Processo Floyd: l’America sotto il giudizio del mondo

Processo Floyd: l’America sotto il giudizio del mondo

8 minuti e 46 secondi hanno segnato la fine della vita di George Floyd, cittadino afroamericano soffocato a morte lo scorso 25 maggio dal poliziotto Derek Chauvin e per 8 minuti e 46 secondi i fratelli, i legali e il reverendo Al Sharpton sono rimasti inginocchiati davanti al Palazzo di Giustizia di Minneapolis prima che ieri, il 29 marzo, il processo iniziasse.

“L’America chiede giustizia, il mondo intero ci sta guardando”, sono le parole di Benjamin Crump, l’avvocato che rappresenta la famiglia della vittima, diventata simbolo della lotta al razzismo portata avanti dal movimento “Black Lives Matter” e nelle ultime settimane dall’America intera, che ad una sola voce continua ad urlare la propria indignazione nello slogan “I can’t breathe”, non respiro, le  parole che Floyd, durante la sua agonia, ha ripetuto per 27 volte prima di spirare.

E ancora: “Oggi inizia un processo storico, un referendum su quanto lontano questa nazione intende spingersi nella ricerca di eguaglianza e giustizia per tutti” continua Crump.

Presiederà il processo una giuria equilibrata etnicamente, che comprende nove bianchi, quattro neri e due multirazziali, di cui sei uomini e nove donne e, soprattutto, una giuria esterna ai fatti, neutrale, a cui ieri l’accusa ha mostrato il video virale di quell’”atto di tortura” -a detta di Crump- prolungatasi per altri 53 secondi dopo il decesso di Foyld e interrottosi solo con l’arrivo dell’ambulanza.

Per questo gesto, l’ex agente di polizia, rischia 40 anni di carcere, per aver provocato una “morte non volontaria, ma con malizia”, secondo quanto dice il giudice Peter Cahill.

Se l’accusa è convinta del fatto che questo omicidio non sia “difficile da giudicare”, non tutti sembrano però d’accordo: “La gente non ha molta fiducia su una sua condanna. Abbiamo visto questo film già molte volte, potremmo recitarne le battute”, commenta con velato sarcasmo il reverendo Brian Herron, della comunità afroamericana di Minneapolis, evidenziando lo sconforto di molti che, come lui, sono sfiduciati nei confronti dell’apparato giuridico statale.

In opposizione, la difesa, rappresentata dal procuratore Jerry Blackwell, esorta affinchè “la politica resti fuori dall’aula” insieme ad ogni accusa di discriminazione razziale, facendo della causa della morte non l’asfissia, bensì un fisico compromesso dal tabacco e dall’assunzione di sostanze stupefacenti, a cui si imputa la colpa dell’atteggiamento della vittima che, come  sostenuto dai due impiegati della tabaccheria nella quale Floyd aveva cercato di comprare delle sigarette con 20 dollari falsi, lo aveva portato a strappare la banconota con un atteggiamento tale da sembrare sotto l’effetto di droghe.

Un processo tutt’altro che facile, quindi, dall’esito incerto e dalle opinioni contrastanti, come risultato di una nazione divisa.

Elena Guerra