I campi di concentramento in Cina

Ogni anno e, in particolar modo, durante il giorno della memoria, sentiamo parlare di quelli che furono i campi di concentramento, i quali durante la Seconda Guerra Mondiale videro la persecuzione e lo sterminio di tantissimi ebrei da parte dei nazisti.

Eppure ancora nel 2021 questi luoghi non risultano essere totalmente scomparsi: a testimoniarlo e renderlo noto grazie all’uso dei social è proprio una ragazza di diciassette anni che, fingendo la realizzazione di un tutorial sul make up, denuncia le persecuzioni del governo cinese nei confronti di alcune minoranze musulmane come gli Uiguri o i Kazaki.

Nonostante questo e nonostante le svariate testimonianze di alcuni sopravvissuti, Pechino continua a negarne l’esistenza o, addirittura, a valorizzarne l’efficacia: spesso infatti il governo cinese conferisce a questi campi il nome di “campi di rieducazione” o “Centri di formazione volontaria al lavoro”. In realtà non sono che luoghi segreti di forzata riabilitazione ideologica, religiosa e comportamentale.

Ma quando ha di fatto inizio tutto ciò? C’è sicuramente da dire che la Cina ha da sempre cercato di acquisire il controllo sulla zona musulmana dello Xinjiang. Con il tempo, per cui, non ha che inasprito e aumentato ulteriormente le misure cautelative e restrittive nei confronti delle minoranze religiose, sostenendo che i giovani uiguri avrebbero potuto subire l’influenza dell’estremismo islamico e diventare potenziali terroristi.

Con il tempo poi, opportunamente aiutati dall’alta tecnologia, i funzionari cinesi hanno via via ideato un rigido sistema di controllo per monitorare ogni tipologia di scambi privati di messaggi o video. Circa le deportazioni le persone, dopo essere state interrogate e obbligate a fare nomi di eventuali parenti e amici, vengono deportate in questi campi, all’interno dei quali subiscono ogni tipologia di tortura.

Lo testimoniano le persone sopravvissute: dopo essere stati arrestati vengono incappucciati e costretti a indossare catene a braccia e gambe e a restare fermi per ben 12 ore. Una volta giunti nel centro di detenzione inizia l’incubo vero e proprio: non gli è permesso il dialogo, vengono sollecitati invece a cantare canzoni politiche e a recitare discorsi del “Partito Comunista Cinese”.

I prigionieri vivono in una piccola stanza con condizioni igieniche pari a zero . Sono immobilizzati, hanno la testa rasata, ogni movimento è monitorato da telecamere poste sul soffitto. Un secchio posto nell’angolo della stanza serve da bagno. La loro giornata inizia alle 6 del mattino e può durare sino alle sedici ore consecutive. Il cibo risulta essere inadeguato e direttamente proporzionale alla quantità di lavoro svolto. Chi oppone resistenza, chi non obbedisce agli ordini dati o non mostra progressi periodici viene condotto nella cosiddetta stanza nera per subire punizioni che vanno dall’abuso verbale e sessuale alla privazione del cibo, all’isolamento, alle percosse e all’uso di restrizioni e posizioni di stress: in generale a torture di ogni genere. Si tengono poi degli esperimenti su questi detenuti. A questi ultimi vengono fatte delle iniezioni e vengo fatte ingoiare delle pillole ufficialmente per prevenire le malattie, in realtà si tratta di esperimenti medici.

Per non parlare di quelle che poi le ripercussioni e le conseguenze che si presentano a livello mentale e psicologico: Molti dei detenuti vengono colpiti da un irreversibile declino cognitivo che determina spesso depressione e, nel peggiore dei casi, suicidio.

Secondo le immagini satellitari ottenute dall’Australian Strategic Policy Institute, nello Xinjiang ci sono 380 centri di internamento (100 in più rispetto a quanto si riteneva in precedenza), che vanno dai campi di rieducazione a minore sicurezza alle prigioni fortificate.

Risultano poi essere tantissime le testimonianze circa questi luoghi che attestano la terribile vita e i terribili trattamenti ai quali queste persone vengono quotidianamente sottoposti. È ad esempio il caso di Sayragul Sauytbay, la cui testimonianza risulta essere particolarmente importante. Essa infatti è un’insegnate e pertanto fu costretta a ricoprire questo ruolo anche all’interno di uno di questi campi di rieducazione.

Come possiamo notare ben poco cambia rispetto ai campi di concentramento risalenti al periodo delle deportazioni di ebrei nei campi di concentramento.

Come sempre la storia sembra non insegnare nulla a noi uomini perché gli orrori del passato continuano a ripetersi.

Chiara Costantini
Eva Rampioni
Aurora Angelucci
classe 4A