Memorie di un piccolo contadino durante la Grande Guerra

Intervista a Francesco Nicolini, scrittore e tramandatore della memoria di suo nonno fante.

Un signore di media statura, sulla sessantina, con occhiali rettangolari e un sorriso di simpatia caldo e accogliente, così si presenta Francesco Nicolini, colui che, come ha fatto in molte scuole di Pesaro e dintorni, ci racconterà l’appassionante storia di suo nonno, Elmo Cermaria, fante nella Grande Guerra.

D: Innanzitutto, chi era Elmo Cermaria?

F: Nonno Peppe era un contadino di Sant’Angelo in Lizzola (PU), nato in un podere nella Valle del Brasco.

Il 22 di novembre del 1915 viene chiamato alle armi.

D: Ma quanti anni aveva?

F: Era del 1896, aveva compiuto 19 anni, un ragazzino! Non era mai uscito dal suo podere, viene preso e portato a Modena dove c’era il centro di raccolta, perché da lì era facile arrivare dalle parti di Asiago, dalle parti dell’Isonzo, poi lo prendono e lo portano a Sassuolo, dopo avergli dato l’uniforme…

D: Questi spostamenti come avvenivano?

F: In treno ovviamente. Erano lenti ma c’erano. Sicuramente dal suo podere fino a Pesaro è andato a piedi, perché, quando mio nonno aveva 20 anni i marchigiani andavano a piedi a Roma.

D: Ma come funzionava? Compievi 19 anni e andavi di tua spontanea volontà o ti arrivava la cartolina?

F: Guarda, ho trovato il referto della visita che si doveva fare: tu vai e se sei idoneo ti prendono, ma erano tutti idonei. Quelli che non erano idonei, perché erano bassi bassi, piccoli piccoli, dopo un anno diventavano idonei, perché li ammazzavano tutti e non ce n’erano più. C’era il fratello di mio nonno, Zeno, che era bassissimo, era più basso del re, e si diceva “se sei alto come il re puoi andare a fare la guerra”. Lui era più basso, e fu scartato, ma l’anno dopo, preso! Non è più tornato a casa, morto.

D: A proposito, gli davano una preparazione per andare in trincea?

F: Il nonno racconta: ’mi ritirano gli abiti, mi danno quelli da militare, i pantaloni che mi danno erano altissimi, allora c’era uno più alto, quindi ho fatto a cambio…’ era un po’ il discorso tra la povera gente ‘dammi quei pantaloni lì e i ti do i miei’.

Lui comincia dunque a fare quelle che chiama ‘le istruzioni’, che erano, ad esempio ‘marciare’, il nonno racconta che marciava verso Modena tutti i giorni, ma non racconta mai che ha sparato, e neanche, quando andò al fronte, che ha ucciso qualcuno, eppure quando uscivi dalla trincea o ammazzavi o venivi ammazzato, gli ‘assalti alla baionetta’, erano un pugnale lungo puntato sul cuore…e il nonno non dice mai niente di questo….

Dopo qualche settimana il nonno viene ingaggiato da un superiore che chiedeva se qualcuno tra i ragazzi sapesse suonare uno strumento perché dovevano formare la banda del 36° reggimento (di fanteria di Modena), il nonno rispose ‘’ ‘che strumento suoni?’ ‘il clarino’’bene allora domani vai a casa a prenderlo’. Gli danno uno o due giorni di permesso, e parte da Sassuolo a Modena, Bologna, Pesaro, fino a piedi al suo podere. La madre lo rivede e sorpresa ‘ma cosa fai?’, ‘sono venuto a prendere il mio clarino che mi han messo nella banda’. Poi ritorna e racconta ‘da quel giorno io ho smesso di fare le istruzioni’. Quindi lui se prima aveva fatto poco perché appena arrivato, dopo non ha fatto più niente, quindi non ha imparato né a sparare, né a fare le guardie, né a fare niente perché lui suonava solo.

Però il 27 di maggio arriva un ordine tassativo del Ministro della guerra: si parte perché gli Austriaci hanno sferrato quella che è passata alla storia come la spedizione punitiva ‘Strafexpedition’. Quindi l’Altopiano di Asiago viene attaccato, vengono rasi al suolo tutti i paesini, perché la strategia era quella di accerchiare il fronte isontino e arrivare da dietro: davanti c’erano gli ungheresi e dietro, dunque, ci sarebbero stati gli austriaci.

Allora si parte e il nonno sapeva che voleva dire ‘andare a morire’, fanno di tutto per non partire ‘la banda non si può sciogliere, abbiamo suonato tanto, adesso siamo affiatati, non possiamo andare al fronte, vogliamo continuare a suonare’, ma, racconta, ‘non c’è stato niente da fare, l’ordine era tassativo, la banda si sfascia e via, tutti via’. Racconta l’avvicinamento al fronte, in treno e a piedi, tutti i paesi….Vicenza, Padova, Bassano del Grappa… ‘a Cismon del Grappa siamo rimasti diciotto giorni ad aspettare’.

A quel punto il reggimento del nonno non era più il 36°, ma da Sassuolo formarono il 230° Reggimento Fanteria Campobasso. La numerazione dei reggimenti aveva un significato: tutti i reggimenti che avevano il numero superiore a 200 erano reggimenti di gente completamente impreparata, cioè presi da casa e buttati lì, erano quelli che dovevano morire per primi, perché la tattica di guerra di Cadorna era questa: si usciva dalla trincea, i primi morivano subito e dovevano uscire perché altrimenti ti sparavano dalla trincea, il grido era ‘Avanti Savoia’, i reggimenti scelti che uscivano dopo potevano proteggersi dal mucchio di cadaveri del primo attacco. Nelle prime due battaglie dell’Isonzo pensavano di arrivare alla trincea avversaria, ma in quell’occasione non sapevano dell’esistenza nel mezzo del filo spinato, quindi molti rimanevano lì attaccati. L’artiglieria forse c’era, ma era obsoleta rispetto ai mezzi nemici. Il genio doveva avere le tenaglie, tra l’altro (come si vede bene nel film ‘uomini contro’) le prime si rompevano perché pensavano che il filo spinato fosse di ferro più ‘dolce’, invece era di un ferro duro.

Questa era la situazione mentre il nonno, votato alla morte del 230° Reggimento, attendeva a Cismon del Grappa che arrivassero gli Austriaci perché ormai avevano sfondato. Il nonno racconta che non so come eroicamente sull’Altopiano di Asiago i nostri resistettero. Sono morti 165.000 fanti.

Prendono il treno e cominciano ad andare verso l’Isonzo.

D: Tuo nonno come descrive il viaggio in treno?

F: Di solito non ci sono dettagli. Quando lo portano a Sigmundsherberg…lui dice: ‘…abbiamo fatto un viaggio di otto notti e nove giorni, siamo agli inizi di novembre pioveva, nevicava…’ sono più di mille chilometri ‘…non ci davano niente da mangiare, un freddo boia, si stava stretti in vagoni scoperti e ogni tanto ci si fermava, si andava su un binario morto e si stava fermi due, tre ore, infreddoliti, gelati…il mio amico mi diceva ‘eh Elmo adesso ci ammazzano…’. L’amico è Ugo Massano, preso prigioniero a ……, sono diventati amici sul treno… fanno tutto il viaggio, arrivano a Sigmundsherberg, li mettono in baracche diverse. La guerra è stata anche racconti di grandi amicizie. Il nonno viene a sapere che il suo amico sta molto male, decide di andarlo a trovare, fa un buco nella rete che divide le baracche e lo va a trovare, tornando vede una guardia che si è accorta del buco e attende il ritorno di colui che lo ha attraversato, mentre gli altri 249 compagni (in ogni baracca c’erano 250 persone) stavano attendendo ciò che sarebbe accaduto, la pena era la fucilazione immediata. Il nonno dice ‘ora cosa faccio?’ se non tornava avrebbe messo in pericolo i compagni…si fa coraggio e passa per il buco, il trambusto dei compagni, la guardia vede tutto, mette la pallottola in canna, si avvicina al nonno e sta per sparare e…. ‘non mi ha sparato

I suoi racconti sono pieni di fatalismi, tutte le volte tenta di trovare una giustificazione perché lui non muore e i suoi compagni sì ‘forse non mi ha riconosciuto… forse non è neanche così, forse è perché io non dovevo morire’. L’amico muore il 27 di dicembre del 1917. E abbiamo trovato il suo nome nella lapide del cimitero di Sigmundsherberg.

Prima della prigionia, il 6 di agosto del 1916, il nonno con il 230° conquistò il Monte Sabotino, in Friuli. Attraversa l’Isonzo per raggiungere come avanguardia Salcano (Slovenia), lo conquistano e vanno su per il Monte Santa Caterina e Monte S. Gabriele ‘siamo arrivati di impeto, gli austriaci sparavano come dei pazzi, ma anche noi sparavamo, morti, muli sfracellati, a uno gli mancava la testa…, poi siamo arrivati sul S.Gabriele’…si ammala di itterizia e diceva di essere giallo, va dall’ufficiale e non dal medico ‘sto male’ ‘sei sicuro? Sai cosa ti capita se il medico non ti riconosce?’ ‘sapevo che non scherzava, perché avevo visto i miei amici legati al palo…’ è andato alla visita ‘mi ha riconosciuto ammalato’….era salvo… Gli dicono di andare in ospedale a Gorizia. Dal Monte S. Gabriele sono più di dieci chilometri, con 39 di febbre, strisciava nei fossi ‘ogni passo che facevo pensavo di essere ammazzato, mi passavano accanto cannonate, proiettili…ma arrivo a Gorizia’ e lo prendono all’ospedale da campo e da lì lo portano a Piacenza e poi a S.Giovanni, in un ospedale vero. L’ufficiale medico lo va a visitare e il nonno sente che l’infermiere chiede ‘allora 60 dottore?’: gli danno 60 giorni di licenza e lo rimandano a casa.

D: e la mamma lo vede dopo un anno.

F: Sì devastato, ma vivo. Di questa pausa non dice nulla. Poi lo rimandano al fronte a Caporetto. Il nostro fronte era di 640 chilometri partiva da Trento e finiva sopra Trieste, esattamente dove era il nonno. L’ultima trincea ad est è Faiti Rib, dove morirono 38.000 fanti per arrivare in cima a questa montagnola di 432 metri e dove i generali abbandonano i fanti rimasti vivi. Lì lo prendono prigioniero il 29 di ottobre del 1917. Camminano per due giorni senza mangiare, gli danno solo acqua calda.

D: noi stiamo raccontando la storia di tuo nonno, ma tua nonna come l’ha vissuta?

F: Mia nonna non ha mai detto niente, ricordati che di queste tragedie qua non se ne parlava. Figurati che del fratello di mio nonno che è morto in guerra non ho mai saputo niente fino a due anni fa. Faceva la contadina, il nonno era contadino del prete di Sant’Angelo in Lizza, le Marche erano nello Stato Pontificio, erano i dazieri del Papa, coloro che chiedevano il dazio. La nonna aveva solo la voglia di dimenticare quella tragedia, non diceva nulla.

D: il fronte interno si manteneva per il lavoro delle donne. Gli uomini li chiamavano al fronte, ma le donne le chiamavano per le fabbriche

F: Nelle grandi città sì, ma qui nei paesini le lasciavano fare le contadine.

Un particolare: quando il nonno era a Sassuolo ed era nella banda, un giorno incontra il suo cappellano militare che gli chiede ‘Sig.Cermaria di dove sei te?’ ‘di Pesaro’ ‘Pesaro Pesaro?’ ‘No, di Sant’Angelo in Lizzola’ ‘e che mestiere fai?’ ‘il contadino’ ‘e chi è il tuo padrone?’ ‘Don Vitale Zazzari’ e il nonno dice ‘forse si sono messi in contatto questi due preti, perché da quel giorno io, tutte le domeniche, mi chiamavano a mangiare a casa del prete’. Quindi mi immagino che Don Vitale Zazzari chiese al cappellano ‘di tener da conto’ quel suo contadino, altrimenti poi chi gliele coltivava le terre?

D: Il ritorno come lo descrive?

F: Il ritorno è un anno di prigionia. Li mandavano in tutto l’Impero austroungarico. Il nonno il 13 gennaio 1918 viene inviato in un campo di lavoro in Transilvania, in una segheria. Dopo 6 mesi lo portano in un altro campo, dove ha la fortuna che cercano un giardiniere per il l’ingegnere progettista della ferrovia Zagabria-Fiume, lui si presenta dimagrito di trenta chili, e lo prendono per fare il giardiniere, in una villa piena di domestici, un luogo che racconta con lenzuola pulite, con donne bellissime. ‘E’ lì che i gendarmi ci dissero che la guerra è finita e potevamo andare a casa, ma non ci credemmo e rimanemmo lì altri tre, quattro giorni’. Dei 250 della sua baracca di Sigmundsherberg …lui è l’unico sopravvissuto, aveva 22 anni.

Quando, sulle tracce del nonno, il 27 aprile del 2013 sono arrivato al cimitero di Sigmundsherberg mi sono trovato un prato pieno di viole selvatiche. Scioccante. Ci penso e realizzo che sono in un cimitero di fosse comuni con 2363 ragazzi, nessuno che vende fiori né niente, ma un campo di viole per quei ragazzi che nessuno ricorda.

D: tuo nonno sapeva dell’entrata in guerra degli americani?

F: No, non sapeva nulla. Lui pensava che la guerra non sarebbe mai finita e lui sarebbe morto lì

D: se tu non avessi avuto questo nonno che avesse partecipato alla guerra, cosa sarebbe cambiato prima di tutto nella tua visione della prima guerra mondiale e poi nella tua vita

F: non ci avrei neanche pensato alla prima guerra mondiale, per me è come se non fosse mai esistita, ecco perché io voglio raccontarla, perché la maggior parte è come me. La prima guerra mondiale non esiste, questa è la nostra vergogna.

Ho acquisito una sensibilità completamente diversa, un modo di affrontare la vita completamente diverso, il valore della vita, dell’amicizia…, quando il nonno mi diceva in dialetto: ‘bambino fai il tuo dovere, e non avere paura di niente’.

Diego Del Valle