Cosa sta succedendo in Palestina?

Lunedì pomeriggio fra Israele e i gruppi armati palestinesi della Striscia di Gaza sono iniziate nuove violenze innescate dalle crescenti tensioni degli ultimi giorni, concentrate soprattutto a Gerusalemme. Le violenze in corso, per ora in prevalenza bombardamenti e lanci di razzi, sono le peggiori dai tempi dell’ultima guerra combattuta fra i gruppi armati palestinesi e Israele, nel 2014; e diversi osservatori temono che nei prossimi giorni possano sfociare in un nuovo conflitto.
Le tensioni degli ultimi giorni erano culminate lunedì mattina nell’intervento armato della polizia israeliana sulla Spianata delle Moschee di Gerusalemme, uno dei luoghi più sacri per la religione musulmana: secondo la Mezzaluna Rossa palestinese, organizzazione che fa parte del movimento della Croce Rossa, erano stati feriti almeno 300 palestinesi. Come atto di ritorsione per l’intervento della polizia, lunedì pomeriggio il gruppo politico-terrorista palestinese Hamas, che di fatto governa la Striscia di Gaza, ha lanciato una decina di razzi verso la città di Gerusalemme. Solo uno dei razzi è stato intercettato dal sistema missilistico difensivo israeliano, Iron Dome, mentre alcuni sembrano essere caduti nella periferia della città. Non è ancora chiaro se i razzi abbiano provocato feriti o danni ingenti, ma era dai tempi dell’ultima guerra combattuta fra Hamas e Israele, nel 2014, che Gerusalemme non veniva presa di mira da razzi lanciati da gruppi palestinesi.
Israele considera la sicurezza della parte israeliana di Gerusalemme – dove fra l’altro ha sede anche il Parlamento israeliano, la Knesset – una importante linea rossa, superata la quale è disposto a intervenire militarmente: lunedì ha reagito con pesanti bombardamenti sulla città di Gaza. Secondo il ministro della Salute palestinese, sarebbero stati uccisi 20 palestinesi, di cui 9 bambini; Israele ha confermato solo la morte di tre membri di Hamas. Alle 20 ora italiana il Jihad Islamico, un altro potente gruppo politico-terrorista attivo nella Striscia di Gaza, ha lanciato decine di razzi contro Ashkelon, una città israeliana a pochi chilometri dal confine della Striscia e non molto distante da Tel Aviv. Sembra che la maggior parte dei razzi sia stata intercettata dal sistema missilistico difensivo israeliano. I bombardamenti sono proseguiti anche nei minuti successivi, con un’intensità osservata raramente negli ultimi anni.
Dopo i lanci di razzi da parte dei gruppi palestinesi, un portavoce dell’esercito israeliano ha detto esplicitamente che «tutte le opzioni sono sul tavolo», compresa una eventuale invasione di terra. Secondo fonti citate da diversi giornali israeliani, però, il governo guidato da Benjamin Netanyahu avrebbe deciso di limitare il proprio intervento a bombardamenti aerei, senza invadere la Striscia di Gaza. Diversi osservatori ritengono che le prossime ore saranno decisive per capire se le violenze potranno rientrare oppure sfoceranno in una nuova guerra.
Da giorni a Gerusalemme la situazione era particolarmente tesa per via delle manifestazioni nel quartiere Sheikh Jarrah contro lo sfratto di tre famiglie palestinesi, su cui dovrebbe esprimersi in via definitiva la Corte Suprema israeliana. La popolazione di Sheikh Jarrah è per la maggior parte palestinese ma il sito è considerato sacro anche dagli ebrei per la presenza della tomba di Simeone il Giusto. I residenti palestinesi dell’area rischiano di essere allontanati dalle loro case a causa di una complessa lunga disputa legale sulla pertinenza del territorio.
All’aumento della tensione hanno contribuito anche altri fattori, come la frustrazione dei palestinesi per l’annullamento delle imminenti elezioni politiche – che il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha attribuito allo scarso coordinamento con le autorità israeliane – e più di recente le limitazioni imposte dalle autorità israeliane ai palestinesi che intendevano celebrare il mese sacro del Ramadan a Gerusalemme, giustificate dalla pandemia.
Al momento è molto difficile prevedere cosa succederà nel breve termine. Israele sta attraversando da tempo una crisi politica di cui non si vede la fine: nessuna delle quattro elezioni politiche tenute negli ultimi due anni ha prodotto una maggioranza stabile, e nell’ultima settimana l’ipotesi di un quinto voto si è fatta molto concreta dopo che Netanyahu non è riuscito a mettere insieme una nuova maggioranza. Storicamente Netanyahu ha spesso cercato di evitare nuove guerre, tanto che nei suoi dodici anni da primo ministro Israele ne ha condotta una sola, nel 2014: non è chiaro però cosa potrebbe succedere se l’incarico di primo ministro fosse assegnato a qualcun altro. Fra circa tre settimane, inoltre, in Israele si tornerà a votare per le elezioni presidenziali.
È ancora più difficile prevedere come possano muoversi Hamas e il Jihad Islamico: l’ennesimo annullamento delle elezioni, che in Palestina non si tengono dal 2005, li ha messi in grande difficoltà, dato che si preparavano a ricevere molti più voti di Fatah, il partito di ispirazione laica di Abbas, che controlla la Cisgiordania. In questi giorni Hamas e il Jihad Islamico hanno fatto molto poco per abbassare la tensione intorno a Sheikh Jarrah e potrebbero avere fomentato le proteste alla Spianata delle Moschee. Nelle ultime ore i leader di entrambi i gruppi hanno diffuso dichiarazioni molto bellicose, ma non è ancora chiaro se alle minacce seguiranno nuovi attacchi oppure un graduale stemperamento della tensione, come successo molte altre volte in passato.

Camilla Buffa 3E