tutte quelle persone che volevano liberare l’Italia dai tedeschi, per poi avviare un cambiamento politico radicale e fare dell’Italia una nazione democratica eliminando le cause che avevano dato origine al fascismo. 

Quando è iniziata la lotta partigiana?

La lotta partigiana è iniziata dopo l’8 settembre 1943. I partigiani erano nascosti prevalentemente in montagna e organizzavano azioni di guerriglia e di sabotaggio, spesso aiutati dalla popolazione, che per questo rischiava la vita perché la reazione dei tedeschi non si faceva certo attendere: con le loro feroci rappresaglie molte persone, vecchi, bambini, giovani e donne sono state fucilate e impiccate. Interi paesi e villaggi sono stati bruciati. Questo era il modo di agire dei tedeschi nei confronti di tutti coloro che aiutavano i partigiani.

Nella nostra famiglia c’è stato qualche partigiano?

Nella nostra famiglia tutti, anche se partendo da ideologie diverse (c’è chi era comunista, socialista o cattolico) sono stati antifascisti. Ma l’unico partigiano che ha combattuto in guerra è stato il nonno Mario (cioè mio papà), il suo nome di battaglia nelle brigate Garibaldi era “l’inglese”. 

Il nonno Mario non è stato l’unico partigiano, c’è stata anche la zia Antonietta che ha partecipato alla lotta con la sua attività di staffetta. Lei era una maestra elementare, poi diventata professoressa. È stata sfollata a Vobbia perché aveva aiutato il dirigente del servizio sanitario, che si chiamava dottor Inca, che apparteneva alla brigata garibaldino Oreste e lui la ricambiava portandole medicine e materiale sanitario per i partigiani. Mi ricordo che una volta aveva raccontato che se l’era vista brutta perché era andata a rifornire di medicine e di notizie, nella zona di Mongiardino al confine tra la Liguria e il Piemonte, e lì c’erano appostati i tedeschi. Sulla via del ritorno per confondere i tedeschi aveva una grande cesta piena di uova e con questo era riuscita a eludere la loro sorveglianza.

Quando e perché il nonno Mario ha deciso di aderire alla lotta partigiana?

Il nonno, quando è stato firmato l’armistizio dell’8 settembre del 1943, era un ragazzo di 20 e prestava servizio militare in Marina (a la Spezia). Come tanti altri alla notizia dell’armistizio si trovò senza ordini precisi e quindi dovette decidere se arrendersi ai tedeschi, arruolarsi nell’esercito della nuova repubblica di Salò e continuare a combattere al fianco dei tedeschi, oppure disertare e entrare nelle organizzazioni delle forze partigiane; decise per quest’ultima ed entrò nelle brigate Garibaldi. I motivi che lo hanno spinto a fare questa scelta sono tanti: sicuramente l’antifascismo respirato in famiglia e poi anche il desiderio di porre fine alla guerra e la speranza di veder nascere un’Italia nuova e democratica.

In famiglia com’è stata accolta la sua decisione?

Io non ero ancora nata allora, ma immagino con quanta ansia i suoi genitori (cioè i miei nonni) e sua sorella (la zia Silvana) abbiano vissuto quella scelta. In quegli anni ci sono stati anche dei momenti molto difficili da superare perché suo papà è stato interrogato e picchiato dai fascisti nelle cantine di un palazzo che per pura coincidenza è lo stesso dove abitiamo oggi. Per questo motivo il nonno Mario veniva mal volentieri a casa nostra perché gli ricordava quei momenti e quel dolore che suo padre aveva dovuto sopportare per causa sua.

Scriveva lettere alla famiglia?

Sinceramente non lo so, e non credo perché poteva essere scoperto con tutte le conseguenze per lui e per la famiglia.

Cosa faceva durante il giorno?

Su questo i suoi racconti erano molto vaghi, sinceramente non l’ho mai saputo e mi dispiace anche non averglielo chiesto. Raccontava invece di quando è riuscito a scappare dal vagone che avrebbe dovuto portarlo al campo di concentramento di Dachau, che, quando io avevo circa 10-11 anni, durante un viaggio attraverso la Germania e l’Austria, mi ha portata a visitare. Mi ha portata anche a visitare il campo di Linz e di Mauthausen e devo dire che è stata un’esperienza, per me che ero piccola, molto scioccante. Per anni, la sera, quando andavo a dormire spesso mi capitava che chiudevo gli occhi e mi rivedevo quelle immagini di quel che accadeva nei campi di concentramento.

Dove si rifugiava?

Anche su questo argomento io non ho ricordi particolari, ha raccontato anche tanti episodi che gli sono capitati però poi di preciso dove vivesse, cosa facesse non l’ha mai detto. Immagino che si nascondesse in montagna. So che una volta è stato nascosto a casa di una sorella di suo papà che era suora di clausura. 

Dopo il 25 aprile ha continuato l’impegno in politica ed è stato eletto nel primo consiglio comunale di Genova dopo la guerra. Poi si è sposato con mamma Cristina ed è morto di vecchiaia l’11 Giugno del 2009.   

Ricordi qualcosa in particolare?

Ricordo che spesso mio papà aveva degli incubi notturni e si metteva a gridare. Spesso nei suoi racconti diceva che aveva patito tanto il freddo e la fame arrivando in certe occasioni a mangiare di tutto, anche i topi. Deve aver patito tanto il freddo perché in casa voleva sempre che ci fosse il riscaldamento acceso; aveva addirittura due sistemi di riscaldamento in caso se ne rompesse uno.

Quando ero bambina e ascoltavo i suoi racconti, sinceramente non comprendevo tutto, ma sembrava di vivere un film. Ascoltavo i suoi racconti con interesse, con stupore, con meraviglia e anche se molte cose mi sfuggivano, da adulta anche con lo studio sui libri di storia, ne ho capito veramente il senso. Grazie ai suoi racconti ho capito il significato di quello che è stata la seconda guerra mondiale, la resistenza, la lotta partigiana e tutto quello che ne conseguì.

Ricordo che raccontava spesso di quando, dopo un lungo periodo lontano dalla famiglia, ha cercato di ritornare a casa per passare a salutare i suoi genitori che erano sfollati a S. Lorenzo della costa. Raccontava che, naturalmente di notte con il buio, svoltando dal cortile ha visto una lucina in cima alla scala di ingresso e ha capito che si trattava di un soldato tedesco che stava fumando una sigaretta. Mario non scappò, ma è rimasto lì fermo a guardarlo. Il tedesco che probabilmente era uno giovane come lui, lo vide e gli fece cenno di scappare e così gli ha risparmiato la vita. 

Un altro ricordo mi fa rabbrividire al pensiero è quando raccontava che durante la cattura a Milano è stato sottoposto a una finta fucilazione. Lo hanno messo al muro come se dovesse essere fucilato. Lo facevano solo per incute paura o per indurre a parlare. Da Milano poi con l’aiuto di alcuni parenti e di alcune suore è riuscito a scappare e a salvarsi. Nonostante tutti i suoi racconti, non ha mai lasciato niente di scritto, forse per il fatto di voler dimenticare. Questo mi dispiace molto. Avrei dovuto raccogliere la sua testimonianza e raccogliere questi racconti. 

Un altro ricordo (riguardante la famiglia della nonna Cristina): la nonna Cristina con i suoi genitori e sua sorella e altri parenti a causa del pericolo dei sempre più insistenti bombardamenti che si abbattevano sulla città di Genova si sono ritirati prima come sfollati a Isola del Cantone e poi nella casa di campagna a Vobbia. Durante il periodo trascorso a Isola del Cantone spesso Cristina e sua sorella, (la zia Adele), erano iscritte al liceo classico a Novi ligure ma a causa dei bombardamenti e delle azioni di sabotaggio dei partigiani alle linee ferroviarie era un po’ una scuola a fasi alterne, un po’ come la vostra la DAD di oggi. Sono stati testimoni del terribile rastrellamento fatto dai tedeschi fatto il 10 aprile del 1944, che è ricordato nei libri di storia come la Pasqua di sangue. E’ successo che la mattina i tedeschi sono arrivati a Vobbia e tutti gli uomini sono stati trascinati in piazza, di tutti loro ne hanno prelevati 11 che avrebbero dovuto essere mandati a militare, nati tra il 1914 e il 1925, che erano considerati renitenti alla leva. Sono stati catturati e deportati in Germania, nei campi di concentramento dai quali non sono più tornati. Il nonno Mario ha scritto anche una poesia, “la mala pasqua”, su questo periodo.

Sempre durante questo periodo a Vobbia il generale Günther Meinhold (capo delle forze armate tedesche a Genova dal 1 marzo del 1944 fino al 25 aprile del 1945 che firmò l’atto di resa dei tedeschi a villa Migone a San Fruttuoso), si era stabilito, requisendola, nella nostra casa. Lì era rimasto con alcuni soldati per una decina di giorni. La mia nonna e la zia mi raccontavano di questa convivenza con il Generale che si faceva servire a spese nostre. Però fortunatamente si comportava abbastanza bene e si era affezionato al gatto che aveva soprannominato “pattuglia”. 

Il nonno non ha mai mancato alla manifestazione del 25 aprile che per lui era molto importante. Tirava sempre fuori una bandiera enorme appendendola al balcone di casa. E anche dopo la sua morte io ho sempre continuato a partecipare e conservo ancora la sua bandiera.

Il nonno era sempre rimasto deluso della politica contemporanea perché sperava in qualcosa di migliore. Mi ha sempre insegnato ad essere pacifista e infatti odio le guerre e tutto ciò che è distruzione.