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Biden avvia una conversazione telefonica con la famiglia Floyd, poi il verdetto: “Chauvin colpevole di omicidio”

Il presidente: “Prego per voi”. Sentenza unanime sui tre capi d’accusa. E l’agente rischia 75 anni

«Colpevole di tutti e tre i capi di accusa». Sentenza unanime lampo – «oltre ogni ragionevole dubbio» come prescrive l’ordinamento americano -, con una camera di consiglio della giuria popolare chiusa in un hotel per poco più di 24 ore, per l’uccisione di George Floyd da parte dell’ex agente della polizia di Minneapolis Derek Chauvin.

Ora spetterà al giudice, tra 8 settimane massimo, stabilire la pena definitiva per Chauvin. Con l’omicidio di secondo grado, l’imputato viene accusato di aver causato la morte di una persona senza averne l’intenzione, ma assumendo il rischio. La pena va da 10 a 15 anni, ma in alcuni casi si può arrivare a 40 anni. Con l’omicidio di terzo grado si parla di «indifferenza alla vita umana». La pena varia da 10 a 15 anni di carcere, con un massimo di 25. Con l’omicidio preterintenzionale, vale il principio della «colpa negligenza», la più lieve rispetto alle prime due. La pena varia da tre anni e mezzo a 4 anni e nove mesi. In totale l’ex agente di polizia rischia fino a 75 anni.

Poche ore prima del verdetto il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha scelto di telefonare ai familiari di Floyd definendo «le prove schiaccianti», ha fatto sapere di pregare per «una sentenza giusta». Poi ha seguito in diretta, con il fiato sospeso, come tutta l’America, la lettura del verdetto. Seguendo le immagini dell’ex agente – mascherina chirurgica a proteggere il volto provato dall’emozione – scortato via in manette dall’aula del tribunale.

«Prendetevi tutto il tempo che occorre», ha quasi supplicato il giudice Peter Cahill ai dodici giurati. E chi voleva essere nei loro panni? «Valutate attentamente le prove» per poi ricordare che il verdetto doveva basarsi su delle prove concrete e non «sentimenti, paure, stereotipi sugli altri». Scelta difficile se fuori da quasi un anno è esondato il movimento Black Lives Matter (le vite dei neri contano). Il giorno dopo la morte dell’afroamericano, avvenuta a Minneapolis il 25 maggio 2020, migliaia di americani, afroamericani e bianchi, scesero spontaneamente in strada per denunciare la brutalità della polizia nei confronti delle minoranze. La Black Lives Matter Global Network Foundation è riuscita a ottenere il licenziamento del capo della polizia di Los Angeles Charlie Beck, a Chicago la chiusura del centro di detenzione di Homan Square, a New York hanno chiesto l’istituzione di una giornata della memoria per le vittime della polizia. Ora il verdetto rischia di mandare il Paese in tilt: esultanza dei neri e dei sostenitori di Blm, rabbia dei repubblicani e dei sostenitori dell’operato della polizia.

Da una parte c’è la comunità afroamericana, già sul piede di guerra esasperata e furiosa dagli altri recenti episodi di violenza, così come si temono ritorsioni. A Minneapolis blindata, oltre 3mila agenti sono stati disseminati per la città e il tribunale è circondato da barriere di cemento, recinzioni a catena e filo spinato. Chiuse tutte le scuole pubbliche, e proprio gli studenti delle scuole superiori di almeno 110 istituti hanno scioperato al grido di «National Guard, go home», per protestare contro le violenze delle forze dell’ordine, da ultima quella sul giovane Wright.

«Ci ha appena chiamato il presidente, sa cosa stiamo affrontando», ha spiegato ai microfoni Philonis, il fratello minore di Floyd. «Ci ha voluto far sapere che prega per noi». La Casa Bianca ha confermato poi su Twitter che il presidente ha parlato con «la famiglia per vedere come stavano» ha scritto la portavoce Jen Psaki che ha voluto spiegare che l’amministrazione è in contatto con le autorità locali ed il presidente chiede ai dimostranti di rimanere pacifici. C’è paura e preoccupazione, la situazione potrebbe sfuggire di mano.

GEORGE FLOYD: il caso 

Il 25 maggio del 2020 Minneapolis era una città ancora normale, dove il coronavirus appariva come la principale preoccupazione, così come del resto in tutti i principali centri degli Stati Uniti. Il Paese in quei frangenti stava vivendo infatti gli ultimi strascichi dell’epidemia, che nella sola New York ha causato migliaia di vittime ma che in tutta la federazione ha stravolto le vite di milioni di persone per via delle drastiche misure di contenimento. Intorno alle 20 di quel giorno, però, il quadro era destinato a cambiare: tra la East 38th Street e la Chicago Avenue della metropoli del Minnesota, un diverbio come tanti altri da lì a breve cambierà il corso della storia recente americana. Quello che sembrava uno scontro verbale tra un poliziotto ed un cittadino afroamericano è infatti diventato una vera e propria miccia in grado di far esplodere la questione razziale negli Stati Uniti.

La vicenda

Protagonisti di quella iniziale diverbio erano George Floyd e due poliziotti di una pattuglia chiamata dai titolari di un’attività commerciale. Tutto era iniziato intorno alle 20, quando Floyd, cittadino di origini afroamericane, è entrato nel negozio Cup Foods per comprare un pacchetto di sigarette. Uno degli impiegati, dopo il pagamento da parte di Floyd, ha avuto il sospetto che la banconota usata fosse contraffatta. Per questo motivo, notato che l’acquirente era ancora in zona, ha attraversato la strada raggiungendo Floyd in quel momento all’interno del proprio Suv. L’impiegato ha intimato al cittadino afroamericano di ridare subito indietro il pacchetto acquistato, ma questa richiesta è stata immediatamente declinata da Floyd. Per questo motivo, il negoziante ha chiamato un minuto dopo il 911, il numero per le emergenze. La richiesta di intervento è stata registrata alle ore 20:01. Esattamente sette minuti dopo, come documentato dalle telecamere di sorveglianza del ristorante Dragon Wok, è arrivata una prima pattuglia della polizia.

Due agenti, Thomas K. Lane e J. Alexander Kueng, hanno raggiunto Floyd all’interno del suo Suv alle ore 20:09. Lane ha intimato al cittadino fermo dentro la propria autovettura di mettere le mani sul volante: è in questo momento che ha inizio un diverbio, al termine del quale l’agente Lane ha estratto Floyd dal Suv ammanettandolo, dichiarandolo in stato d’arresto per uso di banconota contraffatta. A quel punto, l’agente Kueng ha bloccato Floyd sul marciapiede contro il muro di fronte al ristorante Dragon Wok. Alle 20:14 il cittadino ammanettato è caduto a terra forse per un primo malore. Gli agenti lo hanno quindi aiutato a spostarsi verso la portiera dell’auto. Intanto Lane e Kueng avevano già chiesto l’arrivo di rinforzi. Una seconda auto della Polizia è arrivata alle 20.15, un’altra invece alle 20:17. Su quest’ultima c’erano gli ufficiali Derek Michael Chauvin e Tou Thao. Due minuti più tardi, è stato proprio Chauvin ad entrare in azione, così come mostrato questa volta dalle telecamere di sorveglianza del Cup Foods. Un diverbio, forse dovuto al rifiuto dell’arrestato di entrare nell’auto della Polizia, ha fatto degenerare la situazione.

Alle 20:19 dalle telecamere di sorveglianza si vede Floyd con la faccia a terra sulla strada accanto all’auto della Polizia, con Chauvin che lo blocca tenendo il ginocchio sul collo dell’arrestato. A quel punto la scena è diventata di dominio pubblico: alcuni passanti hanno filmato tutto con i cellulari, mandando in streaming quanto stava accadendo. Si nota, in particolare, Floyd immobilizzato a terra ed impossibilitato a muoversi, con l’ufficiale Chauvin che continuava con il ginocchio a premere sul collo dell’arrestato. Alle 20:22 gli agenti hanno quindi chiamato un’ambulanza, inizialmente con un codice due, poco dopo inoltrando invece la richiesta con codice tre, ossia emergenza. Nei video postati dagli utenti social, è possibile sentire Floyd dichiarare di non riuscire a respirare.

La morte di Floyd

Dalle immagini delle telecamere di videosorveglianza, così come dai video degli utenti, è stato possibile notare che Floyd ha perso conoscenza intorno alle 20:25. Dopo tre minuti è arrivata l’ambulanza, con i paramedici che hanno esortato l’ufficiale Chauvin a tirare via il ginocchio dal collo di Floyd. I medici hanno soccorso Floyd privo di conoscenza, portando il ferito presso l’Hennepin County Medical Center. Poche ore dopo, il cittadino afroamericano verrà dichiarato morto.

Chi era George Floyd

George Floyd è nato a Houston, in Texas, nel 1974. Al momento della morte avvenuta il 25 maggio scorso dunque, aveva 46 anni. Di origini afroamericane, Floyd è cresciuto nella città texana diplomandosi alla Yates High School nel 1993. Ha seguito l’avventura nella musica hip hop, molto in voga soprattutto a partire dagli anni ’90, aderendo al gruppo Screwed Up Click. Per anni è stato un rapper con lo pseudonimo di “Big Floyd”. Nel suo passato anche guai con la giustizia: nel 2009 infatti, contro di lui risulta una condanna a 5 anni per rapina aggravata. Il suo trasferimento in Minnesota è arrivato nel 2014: qui ha iniziato a risiedere a St. Louis Park, lavorando a Minneapolis come buttafuori in un ristorante. Un lavoro durato cinque anni ed interrotto di recente per via della chiusura dell’attività a cause delle norme anti coronavirus. Floyd era quindi uno dei tanti nuovi disoccupati ritrovatisi senza lavoro negli Usa a causa della pandemia. La vittima della vicenda sopra narrata aveva due figli:  Quincy Mason Floyd di 22 anni e Gianna Floyd di 6 anni.

L’inizio delle proteste

La diffusione dei video in cui il poliziotto Derek Michael Chauvin ha tenuto il ginocchio schiacciato sul collo di Floyd, circostanza probabilmente all’origine della morte dell’arrestato, ha da subito suscitano notevole indignazione. Negli Stati Uniti il caso è diventato mediatico e politico già il 26 maggio, con gli argomenti relativi al coronavirus passati improvvisamente in secondo piano. Per questo sono subito state organizzate numerose proteste, soprattutto dalla comunità afroamericana sia di Minneapolis che di altre città statunitensi. Infatti, il gesto di Chauvin è stato interpretato come un episodio razzista e portato avanti appositamente contro una persona di origine afroamericana.

Una delle immagini più iconiche delle proteste che stanno infiammando gli Usa (LaPresse)

Numerosi cortei sono stati organizzati in tutte le principali metropoli del Paese, sui social è divampata la polemica circa gli episodi di razzismo perpetuati dalla Polizia americana anche negli anni precedenti. L’episodio di Minneapolis infatti ha ricordato molto da vicino quanto accaduto a Ferguson nel 2014, quando un poliziotto ha sparato ed ucciso Michael Brown, giovane afroamericano disarmato la cui morte ha innescato diversi giorni di violente proteste. Il 27 maggio a Los Angeles si è tenuta una grande manifestazione organizzata dal movimento Black Lives Matter. Anche se il carattere delle prime proteste è stato pacifico, tuttavia non sono mancate tensioni e gli Stati Uniti hanno iniziato a vivere con il terrore di scivolare nuovamente in una spirale di violenza.

Le indagini

Subito dopo la diffusione delle immagini dell’azione della Polizia, il sindaco di Minneapolis Jacob Frey ha dichiarato illegale la manovra d’arresto dei quattro agenti coinvolti. Per questo, è stato quindi disposto il licenziamento degli ufficiali Thomas K. Lane, J. Alexander Kueng, Tou Thao e Derek Michael Chauvin. Quest’ultimo, autore dell’azione probabilmente fatale per George Floyd, è stato anche arrestato con l’accusa di omicidio. Il 30 maggio sono stati resi noti i risultati di una prima autopsia sul corpo della vittima, secondo cui non erano presenti segni di asfissia o strangolamento tali da essere potenzialmente compromettenti per la vita dell’uomo. Tuttavia, dall’Hennepin County Medical Center è stato anche specificato che Floyd aveva alcune patologie pregresse quali ipertensione cardiaca e disturbi alle arterie coronarie. Dunque, è possibile che la manovra di Chauvin possa comunque aver inciso nel peggioramento di queste patologie e nel renderle fatali per Floyd.

La famiglia della vittima ha comunque ufficialmente dichiarato di non ritenere attendibili gli esiti di questa autopsia, predisponendone una nuova curata privatamente e seguita da altri medici. Gli esiti questa volta avrebbero confermato l’asfissia causata dallo schiacciamento del ginocchio di Chauvin come causa principale del decesso. Il poliziotto autore della manovra d’arresto incriminata è stato posto in una cella di isolamento video sorvegliata, in quanto nei giorni successivi l’incriminazione avrebbe tentato il suicidio.

Il 4 giugno intanto, ad essere incriminati sono stati anche i poliziotti Thao, Lane e Kueng: per loro è scattato lo stato di arresto con l’accusa di omicidio di secondo grado. Contestualmente, è cambiata anche l’accusa per Chauvin, che passa da omicidio di terzo grado ad omicidio di secondo grado. Nelle settimane successive alla morte di Floyd, è stato anche rivelato che dai test eseguiti sul suo corpo si è scoperto che la vittima risultava positiva al coronavirus.

Il caso Seattle

Un episodio emblematico della situazione negli Stati Uniti a seguito dello scoppio delle proteste per la morte di Floyd, è rappresentato da quanto accaduto nel quartiere Capitol Hill di Seattle. Nella metropoli dello Stato di Washington, una delle più importanti situate lungo la costa del Pacifico degli Stati Uniti, i manifestanti hanno letteralmente preso possesso del quartiere, scalzando le forze di Polizia. A comandare all’interno di questa zona, posta poco al di fuori dal centro cittadino, sono stati i principali gruppi di manifestanti che hanno animato le piazze in tutto il Paese: Black Lives Matter, Antifa ed altre organizzazioni della sinistra radicale.

L’occupazione di Capitol Hill in linea di principio doveva rappresentare un “esperimento”: l’obiettivo era dimostrare la possibilità di autogovernare la città, senza la presenza di autorità tanto civili quanto di sicurezza. Tuttavia, il progetto si è rivelato un vero fallimento: nel quartiere di Seattle occupato sono stati registrati diversi omicidi, un aumento non indifferente nel numero di reati anche gravi, quali abusi e stupri, nonché in generale una situazione del tutto fuori controllo e dove paradossalmente le stesse minoranze etniche presenti sono diventate maggiormente vulnerabili. L’occupazione è durata circa 20 giorni, ad inizio luglio il sindaco democratico Jenny Durkan ha ordinato alla Polizia di riprendere il controllo degli isolati autogestiti dai manifestanti.

Una volta terminate le operazioni di sgombero da parte dei poliziotti, la realtà emersa è quella di un degrado importante, con intere strade devastate, immondizia presente ovunque ed abitazioni saccheggiate, vandalizzate o danneggiate. Le testimonianze raccolte nei giorni successivi hanno parlato di un autentico inferno senza legge, dove abusi e furti erano all’ordine del giorno e dove l’autogestione declamata dai manifestanti si è rivelata un fiasco in ogni aspetto, compreso quello economico.

L’abbattimento delle statue

Una piaga discutibile presa dalle manifestazioni successive alla morte di Floyd, anch’essa espressione del caos imperante negli Stati Uniti, riguarda l’abbattimento di numerose statue in tutto il Paese ad opera dei gruppi impegnati nelle proteste. Qualsiasi raffigurazione simbolica di personaggi accusati di essere stati schiavisti o tacciati di razzismo, è stata presa di mira ed in alcuni casi anche abbattuta. E questo non soltanto negli Stati Uniti, ma anche nel Regno Unito: emblematica in tal senso la necessità di dover proteggere e blindare a Londra la statua dedicata a Wiston Churchill, contro la quale i manifestanti avevano promesso danneggiamenti durante una marcia di protesta. Il presidente Trump ha condannato l’oltraggio nei confronti delle statue e dei simboli presi di mira, promettendo misure severe e dieci anni di carcere contro gli autori di questi atti.

Ionita Elena Loredana  III E